la Repubblica, 5 marzo 2025
Fabio Fazio: “Io, ragazzo del Novecento nella tv che ha perso l’umanità”
Fabio Fazio è cresciuto immaginando l’Europa come un posto lontano, da sognare disegnando bandierine sul quaderno delle elementari. Ha imparato da bambino, nella seconda metà del ‘900, che la solidarietà è un bene, il prossimo si aiuta, un uomo in mare si salva, se fai un vaccino non ti ammali. Valori semplici, razionali, fino a qualche tempo fa li si sarebbe potuti definire incontrovertibili. E invece, appaiono oggi talmente sovversivi da far paura a una destra mondiale che vuole appropriarsi di tutto, immaginario compreso.
Che tempo che fa ha vinto la sua scommessa passando dalla Rai al Nove senza snaturarsi, senza cedere allo spirito del tempo, con ascolti a due cifre in una rete pioniera. Ha fatto una scelta di campo e non ha mai cambiato rotta. Ha mai pensato che sarebbe stato più facile il contrario?
«No perché non è una questione di campo, ma più dolorosa: la definirei una questione anagrafica. Sono principi novecenteschi nei quali siamo cresciuti e siamo stati educati. Faccio parte di quella generazione che a scuola faceva i temi immaginando l’Europa unita con le bandierine di tutti i Paesi. Abbiamo cominciato studiando la comunità europea del carbone e dell’acciaio, la Ceca. Riconoscevamo le auto francesi di passaggio in Italia dai fari giallo acido, tutto ci sembrava lontano e tutto ci faceva desiderare che quel lontano si avvicinasse».
Cosa comporta essere novecenteschi?
«Sono nato 19 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale. A pensarci adesso è niente, ma tra il ’45 e il ’65 era cambiato il mondo. Avevamo maestri che avevano fatto la guerra o erano stati partigiani, non c’erano dubbi sul fatto che dittatura e fascismo fossero stati il male assoluto del ‘900».
Gli anni in cui il mondo cercava la pace?
«Gli anni in cui era stata ripristinata la ragionevolezza. Vedevi che i tuoi compagni facevano il vaccino contro la poliomielite, e non c’era più la poliomielite. Poi sono arrivati altri vaccini, i nostri figli non hanno preso più il morbillo. È difficile sconfessare i valori in cui siamo cresciuti».
È quel che sta succedendo.
«Durante il Covid mi dicevano: devi invitare la controparte. E io chiedevo: e chi sarebbe? Il virus? Davvero devo chiamare chi dice che i vaccini non funzionano? E se parliamo dei lager, devo invitare un nazista?».
Temo che in molti direbbero di sì.
«Tutto quello che fin qui abbiamo considerato un paradosso, è diventato realtà. Tutto quello che non era neanche discutibile, ora non solo è accettato, ma si è affermato con forza. Se un ministro della sanità americano dice che bisogna capire bene se l’autismo è legato ai vaccini, non è come quando lo dice uno al bar che accompagni a casa perché ha bevuto troppo. Diventa un problema filosofico, scambiare il paradosso per la realtà».
Come si reagisce?
«Uno dei miei libri preferiti è Una modesta proposta di Jonathan Swift. Come risolviamo la carestia? Mangiamo i bambini, tanto sono sfortunati, moriranno di fame, non facciamoli soffrire. Siamo arrivati a questo e davanti a uno stravolgimento simile, come possiamo non opporre gli strumenti che abbiamo?».
Quali sono?
«La razionalità, il buon senso, tutti i principi nati dopo due guerre mondiali terrificanti. Vogliamo buttarli via?».
Ha mai pensato: sono rimasto solo a credere in un certo modo di fare la televisione, forse cambio?
«No, perché non saprei fare altro. C’è un aspetto esperienziale nella vita di ciascuno di noi. Mi ricordo quando nei mesi del lockdown l’unica domanda che ci facevamo sul vaccino era: quando verrà il nostro turno? Adesso in Italia hanno cancellato le multe per il green pass, leggo che il piano pandemico ha limitato ogni cautela, siamo a un passo dalla stregoneria. A fronte di un’evoluzione in campo scientifico che non ha precedenti, ma che si può fermare in un attimo. Togli i fondi alla ricerca, non scambi più informazioni con l’Oms, ed è finita».
Per questo ha scelto di dedicare ai progressi della medicina una parte importante del programma?
«Quando scoppiò il Covid il direttore di Rai 2 mi chiamò e mi disse: da domani non puoi avere il pubblico, se vuoi non andare in onda. Ho avvertito subito l’esigenza di fare il contrario, è stata forse l’unica volta in cui mi sono sentito utile. Abbiamo fatto informazione a livelli altissimi, con Burioni, Fauci, con tutti i virologi italiani, da quando sembrava nulla a quando è diventata una tragedia. A Milano vivo tra due ospedali, non dormivo la notte per il suono delle ambulanze, i miei figli erano in Liguria con mia moglie. Quando è finita questa follia, ho pensato che ribadire il valore della scienza fosse imprescindibile, fondamentale».
