Corriere della Sera, 3 marzo 2025
Trump-Zelensky e il ruolo chiave dell’interprete
Quando il 26 dicembre 1941 Winston Churchill disse, parlando al Congresso degli Stati Uniti, che se, invece che avere una madre americana e un padre inglese, fosse stato il contrario sarebbe arrivato in quel podio con i suoi mezzi, aveva alle spalle una Londra bombardata più di Kiev, ma tante risorse. Primo, l’America era ormai entrata in guerra a fianco dell’Impero Britannico. Secondo, era un membro, sia pure cadetto, di una casata ducale. Terzo, il presidente americano era Roosevelt. Quarto, e non dimentichiamolo, era uno dei più grandi oratori anglofoni del Novecento, premio Nobel per la letteratura nel 1953.
Il 28 febbraio scorso Zelensky purtroppo non aveva nulla di tutto ciò, e ovviamente non gliene si può fare una colpa, mentre dobbiamo riconoscergli il merito di aver reagito con fermezza non solo all’invasione russa ma, nella fattispecie, al clima di una America irriconoscibile rispetto a quella che accolse Churchill; sebbene, non dimentichiamolo, anche allora la maggioranza degli americani era contro l’intervento, e c’era voluta Pearl Harbour per sbloccare la situazione.
Però almeno sul quarto punto, la lingua, c’era un rimedio, l’interprete. Trump e Vance volevano attaccare e fargli saltare i nervi. Un interprete gli avrebbe permesso di capire di più (nell’intervento a Fox News ce l’aveva, e infatti è andata meglio), di controllare la legittima frustrazione, e insomma di combattere ad armi pari almeno lì. Inoltre, la presenza di un interprete avrebbe ricordato un po’ a tutti che si trattava di un incontro di Stato.
Bisogna imparare dai cinesi: anche in università (l’unico ambiente di cui abbia esperienza diretta), il capo, che sa l’inglese ma non lo dice, ha un assistente giovane che traduce. Ha tempo per riflettere. All’occorrenza anche per far sbollire la rabbia. E non si trova in inferiorità linguistica, anzi, rivendica la dignità della sua lingua di fronte a chi (è il caso di molti americani, forse anche di quei due) è convinto che Dio parlasse inglese.