il Fatto Quotidiano, 4 marzo 2025
Scoperture e app in tilt: ecco il vero caos giustizia
Scoperture negli organici dei magistrati. Carenze croniche del personale amministrativo, in parte rimpiazzato in varie città d’Italia da volontari. Procure e tribunali che soffocano sotto migliaia di fascicoli. Gli sforzi nell’abbattimento dell’arretrato, penale e civile, hanno prodotto anche risultati significativi. Ma, avvertono le toghe, senza cambiamenti strutturali rischiano di non influire davvero sulla durata dei processi. L’arretrato civile, ad esempio, nel 2024 è tornato (sebbene di poco, del 3,5%) a crescere, un segnale poco confortante. E alcuni obiettivi del Pnrr si allontanano, mettendo a nudo progetti flop, come le assunzioni precarie destinate all’ufficio del processo, voluto dall’ex ministra Marta Cartabia, e la famigerata “App”, applicativo che avrebbe dovuto digitalizzare il processo penale, ma che invece non funziona.
I problemi reali della giustizia, segnalati un po’ in tutte le Corti d’Appello d’Italia, sembrano molto simili. Ma il governo sembra pensare ad altro. Da ultimo alla separazione delle carriere, che ha portato a scioperare l’80% dei magistrati italiani, preoccupati che il provvedimento si traduca in una perdita di autonomia e un assoggettamento all’esecutivo. Alla vigilia dell’incontro fra l’Associazione nazionale magistrati il ministro Carlo Nordio, fissato domani, le posizioni fra le due parti rimangono lontane e le criticità nei Palazzi di giustizia quelle di sempre.
Pochi magistrati, troppo lavoro, uffici paralizzati
In molte Procure medie e piccole, come si evince dall’ultimo bando ministeriale, si toccano picchi di scoperture che mettono a serio rischio la tenuta degli uffici: Trapani 64%, Varese 50%, Bolzano e Pesaro 40%, Trieste 36%. In uffici più grandi come Milano (18%) o Napoli (15,4%), percentuali più ridotte devono fare i conti con numeri assoluti più impattanti. Non sono scoperture “fisiologiche”, ha ricordato il procuratore generale di Napoli Aldo Policastro nel corso della relazione redatta in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario: “Fisiologiche a cosa? Se un ufficio è stato parametrato per un numero determinato di magistrati vorrà pur dire qualcosa, e francamente per me vuol dire che per lavorare adeguatamente quell’ufficio ha bisogno di quel numero di magistrati, altrimenti questo incide sulla qualità e quantità del lavoro”. Quanto ai tribunali, Lanusei (in provincia di Nuoro) viaggia su una scopertura media del 40%, Prato 35%, Palmi e Civitavecchia 24%. A Palermo nell’organico delle quattro sezioni penali dibattimentali è attualmente vacante un posto di giudice sui cinque previsti nella pianta organica, con una scopertura pari al 20%. In Sicilia manca inoltre il 71,6% dei giudici di pace, ovvero solo 48 a fronte dei 169 previsti in pianta organica. A Corleone, per dire, dovrebbero essercene tre. Non ce n’è neanche uno.
Un’altra fotografia interessante è quella dei fascicoli pro capite. Nel Tribunale di Vallo della Lucania i giudici hanno in media 1.262 pendenze, a Nocera Inferiore 1130, a Caltagirone 1078, a Tempio Pausania 1073. Questi i numeri di processi civili lunghi e processi penali, che spesso terminano con la prescrizione dei reati. Allargando lo sguardo alle Procure, si trovano invece uffici dove i numeri rendono molte indagini impossibili. La maglia nera spetta a Ivrea, dove si viaggia a una media di 1.619 pendenze pro capite, a fronte di una media nazionale di 500; Busto Arsizio detiene invece il record di sopravvenienze, il flusso di fascicoli in entrata per magistrato, 973. Altra Procura da bollino rosso è Reggio Emilia, con una scopertura del 50% dei magistrati e singoli pm con ruoli da 2 mila fascicoli, ai limiti dell’ingestibilità.
