la Repubblica, 5 marzo 2025
La premier sbotta con Salvini: “Sulle armi parli come il Pd non possiamo tirarci indietro”
Basta con i giochini», si arrabbia a un certo punto Giorgia Meloni. Ha di fronte Matteo Salvini. «Non è normale dire le stesse cose di Elly Schlein...», aggiunge con asprezza, secondo quanto riferiscono. La premier ha appena convocato i due vicepremier per un vertice a Palazzo Chigi, in vista del Consiglio europeo di domani. Al tavolo siedono anche Antonio Tajani e Guido Crosetto. È infastidita. E lascia spazio all’irritazione per l’alleato, che la colpisce ogni giorno là dove fa più male: nella gara di fedeltà al tycoon.
Una premessa: Meloni è preoccupata dal piano di Ursula von der Leyen. Non perché consente di spendere di più per le armi, ma per gli effetti sull’opinione pubblica della parola “riarmo”. Sa però che non potrà sfilarsi, al massimo chiedere qualche ritocco. E anzi, pensa che sia giusto rivendicare una battaglia antica, portata avanti per primo dal suo ministro della Difesa Guido Crosetto: lo scorporo delle spese militari dai parametri che tengono sotto controllo il deficit di fronte all’Europa.
Meloni è sospettosa, infastidita dalle mosse dell’alleato. Chiede «serietà» invece che sparate quotidiane. Pretende lealtà: «Io posso costruire una posizione ragionevole per il governo – è il suo ragionamento – ma se qualcuno pensa che si possano fare giochini su una materia così seria, ha fatto male i conti». Chiede, di fatto, di evitare azioni di sciacallaggio politico in un momento cruciale. Tanto più che il governo è già alle prese con una posizione scomoda, divisa tra il destino europeo e la tentazione americana.
Concorda con Crosetto un intervento durissimo, implicitamente rivolto al vicepremier del Carroccio. Pretende compattezza nella maggioranza. Manda avanti anche Carlo Fidanza per plaudire al piano, sia pure con alcuni distinguo. Quali? Palazzo Chigi ritiene che la presidente della Commissione abbia sbagliato alcune mosse. Intanto il nome, “Rearm Europe”, scivolosissimo di fronte all’elettorato italiano. Quanto alla possibilità di utilizzare i fondi di coesione per spese di difesa, la posizione è chiara: quelle risorse sono vitali per molte regioni meridionali, dunque Meloni dirà che l’Italia non intende utilizzare quella leva. Il fatto che sia solo un’opzione affidata agli Stati membri, d’altra parte, è frutto della mediazione del commissario Raffaele Fitto.
Ma non basta. La presidente del Consiglio teme che il piano favorisca l’industria bellica francese, che può contare su una filiera più solida: in prospettiva, potrebbero approfittare meglio delle commesse militari. La solita, antica ossessione per Macron. Sono dubbi che non cambiano la sostanza della posizione italiana. Meloni non intende sfilarsi e non lo farà. La sostiene Tajani, ormai stufo del costante controcanto del Carroccio, che indebolisce la posizione negoziale di Roma con gli europei, e fa apparire Meloni timida anche rispetto a Trump. La prudenza, comunque, sarà la cifra della posizione pubblica meloniana sul riarmo. Un approccio dettato dal timore di perdere consenso nei sondaggi. È una dinamica che assomiglia a quella del possibile invio di militari italiani in Ucraina: per adesso Roma nega questa intenzione, ma di fronte al via libera dell’Onu – l’unico percorso praticabile, come è noto a tutte le cancellerie – aprirà all’impiego di truppe tricolori.