la Repubblica, 4 marzo 2025
Caso Resinovich, Claudio Sterpin: “Incredibili i primi errori della procura di Trieste”
“Il marito di Liliana conosce la verità sull’assassinio della moglie. Se non è stato lui a ucciderla, aiutato da qualcuno, è il mandante dell’omicidio per ragioni economiche. Solo magistrati poco intelligenti, e mi assumo la responsabilità di ciò che dico, potevano credere a un inverosimile suicidio e illudersi che famigliari e amici ci credessero. Spero che la Procura, che ora dispone della super perizia di Cristina Cattaneo, dopo oltre tre anni si decida a cercare davvero chi ha commesso questo delitto”.
Claudio Sterpin, 86 anni tra pochi giorni e amante di Liliana Resinovich, concorda con le accuse mosse su Repubblica da Sergio, fratello della vittima. Questi, alla luce della “profonda rivalutazione dell’intero procedimento” annunciata dal procuratore Federico Frezza, ha subito puntato il dito contro Sebastiano Visintin, ex fotografo di 74 anni. “Vedrò il fratello di Liliana tra mezz’ora”, dice Sterpin, “ci incontriamo quasi tutti i giorni e concordiamo su tutto. Da tre anni diciamo che Lilly non si è suicidata, ma che è stata uccisa dopo essere stata pestata. Sapere se è stata soffocata, o strangolata, non cambia la sostanza della realtà: l’unica persona che aveva interesse a uccidere, a far ritrovare il cadavere dopo il tempo necessario a confondere le acque e a inscenare un suicidio, resta il marito”.
La Procura, annunciando una “profonda rivalutazione e nuovi accertamenti” lascia capire che il nome di chi ha ucciso non è imminente: perché per lei la verità è invece già tanto chiara?
“Facevo l’autista degli autobus e il maratoneta, conosco Trieste come pochi. Sono stato almeno quaranta volte nel boschetto dove è stato trovato il corpo di Lilly. Nessuno al mondo può raggiungere quel posto per suicidarsi senza lasciare tracce. Nemmeno l’ombra di terra o foglie sotto le scarpe, non un’impronta sui due sacchi calati sul viso, sui due in cui il corpo era infilato, sul cordino solo appoggiato attorno al collo. Si è compiuta una messinscena grottesca e incredibile: funzionale però all’interesse di una sola persona, il marito Sebastiano”.
Perché ritiene che l’assassino non abbia fatto tutto da solo?
“Quel boschetto è intricato e pieno di buche, invisibili nel buio. Nemmeno un energumeno può penetrare nel folto di alberi e arbusti, portando un cadavere, senza inciampare, segnare o sporcare i sacchi, trovati integri e puliti. Nemmeno sull’edera attorno c’erano impronte”.
Perché anche lei è convinto che il marito Sebastiano abbia ucciso, o commissionato il delitto?
“Liliana poche settimane prima di morire mi ha detto che in banca aveva oltre 50 mila euro e che in casa custodiva un sacco di contanti. Ai primi di dicembre le dissi che avevo bisogno di un apparecchio acustico, ma che non volevo spendere 3 mila euro per acquistarlo. Il giorno dopo si presentò con mille euro in una busta, in pezzi da cinquanta. Rifiutai l’aiuto, ma lei protestò ripetendo che a casa aveva soldi ovunque. Perdendo Lilly, decisa a venire a vivere con me, il marito perdeva i soldi per vivere”.
Come sa che Sebastiano Visintin non avesse mezzi per mantenersi?
“Me lo ha detto Liliana. Era lei a pagare tutto: affitto di casa e studio del marito, bollette, costi per auto e moto, ogni weekend fuori. Con 560 euro di pensione al mese, Sebastiano senza la moglie sarebbe precipitato nella povertà”.
Non crede sia stato rischioso, per lui, far ritrovare il cadavere della moglie?
“È stato un rischio obbligato. Come dice anche il fratello Sergio, solo il ritrovamento del corpo, con la messinscena del suicidio, gli garantiva la reversibilità immediata della pensione di Lilly. Se la moglie fosse stata dichiarata scomparsa, i beni sarebbero rimasti congelati per dieci anni: un termine che il marito non poteva aspettare”
Se l’assassino non ha agito da solo, chi può averlo aiutato?
“Qualcuno vicino a lui, ma non sta a me accusare il figlio di Sebastiano. Faccio notare che negli atti dell’inchiesta risultano due telefonate partite da Catania e da Palermo verso il cellulare del marito, proprio nelle ore del ritrovamento del corpo di Lilly. E che Trieste si trova a due passi dal confine con i Balcani: la manovalanza giusta per contribuire a un delitto e all’occultamento di un cadavere, non manca”.
Anche lei crede che Liliana sia stata uccisa il 14 dicembre e che il suo corpo sia stato poi conservato al freddo fino al 5 gennaio?
“È evidente che il cadavere, dentro i sacchi, è stato portato lì poche ore prima del ritrovamento. Conosco quella zona come le mie tasche: più di una notte all’aperto avrebbe esposto i resti alla razzia dei cinghiali. Bosco e collina sono pieni, se uno la sera abbandona un sacchetto di rifiuti, la mattina dopo non lo trova più. A Trieste anche un bambino sa che un cadavere non si conserva intatto per oltre tre settimane nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico”
Dopo la perizia Cattaneo e la nuova inchiesta della Procura pensa che la verità verrà trovata?
“Sono certo che gli inquirenti hanno ora tutti gli elementi per trovare l’assassino e i suoi complici. La verità non può più sfuggire e spero che sia questione di giorni”.