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 2025  marzo 05 Mercoledì calendario

Le mille vite di «Davidone» Lacerenza: scaricatore di patate, spogliarellista e sciabolatore. «Io sono il Mosè dello champagne» (e della cocaina)


È una storia da raccontare quella di Davide Lacerenza, già noto nell’ambiente come il «Gianluca Vacchi dello champagne» o l’«Andrea Diprè del gin», arrestato martedì insieme alla ex compagna Stefania Nobile, figlia di Wanna Marchi. L’accusa è autoriciclaggio, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione e detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
Ai più, forse, il suo nome fino a poche ore fa non diceva niente. Chi è di Milano e bazzica Instagram, si sarà imbattuto nel suo locale, la Gintoneria di via Napo Torriani, o nelle sue storie, visto che ha la bellezza di 260 mila follower. Vale la pena, forse, raccontare il successo effimero ma bruciante, condensato in un capolavoro del trash come la sua autobiografia pubblicata nel 2020. Si chiama «Vergine, single e milionario».
Già epica dalla copertina, sulla quale Lacerenza svetta con il sorriso Durbans smagliante e un Dompe (don Perignon) d’ordinanza, adagiato sopra il titolo vergato in oro. Dentro le 130 paginette edite da Sperling&Kupfer, c’è l’epopea salgariana in pillole di Lacerenza, scritta in corpo gigantesco. Il suo marchio di fabbrica sono le sciabolate, che i francesi chiamano sabrage, e consistono nel far saltare il tappo dello champagne insieme al vetro circostante con un colpo netto. Colpo che in passato gli ufficiali napoleonici infliggevano con una sciabola. Lacerenza preferisce manufatti diversi, tipo carte di credito, orologi Rolex o la patente rinforzata di metallo che aveva fatto produrre appositamente con il suo nome, la sua firma, il nome e al quale apponeva la data della bottiglia aperta.
Imprese regolarmente diffuse su Instagram dove produceva una cinquantina di storie al giorno per i suoi «cavalli», che nel suo gergo sono i seguaci. Lacerenza si è inventato un mondo, sia pure distorto e grottesco, un’identità visiva forte e soprattutto un linguaggio, una neolingua volgare, rozza, immaginifica, sboccata, sessista, brodo di coltura che lo ha reso un idolo per qualche decina di migliaia di appassionati e che gli ha fatto impennare il fatturato.
Lacerenza era il simbolo di una certa Milano che si intravede scrostando la vernice elegante del design e della modernità, la Milano Babilonia dei buttafuori e dei fattoni che smascellano, tutta escort, bamba e bollicine, eppure è un giargiana anche lui, come direbbe il milanese imbruttito, un meridionale trapiantato al Giambellino da Trinitapoli (Barletta). Nel libro si dilunga su certe acrobazie sessuali giovanili, ma soprattutto parla dei mercati generali, dove si spacca il fisico e forgia lo spirito, scaricando per 15 anni angurie e patate e applicando una versione lievemente più grezza della dialettica di popolo che lo renderà ricco: «Signora, i meloni vedo che li ha già, venga a prendere la mia melanzana».
La sua esuberanza porta lo zio che l’aveva assunto a licenziarlo. Ma ormai è tempo di spiccare il volo, resistendo alle lusinghe paterne che lo vogliono avviato a una carriera nelle pratiche automobilistiche. Di studiare non se ne parla e, finite le medie, un paio di bocciature alla prima del liceo Tecnico industriale di Corsico segnano la sua sorte. Non infelice, apparentemente: «Non leggo un libro da anni, ma posso stappare bottiglie da migliaia di euro ogni sera». Si intuiva, a leggere il libro, ma qui comincia l’epica del «self made horse», il cavallo che si è fatto da sé, l’uomo che scaricava patate e che ora stappa bollicine da migliaia di euro ogni notte. L’uomo che ha fatto sesso con 4 mila donne (calcolo fermo al marzo 2020, data di consegna delle bozze) e che si è comprato un Ferro (inteso come Ferrari) da 280 mila euro, con il suo nome inciso sopra.
