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 2025  marzo 05 Mercoledì calendario

Chi ha inventato l’orologio moderno? Galilei, per misurare la velocità della luce (anche se non ci riuscì)


Se vi capita di passare a Ginevra c’è un museo unico al mondo per qualità della raccolta e allo stesso tempo eleganza della curatela: il Museo Patek Philippe. Non vi fate portare sulla cattiva strada dal nome. Non si tratta di ammirare orologi bellissimi che non potremo mai possedere (il Nautilus rimane nella sua semplicità il gioiello più bello a cui un uomo possa aspirare). Ma di una collezione unica che racconta la storia del tempo e dunque, di riflesso, della società umana almeno dal XVI secolo ad oggi. Che ci abbiate pensato o no la storia degli orologi è la storia della civiltà, a partire dai babilonesi e dagli egizi, la storia della scienza, dei nostri passatempi come le corse dei cavalli, delle navigazioni e delle grandi esplorazioni. Commerci, cultura, tecnologia e soprattutto scienza. Quello che forse non tutti sanno è che gli orologi meccanici sono comparsi tra la Germania del Sud e l’Italia del Nord nel XIII Secolo (tra il 1230 e il 1270): il più antico orologio ancora funzionante, non a caso, è quello della Torre di Sant’Andrea a Chioggia (del 1386). Se poi con la parola orologio intendiamo uno strumento di precisione capace di misurare i secondi – la più importante convenzione mai inventata dall’umanità – allora abbiamo anche un padre: Galileo Galilei. La misurazione del tempo è una delle più antiche ossessioni dell’umanità e non c’è dubbio che servisse per regolare i commerci, i mercati, la preghiera, lo studio, il lavoro. Ma forse senza l’esigenza specifica della scienza di dover misurare, potremmo dire con un gioco di parole, “il secondo al secondo” non avremmo vissuto questo salto. Fu difatti il padre del metodo scientifico il primo scienziato a cercare di misurare la velocità della luce. E visto che stiamo parlando di c ovvero 300 mila km al secondo (in realtà questa è la velocità massima che viene raggiunta solo nel vuoto, in assenza di particelle che possono disturbarla) è chiaro che Galilei si accorse subito di non avere lo strumento adatto per questo scopo. Fu allora che gli tornò alla mente una delle sue più famose osservazioni: quella del pendolo della Cattedrale di Pisa fatta quando era ancora studente nel 1581. Fu Galilei a scoprire il cosiddetto “isocronismo” delle oscillazioni del pendolo: le oscillazioni in uno stesso pendolo sono tutte uguali, perché dipendono solo dalla lunghezza dello stesso e dalla forza di gravità (sulla Luna a parità di massa e lunghezza sono più lente e pari a un sesto). Inizia così la storia dei secondi, in sostanza una pura astrazione del trascorrere del tempo. L’invenzione della rapidità e della lentezza. Dell’ansia e della fuga.
Per inciso il pendolo rimarrà legato alla storia del tempo anche in seguito: nel suo famoso esperimento lo scienziato dell’Ottocento Jean-Bernard-Léon Foucault riuscirà a dimostrare la rotazione della Terra su se stessa grazie al pendolo del Pantheon di Parigi. Una prolunga al pendolo disegnò difatti un cerchio in 24 ore, il tempo in cui il nostro pianeta completa il giro.
In altre parole se c’è un oggetto capace di fondere insieme le pulsioni e gli interrogativi dell’umanesimo e le domande irrefrenabili della scienza è proprio l’orologio. L’unica arma che l’uomo ha a disposizione contro il fuggire del tempo verso la fine (il dio Cronos era raffigurato sempre con la falce, poi passata nell’iconografia della morte. Nessuno vi può sfuggire: nel museo etrusco di Valle Giulia c’è una piccola statua di Ercole che viene sconfitto da un vecchio gracile. Nemmeno lui poteva sconfiggere la vecchiaia).
Perché lo chiamiamo secondo?

