La Stampa, 4 marzo 2025
Matteo Plicchi: “Mio figlio Vincent suicida per gli haters. Assurdo archiviare, ma non mi arrendo”
Vincent Plicchi sapeva ballare, suonare, imitare gli accenti, fare i tatuaggi, disegnare, fare snorkelling e navigare, ma era diventato famoso su Tik-Tok impersonando un eroe dei videogame. Si chiama cosplay. Due cosplayer invidiosi del suo successo hanno inventato che fosse un pedofilo e la loro bugia è stata creduta. È stato investito da un’ondata di odio in rete. Si chiama shitstorm. Il 12 ottobre di due anni fa, il 23enne si è tolto la vita in diretta social nella sua casa di Bologna. Da allora, suo padre Matteo è in guerra contro tutti quelli che hanno contribuito a sopraffare il ragazzo. Ha appena incassato una sconfitta in tribunale, dove è stata archiviata la sua denuncia per istigazione al suicidio. È arrabbiato, ma non vinto, nonostante la condanna esistenziale di vedere il profilo di suo figlio bannato, proprio per quell’ultimo terribile video, che però altri continuano a pubblicare.
Matteo, come ha reagito all’archiviazione?
«Sono basito. Oggi ero andato al cimitero da Vincent, perché mi aiutasse con un po’ fortuna. Invece, sprofondiamo nei tecnicismi del diritto. Non sono un giudice, ma leggendo il dispositivo trovo cose che non sono assolutamente corrette».
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Cosa non la convince?
«Ecco qua l’atto: “Non v’è la prova, né la stessa pare acquisibile altrove, che gli autori dei messaggi e dei commenti contestati fossero realmente consapevoli del fatto che tali atteggiamenti avrebbero potuto spingere il giovane Vincent all’estremo gesto”. Questo è uno dei capisaldi della decisione. Mi scuso, ma è una grandissima cazzata».
Perché?
«Il giudice riconosce che Vincent abbia manifestato il desiderio di reagire alle accuse uccidendosi, in chat private con alcuni utenti che, è vero, non erano correlati alle minacce. Però, in un’altra chat, lo rivela a una donna che è la compagna di quello che gli ha scritto: “Chi non muore si rivede bastardo (...) ti stanno dando la caccia tutti e denunciando, sei un pedofilo di merda, vigliacco, non meriti nemmeno di stare al mondo”. È l’ultima cosa che ha letto prima di togliersi la vita. Come si fa a dire che manca la prova?».
È sicuro che questa donna fosse al corrente?
«Assolutamente sì. Ci sono delle chat del 25 settembre in cui lui lo dice chiaramente. Si potrebbe obiettare che, anche se lei lo sapeva, potrebbe non averlo detto al fidanzato. Su questo, io e l’avvocato Benfenati abbiamo verificato che il fidanzato aveva accesso ai vari profili social aperti a nome di lei. Ha scritto a Vincent anche usando quelli. Poi, c’è un’altra chat, in cui mio figlio le scrive: “Ho già deciso che mi suiciderò”. In quella stessa conversazione, è stato inviato l’ultimo messaggio che ho riferito».
Il giudice ha chiesto alla procura di verificare se c’è stata diffamazione. La soddisfa?
«La diffamazione è nulla rispetto a ciò che hanno fatto a mio figlio. Posso sperare solo sperare che da quell’indagine si riescano a dimostrare altre responsabilità più gravi. Ma non ho fiducia che andranno a cercare realmente gli hater. Al massimo, ci sarà una denuncia. Mille euro di multa e passa la paura. Con la superficialità con cui è stato approcciato il caso, so che anche questo si risolverà con l’archiviazione».
Le false accuse di pedofilia contro Vincent sono state ordite da due tiktoker statunitensi. Vede qualche possibilità che rispondano delle loro azioni?
«Quei due in America sarebbero stati difficili da raggiungere anche se li avessero accusati di istigazione al suicidio, figuriamoci con la diffamazione. La risposta è no».
Li avete identificati?
«Sono noti dal giorno zero. Conosco i loro nomi e i loro cognomi. Hanno sempre continuato a fare quello che volevano. Tutti i giorni, senza problemi».
Ha mai parlato con le persone che hanno insultato Vincent?
«Uno di loro, un italiano, mi ha scritto sui social. Mi ha detto: “È vero, l’ho fatto anch’io”. Quello forse è l’unico che potrà essere raggiunto dall’inchiesta per diffamazione, ma parliamo pur sempre di aria fritta».
Vincent aveva una grande comunità di ammiratori. Amavano i suoi contenuti. Ha trovato un modo perché restino fruibili?
«No. Mentre tutti i suoi hater sono online, il profilo di Vincent è chiuso. Il problema è il video del suo suicidio, che è catalogato come contenuto non idoneo per le norme di Tik-Tok. Provvedimento inutile, se si considera che chiunque voglia, può vederlo ancora. Viene costantemente ripostato da altri sulla stessa piattaforma, senza però che venga ritenuto violento. Di fatto, non si vede nulla. Vincent esce dall’inquadratura. Vedono solo me che sfondo la finestra ed entro in camera sua per provare a salvarlo».
Come intende proseguire la sua battaglia?
«Di certo non restando zitto. Tacere non è il mio modo di vivere, mi spiace».