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 2025  marzo 04 Martedì calendario

Bomba atomica, perché la nuova «dottrina Trump» può innescare una corsa agli armamenti

«Vogliamo fermare il problema della proliferazione nucleare». Lo aveva detto Donald Trump, al termine dell’incontro con Vladimir Putin, a Helsinki, a metà luglio del 2018. Erano le settimane in cui il presidente americano prometteva, anche a colpi di faccia a faccia e strette di mano, di indurre a più miti consigli il dittatore nordocoreano Kim Jong-un, in piena corsa verso la Bomba.
In verità, un anno dopo, lo stesso Trump, oltre a non aver ottenuto alcun passo indietro da Kim (alla faccia delle sue continuamente sbandierate abilità negoziali) aveva annunciato il ritiro degli Usa dal Trattato Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces) – siglato nel 1987 da Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov – l’accordo tra Russia e Stati Uniti per garantire un equilibrio tra i due maggiori arsenali nucleari (qui un’analisi di Mario Del Pero dell’Ispi sui perché di quella scelta).
Un paio di settimane fa, però, Trump è tornato sul tema, proponendo un accordo sul nucleare con Russia e Cina per dimezzare i bilanci della difesa. «Stiamo tutti spendendo un sacco di soldi che potremmo spendere per altre cose, si spera, molto più produttive», ha detto il presidente Usa, affermando di voler riprendere i colloqui sul controllo degli armamenti con Mosca e Pechino. Inoltre c’è chi, come l’ex ambasciatore italiano in Iran Luca Giansanti (qui un suo intervento sul tema), ritiene che, dopo essere stato l’affossatore dell’accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa), Trump, con il suo pragmatismo che punta al risultato, potrebbe essere la persona giusta per indurre un Iran indebolito ad abbandonare i suoi sogni nucleari.
Vedremo. Anche perché, come hanno fatto notare Lucas Ruiz e Geoff Wilson sul Bulletin of the Atomic scientists, «la sua amministrazione sta anche sposando la “pace attraverso la forza” – il mantra di Ronald Reagan – come uno dei fondamenti della sua politica estera. (...) Altri conservatori spingono Trump ad adottare quello che fu il manuale di Reagan per le relazioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica, dimostrando la supremazia degli Stati Uniti a livello internazionale, il che include l’accelerazione della corsa agli armamenti nucleari. E, cosa ancora più preoccupante, alcuni sostengono che per vincere questa corsa agli armamenti sia necessario essere pronti a riprendere i test con ordigni nucleari degli Stati Uniti. Alcuni esponenti dell’establishment militare hanno chiesto la reintroduzione delle armi nucleari tattiche nell’arsenale statunitense, nonostante siano estremamente destabilizzanti».
Secondo Ruiz e Wilson, al momento non è affatto scontato che Trump applicherà anche la seconda parte della dottrina nucleare reaganiana: «Queste politiche da falchi sono solo la prima parte del capitolo armi nucleari di Reagan. Nel 1982, dopo aver aumentato le spese per la difesa del 35%, Reagan invertì improvvisamente la rotta e, come noto, dichiarò in un discorso radiofonico che “una guerra nucleare non può essere vinta e non dovrà mai essere combattuta”».
In attesa di capire se nella testa di Trump prevarrà la voglia di tagliare le spese militari o quella di fare l’America ancora più grande anche come potenza nucleare, per intimidire i rivali, c’è chi teme che la nuova «dottrina Trump» in politica estera (detta brutalmente: fino ad oggi l’America ti ha protetto, domani chissà) potrebbe spingere più di uno Stato a pensare all’atomica come polizza assicurativa di ultima istanza. Secondo un’analisi pubblicata da Le Grand Continent già pochi giorni dopo la rielezione di Trump alla Casa Bianca, le nazioni dotate di armi nucleari potrebbero passare dalle attuali 9 a ben 17.
«L’autorevole analista tedesco Ulrich Speck – ricorda Le Grand Continent – aveva presentato un pronostico: dopo la sua rielezione, Donald Trump potrebbe essere in grado di ritirare la protezione nucleare degli Stati Uniti sull’Europa e sull’Asia, lasciando la Corea del Sud ed il Giappone con le spalle al muro. Di fronte alle minacce della Cina e della Corea del Nord, è probabile che Tokyo e Seul cerchino di sviluppare un programma nucleare militare». Secondo Speck, altre potenze potrebbero cercare di acquisire armi nucleari in reazione al deterioramento dell’ambiente strategico. Ecco il suo elenco:
    L’Ucraina potrebbe considerare il ricorso alla bomba atomica come l’unica risposta per scoraggiare ogni velleità russa in futuro (qualcuno, anche se solo come forma di protesta, ha già lanciato un’iniziativa di crowdfunding in tal senso, come riferisce il Kyiv Post).