Tra l’approdo e l’inizio ci sono un mondo di storie e di lavori. Stivalazzi a punta e ciuffi di banconote nel tanga, John Lacerenza (così si fa chiamare all’epoca per la somiglianza con Travolta) fa lo spogliarellista flou con Costantino al bar Lara di piazzale Loreto, si mette insieme a una escort e con lei comincia a vendere diete e santini a 10 euro l’uno, in un percorso parallelo a quello di Wanna Marchi e della figlia. Poi apre un negozio di informatica in viale Murillo. Lacerenza arriva dunque al suo primo vero successo, l’acquisto e la gestione del ristorante Malmaison, ricordato nelle cronache dell’epoca per i conti scandalosi da 500-1000 euro a coperto e per il lusso sfrenato, tra tavolini leopardati, astici e beluga.
Davidone, come lo chiamano, e l’escort cominciano a macinare soldi. E qui spunta Stefania Nobile, più nota come la figlia di Wanna Marchi, che rinasce a nuova vita dopo gli scandali, il carcere, le accuse di truffe, le malattie (che però ancora la tormentano). I due si fidanzano, poi il rapporto diventa di lavoro, tanto che la Wanna junior fa la sua «assistente» e gestisce pratiche burocratiche e altro. Alla Malmaison comincia a formarsi il metodo Lacerenza, un mix di lusso sfrenato, volgarità, esibizionismo e kitsch. C’è una sala fumo, una di degustazione del rum, un pianista e non c’è ancora quella piscinetta che sarà il tratto distintivo della sua prossima impresa, perché il Lacerenza è un cavallo sì, ma inquieto, scalcia, non si fa domare e così eccolo alla nuova fatica.
Tra una notte di sesso con una sessantenne, così racconta, e un po’ di relax con i massaggi cinesi in via Sarpi, scopre che a Milano non esistono gintonerie. Allora si compra i domini gintoneria.it e gintoneria.com e si studia i video sul gin. Comincia a farne di suoi, su Periscope, l’app ormai defunta di Twitter. I bartender ufficiali, quelli seri con il papillon o gli hipster con barba lunga, lo prendono in giro: «Ridicolo, vergognati, sei uno sfigato». Ma lui macina visualizzazioni, si butta su Facebook, poi passa a Instagram e scopre lo champagne. È l’intuizione finale di Lacerenza che lancia «L’Editto del cavallo», ovvero la legge in base alla quale si sciabola con qualunque cosa, dall’iphone ai bicchieri, fino alla sua mitica patente di metallo che abbiamo visto.
Nel libro c’è la prefazione di una paginetta scarsa di Andrea Lupetti, giornalista, chambellan dell’Ordre des Couteaux de Champagne e autore del libro Grandi Champagne 2020-2021. Conferisce a Lacerenza il sigillo di autorevolezza, che mancava: «Lo champagne – scrive Lupetti – è percepito come qualcosa di inarrivabile, di elitario, per ricchi. Lacerenza ha un grosso merito: l’avere sdrammatizzato lo champagne». Lui lo ripete con parole sue e con orgoglio: «Io sono il Mosè che ha aperto le bottiglie di champagne facendolo passare da nettare elitario a bevanda popolare». Lupetti concede qualcosa all’inevitabile presa di distanza da un personaggio sopra le righe, con una bellissima perifrasi: «Per sdrammatizzare lo champagne, si è dovuto calare in un personaggio con tutte le sue contraddizioni».
Più che contraddizioni sono comportamenti chiari, esibiti, rivendicati. Il Mosè dello champagne sfreccia con la sua Ferrari per le vie del centro di Milano e si riprende in una corsa-sfida con una Ducati. Poi eccolo che pippa cocaina in diretta Instagram, con una giovanissima «cavalla», come la chiama, che pare più disorientata di lui. Lacerenza ha sempre ammesso di fare uso di sostanze, prima perché «altrimenti non reggevo il ritmo al mercato», poi per posa e per abuso. Nel 2020 dice di aver smesso, ma all’epoca – come racconta nel capitolo «Bamba e verdura» – mangiava banane e sniffava: «Dormivo due ore, avevo sempre le mani e i piedi sudati, gocciolanti, mi giravo e rigiravo come una cotoletta. Fino ai 35 anni sono rimasto astemio. Sì, pippavo cocaina, ma non bevevo».
