la Repubblica, 4 marzo 2025
Dalla parte degli insetti, parla Vicki Hird: “Sì, chiediamoci se le formiche sono felici”
L’entomologa suona la carica. Perché l’aragosta, per citare un memorabile libro di David Foster Wallace, va considerata. E con lei la lunga, sterminata schiera di invertebrati di cui poco s’interessa il grande pubblico. Anche per questo la biologa inglese Vicki Hird scende in campo, ancora una volta, al fianco degli insetti. Dopo il suo Rebugging the planet (mai tradotto in italiano), un appassionato atto d’amore per gli invertebrati, ha fatto molto discutere in questi giorni un articolo per The Guardian dal titolo emblematico: “I vermi provano dolore e le formiche sono felici? Perché la ricerca sui sentimenti degli invertebrati si sta evolvendo”.
Il tema, molto dibattuto in letteratura scientifica, è quello del benessere degli insetti e della presenza di meccanismi di regolazione della nocicezione, ancorché primitivi: qualcosa di potenzialmente simile al dolore propriamente inteso. Vicki Hird – che nella sua biografia ufficiale si definisce bug lover – ne parla a Green&Blue dalla sua casa di Londra.
Davvero siamo in grado di comprendere se un verme prova dolore se calpestato?
“C’è un crescente corpus di lavori che affrontano le tipologie di criteri e misurazioni che si potrebbero usare per valutare se gli invertebrati, che – ricordo – rappresentano il 95% di tutte le specie animali, siano senzienti. È un’area di studio entusiasmante, che coinvolge diversi ricercatori o nel Regno Unito, tra cui Andrew Crump, che è stato in grado di dimostrare – attraverso una serie di misurazioni – che gli invertebrati più grandi, in particolare granchi e polpi, possano ‘sentire’, utilizzando metodi simili per testare la sensibilità dei vertebrati. Quindi è solo questione di tempo. Ma abbiamo bisogno di misurazioni multiple: non esiste un singolo attributo del comportamento che ci dia le risposte. Spero vivamente che si possano elaborare risposte per i vermi e tutti gli esseri del pianeta. L’obiettivo ultimo è di assicurarci di trattarli nel modo più umano possibile”.
Se gli invertebrati avvertono dolore, c’è un tema non marginale che si fa largo e riguarderebbe i loro diritti. Da un punto di vista legislativo, quali sono i Paesi più avanzati? Ritiene che le cose potrebbero cambiare in futuro?
“Questa è una domanda molto interessante: non tutti sanno, del resto, che già oggi esistono leggi sulla sensibilità per gli animali, inclusi cefalopodi e crostacei decapodi, in diversi paesi tra cui Nuova Zelanda, Svizzera, Norvegia, Canada e persino in alcuni Paesi dell’Unione Europea. Nel Regno Unito, per la prima volta, gli invertebrati sono stati inclusi nell’Animal Welfare (Sentience) Act 2022, che è stato modificato per includere alcuni grandi invertebrati ed è stato approvato solo di recente. Per quanto ne so, però, non esistono ancora tutele legislative per gli invertebrati ‘inferiori’, che costituiscono di gran lunga il maggior numero di animali sul pianeta”.
Nelle pagine del suo “Rebugging the Planet” sottolinea quanto gli invertebrati siano essenziali, per il bene nostro e del pianeta. Da dove nasce il suo grande interesse per formiche, api e granchi?
“Ho iniziato da piccola ad affascinarmi agli invertebrati, insetti in primis, e un po’ a tutto il mondo naturale. Allevavo formiche in una scatola, sotto il letto. Ho poi avuto un grande insegnante di biologia a scuola, che mi ha indirizzato sulla strada della ricerca: così, ho conseguito una laurea in biologia e ho finito per studiare gli impatti dei pesticidi e, subito dopo, a intraprendere un master in gestione dei parassiti con focus sull’agricoltura. Il resto è nato da quell’interesse”.