    La Polonia, anch’essa minacciata da Mosca, potrebbe vedere la bomba atomica come l’elemento di alto livello mancante nel suo arsenale, in forte progressione.
    La Germania inizialmente cercherebbe la protezione nucleare di un altro alleato – probabilmente la Francia (che si è già fatta avanti in tal senso) – ma potrebbe passare all’azione quando gli ostacoli alla non proliferazione cadranno.
    L’Arabia Saudita, da parte sua, potrebbe cercare di acquisire la bomba se l’Iran diventasse una potenza nucleare a tutti gli effetti.
    Infine, nel caso in cui Trump dovesse dare seguito a alcune minacce della sua campagna elettorale, anche la Turchia si potrebbe sentire sostanzialmente indebolita dalla perdita dell’ombrello nucleare americano (tramite l’articolo 5 della Nato), in quanto questo altererebbe l’equilibrio con Mosca.
Magari è soltanto fantapolitica apocalittica, anche perché un conto è sentire il bisogno di una deterrenza nucleare e tutt’altro conto è costruirsela. D’altro canto, però, è intuibile che, più uno Stato si sente insicuro, più sarà disposto a ricorrere a misure di protezione anche radicali.
E c’è di più. Le Grand Continent ricordava anche che Sergei Karaganov, direttore dell’influente Consiglio per la politica estera e di difesa russo, «vede nell’espansione del club delle potenze dotate di armi nucleari (che chiama “multilateralismo nucleare”) un modo efficace per contribuire a far retrocedere gli Stati Uniti “dal ruolo accidentale di egemone mondiale a quello di una normale grande potenza"». Peraltro Karaganov aggiunge che «la Germania, che ha scatenato due guerre mondiali e un genocidio, deve diventare l’obiettivo legittimo di un attacco preventivo e deve essere distrutta completamente se mai mettesse le mani su una bomba nucleare», che «la Polonia non potrà evitare un simile destino in caso di estrema necessità, se intende dotarsi di armi nucleari» e che «la Cina avrà tutto il diritto e persino l’obbligo morale – con il sostegno della Russia e di altri Paesi della maggioranza mondiale – di punire il Giappone, la cui aggressione è costata la vita a decine di milioni di cinesi e di altri asiatici, e il cui sogno è ancora di vendicarsi rivendicando i territori russi, se mai Tokyo si avvicinasse alle armi nucleari». Mentre, in caso di ritorno trumpiano alla «dottrina Monroe» del «giardino di casa sudamericano», la Russia potrebbe «prendere in considerazione la possibilità di aiutare il Brasile o anche il Messico (se lo desiderano) a ottenere lo status nucleare».
Monete virtuali
Non è più tranquillizzante l’analisi di Jessica T. Mathews, ex presidente del Carnegie endowment for international peace. In un articolo sulla New York Review of Books pubblicato anche da Internazionale, prima ha ricordato che gli Stati Uniti si erano ritirati dal trattato anti missili balistici (Abm) già nel 2002 («Legittimando così il principio che una parte possa abbandonare unilateralmente un accordo quando non lo considera più di suo gradimento») mentre nel febbraio 2026 scadrà il New Start, «l’ultimo mattone rimasto dell’edificio costruito negli anni ottanta, lasciando Washington e Mosca libere da ogni restrizione sugli arsenali nucleari per la prima volta da mezzo secolo». Poi ha scritto: «Oggi sembra che stia cominciando una nuova corsa agli armamenti. La nuova era nucleare sarà molto più pericolosa della prima, perché avrà tre protagonisti (oggi c’è anche la Cina), e sarà molto più imprevedibile di quella bilaterale dei tempi della guerra fredda. Inoltre, sarà amplificata dall’avvento delle armi tecnologiche, dell’intelligenza artificiale, della possibile militarizzazione dello spazio e di altre innovazioni. (...) L’insieme delle spese per modernizzare e accrescere i tre più grandi arsenali nucleari del mondo, le tensioni, la mancanza di fiducia tra la Russia, la Cina e gli Stati Uniti, e infine i progressi tecnologici destabilizzanti spiegano perché l’orologio dell’apocalisse oggi segna pochi secondi alla mezzanotte».
Ed è stato appena spostato da 90 a 89 secondi prima dell’Armageddon. Tra i motivi, questo: «Il processo di controllo degli armamenti nucleari sta crollando e i contatti ad alto livello tra le potenze nucleari sono del tutto inadeguati di fronte al pericolo che incombe. È allarmante che non sia più insolito che i Paesi privi di armi nucleari prendano in considerazione lo sviluppo di arsenali propri – azioni che minerebbero gli sforzi di non proliferazione compiuti da tempo e aumenterebbero le possibilità di innescare una guerra nucleare».