Furono Eratostene e Ipparco (II secolo avanti Cristo) a sistematizzare un sistema di coordinate geografiche. In particolare sembra sia stato Ipparco, di cui sappiamo pochissimo, a dividere il globo in 360 meridiani, uno per ogni grado (la somma deve fare 360 gradi, come misurato con il sistema sessagesimale che ancora oggi abbiamo ereditato dagli astronomi babilonesi in quanto ai poli sommando le meridiane si completa un cerchio. I paralleli della latitudine sono invece 180). Fu poi Tolomeo a dividere ogni grado in sessanta parti e ognuna di queste parti in ulteriori sessanta parti. La prima divisione, partes minutae primae, divenne nota solo come minutae, cioè minuto. La seconda divisione, partes minutae secondae, divenne il secondo.
Quando nacque la misurazione del tempo il minuto e il secondo passarono dai gradi dello spazio agli strumenti del tempo.
Ora se torniamo al pendolo nella Cattedrale di Pisa scopriamo un fatto abbastanza misterioso su cui anche gli storici della scienza non sono concordi: il secondo è battuto da un pendolo di lunghezza pari esattamente a un metro. È difatti noto come “pendolo del secondo”. Come è possibile? A meno che una delle due misure non sia nata in conseguenza e come derivata dell’altra siamo di fronte a un giallo. Una coincidenza su cui ancora oggi si arrovellano le menti più curiose dei processi storici perché la misura dello spazio e del tempo avrebbero origine asincrone. Sarbbero nate separatamente (anche il metro evidentemente è una convenzione tant’è che nei Paesi anglosassoni ancora usano il piede e i pollici, una scelta ancora più antropocentrica ma in realtà storicamente corretta: non c’è dubbio che gli ominidi iniziarono a misurare lo spazio con quello che avevano e cioè porzioni del proprio corpo).
D’altra parte si pensi che per avere una proposta definitiva dell’uso del secondo per misurrae il tempo in maniera univoca dobbiamo arrivare al 1832 con il grande matematico Gauss. Accettata solo nel 1862 dall’Associazione britannica per l’avanzamento della scienza. In altre parole, visto che prima il concetto di ora dipendeva dalla stagione, la scienza ha “inventato” anche il concetto di ritardo.
La storia degli orologi ci tocca tutti quanti. Perché non c’è esempio migliore di cosa sia un medium nel senso fornito da Marshall McLuhan, quello del villaggio globale e del medium è il messaggio. Non c’è dubbio che senza gli orologi non avremmo nemmeno potuto pensare al concetto di globale. Ma conta di più la seconda riflessione: per McLuhan difatti il medium era una qualunque tecnologia capace di influenzare il proprio ecosistema. Gli orologi, i secondi, non solo ci dicono che ore sono (il messaggio), ma hanno cambiato per sempre la percezione umana del tempo, pur essendo una pura invenzione. Avremmo potuto decidere di dividere le ore in 120 minuti e i minuti in 120 secondi e oggi saremmo ancora più stressati. Oppure avremmo potuto decidere di dividere le ore in 12 minuti e a loro volta i minuti in 12 secondi. Ci muoveremmo al rallentatore? Un po’ sì. Perché quella lancetta, quel ticchettio dei secondi, lo abbiamo interiorizzato. Tic, tac, tic, tac, come i battiti del cuore (non a caso all’inizio lo stesso Galilei pensò di usare i battiti cardiaci per i suoi esperimenti).
Oggi sembra fantascienza eppure fino al Medioevo e oltre non c’era la percezione che le ore fossero “tutte uguali”. Un’eredità dell’antico Egitto.
Perché difatti dividiamo le giornate in 24 ore?

Il sistema duodecimale, cioè su base 12, arriva dall’Egitto. Qui esistono diverse teorie sul perché si fosse deciso di usare proprio il 12. Quello decimale è difatti abbastanza intuitivo: l’essere umano ha 10 dita. Sembra che quello duodecimale sia basato sull’uso del pollice per contare dividendo le quattro dita in dodici ossa (falange, falangina e falangetta per le restanti quattro dita che possono essere toccate con il pollice per l’appunto). Ce n’è traccia ancora oggi nell’espressione “dozzina di uova”. Potenza del linguaggio che preserva la storia.
Comunque furono gli egizi (che usavano già le clessidre per misurare il tempo) a dividere la giornata in ore diurne e ore notturne. A sua volta suddivise in dodici ore dall’alba al tramonto e dodici dal tramonto all’alba. Piccolo problema che non vi sarà sfuggito: con questo sistema le ore nelle giornate più lunghe estive duravano di più delle ore nelle giornate corte invernali.
Piccola nota: nell’antichità esistevano anche le meridiane com’è noto. Solo che non potevano essere usate di notte e nemmeno nei giorni con il cielo coperto dalle nuvole. Molto inefficienti e comunque poco precise.
Con l’evoluzione meccanica comparvero i primi orologi nel Duecento. Il XIII secolo è l’era dell’esplosione degli ingranaggi. Come anticipato compaiono i grandi orologi nelle piazze pubbliche, sulle torri e sui campanili. Il sistema funzionava con dei pesi e con il cosiddetto meccanismo di “scappamento”, cioè che frena la fuga causata dalla corda a cui è attaccato il peso a causa della gravità, creando un movimento ritmato. Abbiamo notizia di un orologio che nel 1338 viene caricato su una nave a Venezia che salpa per l’Asia. Bisogna mostrare subito la superiorità tecnologica e creare un mercato che ancora non esiste: l’oggetto crea il desiderio, il desiderio la domanda di beni. C’è subito però un problema tecnico: anche qui le ore non sono tutte uguali. L’energia della corda tende a ridursi, a disperdersi, e dunque l’affidabilità dello strumento si deteriora durante la giornata. I minuti si perdono a manciate e in progressione crescente.
Il secondo salto tecnologico

