La Stampa, 4 marzo 2025
Olio, caffè e formaggi: la corsa degli americani al made in Italy prima dell’arrivo dei dazi
Ho iniziato ad acquistare olio d’oliva. Siamo in pensione e siamo solo io e mio marito, ma il prezzo continua a salire. A questo punto avrò circa cinque bottiglie piene» racconta Denise Adams che vive a East Northport nello Stato di New York.
Lauren Anderson vive invece a Brooklin, è di origine americano-messicana e a sua volta ha iniziato a far scorta dei suoi prodotti messicani, peperoncini, salse, mais macinato e pasta di mole. «Fagioli, fagioli, fagioli, compresi i fagioli secchi. Il mio intento è fare scorta ogni settimana di prodotti in scatola e fagioli!» dice invece Kathy Rohlman di Muskegon, Michigan. Mary Corbett di San Diego il giorno dopo l’annuncio dei dazi contro la Colombia si è precipitata da Costco ed ha comprato 16 libre di caffè. Sono ben 7 chilogrammi e più di «riserva strategica, mi fa sentire sicura» spiega. «La vita non ha senso senza sciroppo d’acero» ha scritto invece Geoffrey Wrem di Portland, Oregon, che a sua volta si è voluto mettere al riparo dalle possibili sanzioni anti-Canada.
La sezione Food and Cooking del New York Times, dopo che un redattore ha raccontato che un suo parente aveva acquistato quattro bottiglie di cognac, prevedendo un rialzo di prezzi su tutti i prodotti importati a causa dei nuovi dazi, nei giorni scorsi ha lanciato un sondaggio tra i suoi lettori per capire di quali prodotti avessero iniziato a fare scorta prima che scattassero le sanzioni annunciate da Trump. In base alle prime 250 risposte sono caffè, olio d’oliva e sciroppo d’acero i prodotti più menzionati.
Gli americani, soprattutto le famiglie con i redditi più bassi, temendo una possibile impennata dei prezzi dei beni di prima necessità e degli articoli importati da Canada, Messico, Cina ed Unione europea, da settimane stanno facendo grandi scorte. Comprano innanzitutto generi alimentari, ma anche alcolici, farmaci e prodotti sanitari. Solo sull’agrofood made in Italy, ha stimato Coldiretti, sui consumatori americani coi dazi al 25% annunciati da Trump si abbatterà una stangata da 2 miliardi: 500 milioni solo per il vino, circa 240 milioni per l’olio d’oliva, 170 per la pasta e di 120 per i formaggi.
Più si avvicina il giorno «X» e più cresce il «frontloading», ovvero l’accumulo preventivo. «Oltreoceano è cominciata la rincorsa ai containers per importare e conservare a lungo i prodotti. Si profila così l’accaparramento di Grana padano, di altri formaggi e di prodotti di eccellenza, comprati a prezzi di mercato e destinati ad essere rivenduti con i rincari dei dazi e alimentando quindi una speculazione ai danni dei consumatori» spiega il direttore generale del Consorzio tutela Grana padano, Stefano Berni. «Il nostro prodotto sopporta lunghe stagionature, per cui un po’ di vendite in più agli importatori per i loro magazzini in Usa ci sono state in dicembre» aggiunge, ricordando che il mercato Usa coi primi dazi trumpiani del 2019 registrò una flessione del 20% e «quel formaggio invenduto ma già pronto, perché il nostro formaggio sta mediamente 16 mesi in magazzino, appesantì tutto il mercato con un calo dei prezzi all’ingrosso quasi del 10% di tutto il formaggio».
Gli Stati Uniti nel 2024 sono stati il terzo mercato per il Grana padano Dop con oltre 220.000 forme esportate ed ora una perdita complessiva del 10% peserebbe attorno ai 200 milioni di euro l’anno. «Anche per questo col piano strategico 2024-28 – spiega Berni – puntiamo a rafforzare le nostre esportazioni anche su altri mercati».
Oltre ai nostri formaggi anche i vini, Prosecco, Barolo e Chianti, ed i liquori made in Italy vanno forte Oltreoceano. Lo conferma Federvini che nell’ultimo trimestre 2024 ha registrato un’accelerazione delle esportazioni. Complessivamente parliamo di oltre 800 milioni di euro su un totale di quasi 8 miliardi di euro di prodotti agri-food esportati, calcolando anche olio d’oliva, pasta, conserve e salumi, ovvero le eccellenze del made in Italy che ora sarebbe un peccato finissero nel tritacarne di una nuova guerra commerciale.