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 2025  marzo 04 Martedì calendario

Un libro sulla storia della moneta

Carlo M. Cipolla (Pavia, 15 agosto 1922 – Pavia, 5 settembre 2000) è stato tra i più grandi studiosi e storici dell’economia. Nel professore universitario vivevano insieme due anime: quella dello storico e quella dell’economista. Nel 1952, lo storico Fernand Braudel, che aveva accolto il giovane Cipolla (trentenne già famoso per i suoi studi di economia; in cattedra a Pavia a soli ventisette anni) nella École des Annales, lo celebrava come un brillante studioso dal futuro glorioso. Cipolla, però, doveva prima cimentarsi alla lotta intellettuale. Il suo pensiero era troppo nuovo! Oggi possiamo dire che Cipolla è stato un genio della interdisciplinarietà, capace di “suonare”, con eguale disinvoltura, storia e teoria economica, senza dimenticare l’ésprit de finesse.
Nel centenario della sua nascita, lo avevamo ricordato come professore nella University of California a Berkeley, alla Scuola Normale di Pisa, all’Istituto Universitario Europeo e negli atenei di Venezia, Torino e Pavia. E non solo: per noi è stato soprattutto un gentleman, uno studioso che ha saputo scrivere saggi fondamentali di storia economica con stile, con l’arte di esprimere concetti complessi in poche parole, non esibendo l’erudizione, che veniva, invece, diluita in un racconto amabile e avvincente. Cipolla ha avuto anche il brio di cimentarsi, al di là di imponenti studi di storia economica, su un tema apparentemente assurdo: la stupidità, la bêtise, che i francesi, da Flaubert in poi, hanno da sempre preferito chiamare senza filtri connerie, parola che deriva da con, ovvero stupido, o meglio, “coglione”. Ricordando tutto questo, siamo felici di presentare un volume di Cipolla appena uscito per la casa editrice Il Mulino: Viaggi e avventure della moneta. Una conversazione con Thomas. J. Sargent e Robert M. Townsend ( pagg. 216, € 16). Un libro dove sono presentissimi i tratti di Cipolla che abbiamo appena descritto. La lunga intervista allo studioso di Pavia è stata condotta, quarant’anni fa, a Berkeley, da economisti che erano impegnati a indagare una questione particolarmente complessa: il ruolo e il valore, in un sistema economico di equilibrio generale, di una moneta «fiat», ovvero non legata a un bene fisico quale, in passato, l’oro e l’argento. Cipolla appare in questo volume all’ennesima potenza: a complesse domande risponde con la leggerezza e la sintesi di un vero e proprio Maestro del sapere, navigato nell’arte di raccontare.
La storia della moneta viene esposta dagli inizi: dalla Lidia alla Grecia, dall’Egitto a Roma, fino all’alto Medioevo. All’interrogativo degli studiosi su una possibile attività bancaria nell’antichità, Cipolla risponde affermativamente per l’antica Grecia, dove i templi «fungevano anche da banche e concedevano prestiti», tenendo a non usare il tasso d’interesse per regolare la domanda ma razionandola quando terminava la disponibilità di moneta.
Nel racconto di Cipolla l’alto Medioevo in Europa fu un tempo selvaggio in «un luogo che i bizantini avrebbero considerato barbaro, molto primitivo». Eppure è in quel periodo che – con l’introduzione di lira, soldo e denaro – la storia si fa interessante perché le monete non hanno più un valore intriseco di oro e argento. Un po’ come i Bitcoin di oggi.
Lasciando da parte le considerazioni erudite di Cipolla sulle valutazioni di natura numismatica relative al peso, sul conio, sul contenuto intrinseco d’argento e la “finezza” delle monete, che probabilmente strapperanno più di un sorriso di ammirazione al collezionista di monete antiche, il fascino del libro sta nel racconto della vita di un passato, che non appare così tanto remoto o poco familiare, ad esempio, a noi italiani. Alla domanda se i signori emettevano moneta e se c’erano transazioni a distanza alla fine del XV secolo in Europa, Cipolla cattura la nostra attenzione, raccontando il baratto e le fiere settimanali e mensili, quando si usavano con maggiore frequenza le monete.
Spiega: «Nel 1473, a Firenze, c’era il Banco dei Medici, una banca molto all’avanguardia, una specie di holding bancaria, con filiali in tutta Europa. Allo stesso tempo, si era sviluppato il sistema degli assegni, tanto che i salari di alcuni lavoratori venivano effettivamente pagati tramite assegni, anziché in moneta. Sempre in quel periodo, a pochi chilometri da lì, nelle campagne del Casentino, una zona montuosa vicino a Firenze, il fabbro locale teneva i registri, i libri contabili, che riportavano tutte le transazioni. La gente andava da quel fabbro, il mastro fabbro, quando aveva bisogno di far riparare il mulino, aggiustare una serratura e così via. Ebbene, solo ventitré transazioni erano in moneta. Questo a trenta chilometri da Firenze. Un po’ come accade oggi: a New York troviamo le tecniche di finanziamento avanzato e nell’Africa centrale il boscimano che non usa ancora la moneta. A quel tempo in Europa, a distanze relativamente brevi, potevano esserci situazioni molto diverse».
La grande storia rimane sullo sfondo dello studioso, che ama lavorare intorno a una sola idea. Così la moneta viaggia dall’Inghilterra alla Spagna, che non fu solo il primo Stato burocratico dell’Europa moderna ma anche una delle prime grandi potenze coloniali, segnata dall’ambiziosa politica estera di Carlo V e dei suoi successori, precorritrice di seri problemi finanziari.