Poi l’illuminazione, quando una cliente gli fa scoprire un Oenothèque 1996 (un Dom Perignon da 700 euro). Non studia naturalmente, non fa la scuola per sommelier, non fa roteare il bicchiere all’Albanese, non si dilunga sui terziari e sul retrogusto di sella di cavallo, non scrive schede di degustazione sulle bollicine fini, persistenti e numerose. Accumula champagne in cantina («qui ci sono due milioni di euro in bottiglie, è come la zecca della Casa di Carta»), arricchisce di fenicotteri rosa la piscina del locale, regalando un Dompe a chi si butta dentro vestito, taglia personalmente l’astice dei suoi lobster roll, fa sciabolare clienti con mazze da golf, ospita personaggi famosi come Gue Pequeno e Diletta Leotta. Mostra le schiene di vip che non vogliono farsi vedere: «Ecco, lui è un calciatore dell’Inter, lei una famosa attrice».  Poi le cena da Bulgari, i massaggi in sala fatti dalla «fedele dipendente» Zorina, il dentifricio comprato dalle assistenti, la cucina di casa demolita perché non gli serve più. Dorme in una camera insonorizzata da una porta di piombo, scioglie la tachipirina nello champagne e posta «fisicate» su Instagram come se non ci fosse un domani.
Una vita da cavalli, titolo di uno dei capitoli del libro. Nel corso degli anni perfeziona il format, modelle giovanissime e bellissime influencer in cerca di fortuna si fanno riprendere mentre sciabolano, con Lacerenza che consiglia, incoraggia, corregge, loda, sempre con la sua lingua sboccata e impastata, che è diventato un marchio di fabbrica: «Dai krugga (dall’omonimo champagne)», «Scanala», «Vai col missile», «Parti lungo», «La dorsalata», «Vai tigre», «una bella cannella», «stasera c’è figa pesante». Lo champagne che esce a fiotti viene salutato dagli applausi degli astanti, con Lacerenza che dice cose a caso come «Avanti savoiardi» e offre alle ragazze un giro con il Ferro (la Ferrari) per le vie di Milano, oltre a un tag su Instagram.
Il mondo del vino lo snobba, naturalmente, lo considera un ignorante, un’offesa, un Briatore dei poveri. Del resto lui è uno che sciabola un Millesime Jacques Selosse 2007, con relativa scheda critica che quelli dell’Ais o della Fis se la sognano: «Minchia che bomba, altro che crosta di pane».
Il finale del libro è un po’ malinconico, può scappare la lacrima se siete sensibili. Confessa che fin da bambino sognava di «fottere la vita» e che ormai non ha più sogni: «Ho una considerazione altissima di me stesso. Che andassero tutti a cagare. Ma vorrei tanto tornare a sognare». Sogna l’amore: «Una donna per uscire con me deve essere bellissima, esagerata, ma per fidanzarmi deve anche: essere seria, intelligente, capace di starmi dietro e non deve avere più di ventitré anni. Altrimenti resto vergine, single e milionario».
A fine gennaio è ospite alla Zanzara, sempre avida di casi umani e deliri kitsch, e qui gli consegnano il trono di «king» di Milano. Lui, incitato da Giuseppe Cruciani, dice la sua frasetta standard, un po’ malinconica: «Ragazzi, non fate la mia vita, non iniziate mai». Cruciani: «Iniziate mai cosa?». «A drogarvi», risponde secco lui. Della Nobile dice: «Mi inginocchio davanti a lei. È la persona più importante della mia vita, non ho nessuno, non sono sposato, non ho mai avuto figli. Siamo sempre insieme. Senza di lei non farei questa vita molto bella».
Le ultime storie Instagram anticipano l’epilogo, come in un film di serie B. Lacerenza a casa sua, si immagina di mattina, fa vedere «la ventenne» nel letto, che «non mi sta dietro». Lui è chiaramente alterato: «Non dormo mai, è come se fosse sempre un after, la bambina dorme da ore». Butta per terra mazzette di banconote da 50 e smascella: «Non accettate la mediocrità, non state in Comune a timbrare in continuazione, ci sono cose più importanti nella vita. Cazzo sono mille euro al mese».  In sottofondo, «non dormo la notte, mi scoppia la testa», di Sfera Ebbasta.  Su Instagram, autobiografia della nazione, il popolo becero che lo idolatrava ora infierisce. Qualcuno si rammarica, sincero: «Spiace, hai spinto troppo cavallo».