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 2025  marzo 03 Lunedì calendario

Michele Rossi, direttore del Gabinetto Vieusseux: “Le recensioni dei libri? Figlie dell’amichettismo”

“Non se ne può più delle recensioni che non sono recensioni, ma articoli di promozione scritti da sodali, in nome dell’amicizia e della deferenza tra autore e critico”. Michele Rossi dal maggio 2023 è direttore del Gabinetto Vieusseux di Firenze, un’istituzione culturale che nel 2019 ha compiuto 200 anni e che oggi custodisce pure decine di preziosissimi fondi di intellettuali del Novecento, da Ungaretti a Pasolini, da Gadda a Montale, da Citati a Siciliano, solo per citarne alcuni. Rossi, che è anche dottore di ricerca in Letteratura italiana e assistente di Storia della critica letteraria – cattedra detenuta nel capoluogo toscano da Marino Biondi – al Vieusseux organizza una serie di incontri tematici. Dopo aver discusso dei maestri del giornalismo o, la scorsa estate, della musica dei poeti, adesso ha deciso di dare il via a una serie di appuntamenti (si comincia il 5 marzo) sulle “Stroncature”, che nel mondo letterario non esistono più.
Direttore Rossi, partiamo con una domanda ironica: perché ha deciso di inimicarsi in questo modo il mondo dell’editoria?
Perché è imbarazzante: tutti leggiamo le recensioni o gli inserti culturali sui giornali, tutti vediamo cosa accade. Non esiste più la vera critica, momento di interpretazione e di giudizio fatta con competenza e gusto. Non si guarda più all’opera, ma solo al suo autore. Se costui è un nome o un personaggio, allora scatta la recensione. Altrimenti, se non ha rilevanza, non finisce sui giornali.
In Italia si pubblicano quasi 90mila titoli all’anno, 240 al giorno. Non crede che sia difficile per un critico andare a cercare cosa può essere degno di recensione?
Il problema è a monte: si pubblicano tanti libri perché non esistono più i veri editori, che un tempo procedevano a una selezione molto accurata ed erano garanzia della qualità dello scrittore. Ci sono addirittura persone che si autopubblicano. Questa non è democrazia, è uno svilimento della letteratura. In molte case editrici non esiste neanche più la figura dell’editor e il risultato è che escono opere con strafalcioni grammaticali. Il lettore medio non capisce più se un libro è di valore o no, anche perché – ed è il secondo passaggio – non esiste più la critica letteraria.
Qual era il compito del critico?
Dare al lettore gli strumenti per comprendere l’opera, per interpretarla. C’era un metodo, che poteva essere – che so – sociologico o psicologico, e c’era una corretta analisi stilistica e linguistica. Adesso la recensione è il riassunto di un romanzo. Oggi il “critico” ha un rapporto amicale con l’autore.
Mi sta dicendo che finiscono sui giornali le opere recensite nei salotti letterari?
Non solo sui giornali: penso ai premi letterari, ai festival o alle fiere del libro. Vengono portati in giro solo autori di richiamo. Si punta alla quantità di vendite, non alla qualità di ciò che si vende.
Questo non abbassa ulteriormente il livello culturale?
La letteratura è una cosa seria, scrivere significa avere conoscenze. Oggi mancano proprio le basi, e non parlo di dilettanti, del banchiere che s’improvvisa scrittore, parlo proprio degli autori di grido. E non le dico per la poesia: non si conosce neanche la metrica, basta andare a capo.
Giovanni Papini, il cui fondo si trova al Vieusseux, nell’introduzione alla seconda stesura delle sue “Stroncature”, scriveva: “Ho intitolato questo volume ‘Stroncature’ per ragioni, soprattutto, commerciali perché quella parola attira più facilmente la malignità e curiosità degli uomini i quali, per il gusto di sentir strapazzare qualcuno, arrivano fino al punto di vincere l’infame avarizia e di spendere qualche lira per un libro”. Varrebbe ancora?
La stroncatura serve a questo: attira malignità e curiosità. Non va vista come qualcosa di negativo, anzi. I nemici sono quelli che vedono meglio i nostri difetti. Se una stroncatura è fatta con onestà intellettuale e principi di verità, ben venga: è un invito alla lettura di quel libro, fa riflettere. Il vero critico è capace di mostrare quello che c’è dietro un’opera.
Ma perché è accaduto tutto questo?
La cultura umanistica sta vivendo un passaggio epocale. Si acquistano pochissimi romanzi, ma si acquistano i libri scritti da un personaggio sportivo, da un giornalista, dall’autore di una sceneggiatura. Finiscono in classifica i volumi recensiti sui giornali. Il romanzo non è più al centro della nostra tradizione letteraria.