Le popolazioni di insetti nel Regno Unito stanno diminuendo a un ritmo allarmante, al punto che il governo sta valutando di mettere in atto piani per monitorare e ridurre l’uso e la tossicità dei pesticidi prima che sia troppo tardi. La situazione è così allarmante?
“Sì, lo è. Perché allarmante è il ritmo con il quale registriamo il declino di alcune specie e, soprattutto, perché stiamo esaurendo il tempo a nostra disposizione. Alla base del declino di molte specie di insetti ci sono molti fattori: dalla perdita di habitat e dal cambiamento climatico all’inquinamento luminoso, fino naturalmente ai pesticidi. Stiamo ancora aspettando un sistema efficace per affrontare questo problema in modo efficace, elaborando magari un nuovo National Action Plan on The Sustainable Use of Pesticides, con sette anni di ritardo. Ci sono stati alcuni progressi su alcune sostanze chimiche davvero problematiche, penso ad esempio al recente divieto di insettici di neonicotinoidi, che sono estremamente tossici: attaccano infatti il sistema nervoso degli insetti e, anche a basse dosi, le api e i bombi sono disorientati, non trovano più il loro alveare. Ma sono considerati molto efficaci e così vengono ancora utilizzati in tutto il mondo. E ora nel Regno Unito abbiamo un sostegno finanziario per gli agricoltori che utilizzano sistemi di gestione integrata dei parassiti: si tratta di un passo molto importante”.
Qual è la sua opinione sul consumo di insetti per uso alimentare?
“Due miliardi di persone in tutto il mondo mangiano regolarmente insetti, non mi sentirei di dire che non dovrebbero farlo: sono, anzi, una fonte vitale di proteine e del resto vengono utilizzate da molte centinaia di anni. Ma la moderna produzione industriale di insetti come cibo, beh, è più problematica: potrebbe avere un ruolo nel sostituire fonti di proteine molto più problematiche e dannose, in particolare la carne di animali da allevamento intensivo. Ma dovrebbe essere effettuata in modo sostenibile, avendo realmente a cuore il benessere degli animali a cuore e il rispetto delle normative. Ma non credo che l’allevamento di miliardi di insetti come mangime per animali sia giustificabile: potrebbe sostenere un sistema di allevamento intrinsecamente crudele e insostenibile da cui ben guardarci, dato il suo impatto sulla fauna selvatica, sul clima, sulla salute umana e così via.
Lei è anche Strategic Lead on Agriculture per il “The Wildlife Trusts” ed è stata responsabile di “Sustainable Farming for Sustain”, l’alleanza per un cibo e un’agricoltura migliori. Ha più volte sostenuto l’opportunità di non vietare la carne d’allevamento. Come pensa che si possa risolvere, allora, il problema della sostenibilità alimentare?
“Per trent’anni ho sostenuto campagne volte a ripensare il sistema agricolo e alimentare su traiettorie molto differenti, in cui carne e latticini si configurino come parte residuale della nostra dieta. Non ci si aspetta che vengano eliminati del tutto e in molte regioni possono essere una parte vitale della cultura, degli ecosistemi, delle comunità e delle economie. Ma non possiamo risolvere la maggior parte dei problemi di utilizzo delle risorse, mitigazione dei cambiamenti climatici, giustizia ambientale, cattiva salute correlata alla dieta umana e ripristino della natura senza una consistente riduzione del consumo di carne e latticini”.
Ha paura delle politiche ambientali di Trump?
“Sì. Il taglio alla ricerca e all’azione sul clima sono un autentico disastro. Anche la protezione della natura è fondamentale. Quello che sta facendo il presidente degli Stati Uniti è terrificante: la conseguenza è che ora è il resto del mondo a dover fare un passo avanti con maggiore determinazione. In fretta”.
Qual è il suo rapporto con l’Italia?
“Adoro visitarla, trovo gli italiani accoglienti e affascinanti, adoro il cibo e sono estremamente interessata alla sua storia. Il mio ultimo viaggio è stato in Sud Italia, tra Napoli, Sorrento e il Vesuvio”.