E adesso in America, per salvarsi dalla vendetta di Trump, Fauci ha avuto bisogno di una grazia preventiva. E gli è stata tolta la scorta.
«È così, l’ho sentito, è tutto assurdo. Ma questa erosione quotidiana della competenza risale ad anni fa, quando le istituzioni hanno cominciato a perdere il loro valore. Basta ricordare la canottiera di Bossi. Piano piano, si è confuso il popolare col trash. E siamo arrivati al culmine del video pubblicato da Trump su Gaza: una sceneggiatura così di pessimo gusto che nessuno avrebbe avuto il coraggio di inventarla. In televisione qualcuno ha detto: lui è fatto così, è un costruttore. Penso ci sia una responsabilità di tutte queste persone, che continuano a buttare benzina sul fuoco».
C’è una parte di televisione che sembra fatta apposta per fomentare rabbia, paura, ansia.
«Le parole hanno conseguenze e tutti noi abbiamo responsabilità. Dopo aver scoperto di essere intercettato don Mattia Ferrari ha detto: la solidarietà è diventata sovversiva. Quando ero piccolo io, a scuola si mettevano 100 lire, i più fortunati ne mettevano 500 di carta, per fare la raccolta per gli orfanotrofi. Adesso uno deve giustificarsi se salva una persona che sta affogando».
Sente un po’ di solitudine, nel portare avanti questi valori novecenteschi?
«La solitudine è una cosa più grande, più seria. Ho già intuito anni fa che avanzava questa idea del “basta con il buonismo”, “basta con il politicamente corretto”, e io chiedevo: “ma scusate, l’alternativa qual è?”».
Il cattivismo?
«Siamo finiti dentro Cattivissimo me, con un presidente americano che cambia i nomi all’Atlante e umilia il capo di Stato di un Paese aggredito che da tre anni ha la guerra in casa. Si è discusso a lungo sulle radici cristiane dell’Europa. Ecco, spero che quelle radici e l’illuminismo ci guidino contro quest’onda che arriva con la fascinazione della modernità».
Il personaggio Trump è esploso grazie a un reality come The apprentice. Nella confusione tra cos’è vero e cos’è falso, c’è una responsabilità della tv?
Ma la Rai del maestro Manzi, la Rai dei professori, faceva avanzare il Paese, non lo inseguiva.
«La televisione di quegli anni è stata fatta dalle menti più brillanti che c’erano in quel momento, in cui tutti cercavano di dare il meglio».
Poi cos’è successo?
«Si è scelto come unico criterio la convenienza, e quasi mai quello che è conveniente è giusto. Si smettono di fare le cose che vanno fatte per quelle che fanno più ascolti, o vendono più copie. Si riempiono le colonne delle homepage dei giornali di gattini. Si fanno migliaia di programmi trash. C’è però una cosa che possiamo fare per ricominciare».
Quale?
«Dare il meglio di noi stessi sempre. Per quanto faticoso sia».
Chi dissente paga un prezzo?
«Un certo modo di pensare e di essere non è più tollerabile e infatti non è stato tollerato. In Rai, ma prima ancora dalla politica. Non ho mai voluto fare il vittimista, ma quando una persona che non ha responsabilità pubbliche viene attaccata da chi ha il potere, che sia un primo ministro o un ministro degli Interni, siamo fuori dalla grazia di Dio. E davanti a questo cosa succede? Che ognuno pensa a salvare se stesso. Dice: basta che non accada a me».
Non c’è più solidarietà davanti ai soprusi?
«È così in situazioni ben più tragiche della vita, la tv è poca cosa. Ma il punto è: scegliere. Se sei un bravo medico e ti viene ordinato di non fare il vaccino, tu lo fai. Come Antigone, ci sono leggi morali da seguire. Oggi basterebbe un po’ di buon senso, per inorridire davanti al video di Trump senza pensare: domani passa. Senza perdere il contatto con la propria umanità».
In cosa l’ha colpita papa Francesco, in questi anni di vicinanza?
«Tutto quello che dice viene da fatti concreti. Questo lo rende non solo credibile, ma lo fa sentire vicino. Quando definisce la guerra una pazzia, riassume in una sola parola il frutto di ragionamenti lunghissimi. La guerra è la cosa più antiumana, più contraddittoria che esista. Ogni volta che mi è capitato di parlargli, ho capito che sente il dolore e le aspirazioni del mondo. Fa cose semplici e rivoluzionarie. Che in questo momento ci siano tutti i poveri della terra a pregare per lui, dice quanto gli venga riconosciuto l’equilibrio non solo della ragione, ma del cuore».