L’eterna emergenza degli amministrativi
I dati ufficiali parlano di una scopertura media nazionale del 30%, più di 12 mila unità su una pianta organica di oltre 43 mila. In alcuni tribunali si toccano picchi del 50%. Accade ad esempio a Ivrea, Tivoli, Reggio Emilia. È un dato endemico, favorito da storture sistemiche: in altri Ministeri il personale di pari livello guadagna di più, così ogni anno dai tribunali se ne vanno impiegati che passano altri concorsi, come l’Agenzia delle Entrate e le Dogane, dove il trattamento economico è migliore. A Napoli la sofferenza sale a meno 22,3%, con punte del meno 33,7% di cancellieri, meno 71,3 % di ausiliari e meno 41,9% di conducenti. Sofferenze che si estendono a tutti gli uffici giudiziari e se ce n’è uno che è costretto a lavorare alacremente è quello che si occupa del delicatissimo compito delle esecuzioni penali, il più grande d’Italia: nel 2024 ha definito 5.102 procedure per esecuzione di pene detentive e accessorie. “È prioritario che le sentenze definitive siano eseguite in un tempo ragionevole – ricorda ancora il procuratore generale Policastro –. Stiamo provvedendo a individuare quelle sentenze che infliggono pene molto alte per dar loro la assoluta priorità, ancora tanti destinatari sono irreperibili ed è necessario fare uno sforzo eccezionale per giungere alla cattura in tempi rapidi”.
Un altro grande flop è l’ufficio del processo, l’immissione di giovani a tempo determinato che nei piani dell’ex ministra Marta Cartabia avrebbero dovuto abbattere l’arretrato. Un tasto dolente, secondo la relazione sullo stato della giustizia redatta dal ministero: dei 12.103 laureati reclutati, ben 3.299, più di uno su quattro, si sono dimessi in anticipo rispetto alla scadenza del contratto, lasciando l’incarico per un impiego a tempo indeterminato, quasi sempre nella stessa Pubblica amministrazione. In servizio ne restano dunque 8.804, la metà dei 16.500 previsti dal governo.
Digitalizzazione, Pnrr e il flop clamoroso di “App”
Doveva essere lo strumento tecnologico che avrebbe dovuto digitalizzare l’intero processo penale. Con questa promessa l’Italia ha ottenuto lo sblocco di parte dei fondi del Pnrr. Ma App, così si chiama l’applicativo, è stato un vero flop. Lo specchio del fallimento è in un numero contenuto in una relazione della Settima commissione del Csm: 87 tribunali ne hanno sospeso immediatamente il funzionamento, che sarebbe dovuto partire il primo gennaio del 2025. In altre parole, la digitalizzazione era stata presentata all’Europa come la panacea di molti mali della giustizia penale, ma per evitare di paralizzarla, la maggior parte dei tribunali sono rimasti al cartaceo. I primi ad aprire la strada sono stati i grandi tribunali – Milano, Napoli, Roma – che in poco tempo sono stati seguiti da quasi tutti gli altri. “Allo stato attuale – scrivono gli autori della relazione, i consiglieri Marco Bisogni e Maria Vittoria Marchianò – è di fatto impossibile lo svolgimento dei giudizi secondo la modalità telematica in assenza di un’idonea infrastruttura tecnologica”.
L’allarme era già stato lanciato dal Csm a dicembre. Il software ministeriale veniva definito in un report “inidoneo”, la sua estensione al resto dell’attività penale non ancora coinvolta nelle prime sperimentazioni “impensabile”. Senza un nuovo rinvio, ammoniva il Csm, il rischio sarebbe stato di avere “gravissimi problemi nel funzionamento della giurisdizione”. Incurante del parere dell’organo di autogoverno della magistratura e di migliaia di giudici e pm che lavorano sul campo, Nordio è andato avanti come se nulla fosse. E con un decreto approvato fra Natale e Capodanno, si è mandato avanti il progetto. Un modo per dire a Bruxelles che l’Italia sta rispettando le promesse, in questo caso rimaste solo sulla carta.
Le continue modifiche, tutte a costo zero
Occorrerebbe in definitiva rimpolpare gli organici, modificare in alcuni casi la geografia giudiziaria, immettere risorse. Invece i governi, non solo quello attuale, hanno continuato a cambiare le regole. E questo è un altro annoso problema, le riforme che cambiano le regole in corsa prima di valutare gli effetti di quelle precedenti, denunciato da molti e ricordato nella sua ultima relazione dal presidente della Corte d’Appello di Roma, Giuseppe Meliadò: “Nessuna strategia di miglioramento organizzativo può essere realizzata a costo zero così come nessuna riforma processuale è in grado di migliorare la produttività degli uffici in un contesto povero di risorse umane e professionali”.