Il secondo salto tecnologico avviene nel 1400: la miniaturizzazione. Ce n’è traccia anche negli scritti di Leonardo che però non sembra aver dedicato agli orologi una parte importante del suo genio. Li descrive e basta.
Ma dobbiamo passare al 1500 per poter vedere un orologio miniaturizzato sopravvissuto fino ai giorni nostri. Si tratta del Watch 1505, costruito da Peter Henlein a Norimberga nel 1505. Cliccare qui per vederlo. Il passaggio dagli orologi nelle torri a quelli portatili avvenne grazie all’invenzione della molla (descritta da Leonardo nel 1490 nel Codice di Madrid). Lo sappiamo per certo anche grazie alle illustrazioni del codice Horologium Sapientiae del 1452 conservato a Bruxelles nella Biblioteca reale del Belgio. Motivo per cui Peter Henlein è considerato l’inventore dell’orologio da tavolo, fino a prova contraria. La meccanica influenza anche l’arte come si vede in quelle geniali popolazioni aliene di Hyeronimus Bosch, dove anche gli uomini diventano ingranaggi. Nel XVI Secolo la molla accelera la miniaturizzazione e si passa dai primi orologi da tavolo a quelli “indossabili”, come mostra un ritratto di uno sconosciuto del 1567 conservato sempre a Norimberga. L’orologio diventa uno status symbol. Ma funziona?
Non per la scienza. Gli orologi perdono diversi minuti ogni ora. Si creano così dei modelli con delle piccole meridiane incorporate per poterli rimettere a posto in continuazione: ritorno al passato. Lo stesso Isaac Newton dubita che si potrà mai risolvere il rebus del tempo costruendo degli orologi affidabili. E arriviamo così al nostro Galilei che sale su una nave al largo. Mentre un allievo attende su una collina Galilei deve alzare una lampada con il fuoco e iniziare a misurare il tempo fino a quando l’allievo, vedendo la luce, non deve a sua volta fare un segnale. Il primo ostacolo è proprio la misurazione oggettiva del tempo. La scienza e la formula del pendolo cambieranno la storia del tempo e dunque dell’umanità per sempre. Nel 1637 Galilei pensò anche di progettare un orologio usando l’isocronismo del pendolo (sembra che affidò il compito al figlio). Ma in effetti dobbiamo arrivare allo scienziato e astronomo Christiann Huygens (1629-1695) per vedere questo orologio grazie alla trasformazione del pendolo in un bilanciere, il meccanismo che ancora oggi viene utilizzato negli orologi meccanici. Un orologio attribuito a Huygens del 1685 è uno dei molti fiori all’occhiello del museo di Ginevra.
Per capire quanto dobbiamo alla scienza il concetto moderno di orologio capace di mettere d’accordo tutti sul trascorrere del tempo vale sapere che al perfezionamento di questa tecnologia, in parallelo a Huygens, lavorò a lungo anche Robert Hooke. Se non vi dice nulla dobbiamo a lui il miglioramento del microscopio (anch’esso pensato da Galilei come “occhialino per vedere le cose minime”, copyright del suo amico Giovanni Faber) e anche la prima intuizione della struttura delle cellule (le chiamò così perché gli sembravano delle celle). Hooke in particolare cercava di risolvere una questione annosissima: come si può misurare la longitudine mentre si naviga? La figura che unisce queste due pulsioni al miglioramento tecnologico, scienza e navigazione, è Alexander von Humboldt, il naturalista i cui viaggi tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento ispirarono un certo Charles Darwin. Ebbene a Ginevra c’è anche un orologio che sarebbe stato regalato dallo zar a von Humboldt. Si tratta di un modello di Léon Kuchajewski con una scala per adattare l’orario sulla base delle diverse città in cui ci si trova: i fusi.
L’orologio diventerà così il simbolo della visione meccanicistica del mondo, l’illusione del primato della tecnologia umana anche sulle leggi della natura.
Ma la storia di come la navigazione fu l’altra grande molla per migliorare gli orologi, passando anche per i disastri della marina inglese, merita un altro episodio. (Parte 1. Alla prossima settimana).