la Repubblica, 3 marzo 2025
Carlo Verdone racconta Eleonora Giorgi: “Andavamo insieme ai concerti, era energia pura”
Carlo Verdone ricorda Eleonora Giorgi: “È una mattinata disastrosa, per me”, ripete, e la voce è rotta spesso dal pianto. Ha postato un ricordo sui social, una foto con un bacio: “Amore mio...”.
Quando è stata l’ultima volta che vi siete sentiti?
“Cinque giorni fa. Mi ha mandato un messaggio che mi ha fatto piangere per un’ora. Un dramma. Un messaggio meraviglioso, pieno di cuori, pieno di ‘ti amo’ e ‘grazie per quello che mi hai dato’. Lei, che entrava nella stanza della morte, trovava il coraggio di dire queste cose così belle, così vere. Mi ha fatto piangere (e piange ancora adesso, Verdone, ndr). Non avevo la forza di risponderle, le ho mandato un cuore. Questa donna è stato un grande esempio, con tutto quello che andava ad affrontare ha avuto un coraggio e una dignità incredibili. Sono rimasto ammirato e addolorato. Stamattina ho saputo la notizia ed un disastro. Un disastro”.
Ha postato quella foto bellissima in cui vi baciate.
“Nel suo ultimo messaggio mi ha scritto: ‘Ti bacio con tanto affetto perché sei il mio Bros. Ti vorrò bene per sempre’. Ho voluto mettere la foto di un bacio e quella dedica scritta in sessanta secondi, non so neanche cosa ho scritto, ho scritto quello che mi sentivo”.
Tutti sapevamo a cosa andava incontro. Alla fine, però, è lo stesso una cosa che sorprende, sconvolge.
“La vita è una ruota della fortuna. Puoi avere grandi medici, soldi, tutto. Ma è anche una questione di culo. Puoi stare attento quanto vuoi, ma arriva un colpo alle spalle che non t’aspetti, e dici, ma perché? Questo è il mistero. E quindi, o hai la fede come ce l’aveva lei, e secondo me ce l’aveva veramente forte, perché altrimenti non sarebbe andata in televisione con quella serenità, con quella pacatezza, oppure non ce l’hai: allora sono dolori veri”.
Lei aveva un aspetto etereo ma in realtà aveva anche un carattere, una tempra di ferro.
“Era molto forte. Ha tenuto insieme tutti quanti… Era molto orgogliosa dei figli, del nipotino. Mi ha sorpreso in questi ultimi giorni, vissuti dando sempre un’immagine di sé pacata, non costruita. Era vera, sincera. Dava speranza a tutti, anche a chi magari aveva una malattia simile alla sua. Ha suscitato ammirazione, tutti erano ammirati: ‘Ma guarda con che forza questa donna affronta tutto’”.
È diventata un esempio per tutti quelli che si vergognano di parlare della malattia. Viviamo in una società che ha il mito della salute…
“Una società tutta sbagliata. In Vita da Carlo dico ‘le palestre piene e le chiese vuote’. Ormai è tutta una questione estetica. C’è poca cura per l’aspetto spirituale, per l’aspetto intimo. È tutto un fattore estetico. E questo è quello che non mi piace di questo mondo, che vede solo l’estetica. Eleonora ci ha comunicato, nella malattia, quella grande forza che non conoscevamo”.
Eleonora Giorgi ricordava sempre quanto lei era stato importante per la sua carriera.
“Anche io l’ho detto di lei, perché Borotalco senza di lei, senza il suo dinamismo, la sua effervescenza, la sua leggerezza, il suo sorriso, la sua luminosità, non sarebbe stata la stessa cosa. Era l’attrice perfetta per quel film, che rappresentava un po’ un manifesto dell’inizio degli anni Ottanta. Dopo gli anni del terrorismo globale, della lotta armata, il pubblico aveva bisogno di leggerezza, di tornare a sorridere. Quel film era un manifesto di quegli anni con un cantautore come Lucio Dalla la cui produzione a quei tempi è stata meravigliosa, quindi più di così…”.
Se ho un’immagine di voi due insieme, è quella di voi due sulla moto. Due ragazzi in fuga da due vite che non vorrebbero e che se ne inventano un’altra…
“Due ragazzi che si raccontano un sacco di cazzate, due mitomani. Però innocenti, che vivono di sogni, di ricordi, di speranze, pieni di vita. Bellissimo quel ricordo di noi due in moto insieme”.
Il vostro primo incontro?
“Io non la conoscevo ancora molto bene. L’avevo vista nei film di Manfredi, in quelli di Lattuada, poi mi convocò Angelo Rizzoli nel suo ufficio e mi disse: ‘Eleonora Giorgi, mia moglie, vuole fare un film con te. Ha visto Bianco, Rosso e Verdone, Un sacco bello, è rimasta colpita e ci terrebbe tanto e io pure. Sono pronto a entrare con Cecchi Gori e coprodurre il film’. Io risposi che mi faceva piacere, ma che mi serviva un mese per pensare a un ruolo per lei, e che avrei avuto bisogno anche di conoscerla meglio. Dopo qualche giorno, facemmo una cena. Rizzoli ci lasciò soli, parlammo, cercai di capire che tipo fosse. Ci scambiammo opinioni e sentii subito un’energia positiva. Ero fiducioso, ottimista che il film sarebbe venuto fuori bene”.
E poi?
“Ci siamo visti altre volte per conoscerci meglio. Alla fine, dissi che mi serviva un mese per lavorare con il mio sceneggiatore, Enrico Oldoini, che purtroppo oggi non c’è più, e vedere cosa ne usciva. Quando presentai il soggetto, a lei piacque molto. Poi le dissi: ‘Ora devi darmi diversi mesi, è un film delicato. Devo allontanarmi dai personaggi, devo affrontarne uno unico’. Dopo dieci mesi, le portai la sceneggiatura, l’epistola era da morire e così siamo partiti. È stato un viaggio meraviglioso”.
Quanto ha cucito su sé stessa il personaggio, magari nei vestiti, nel look?
“Si è adattata molto al personaggio che noi avevamo scritto. Io volevo che quel film fosse un piccolo manifesto degli anni Ottanta. Il ritorno del colore dopo il buio del piombo, le Brigate Rosse, Aldo Moro… terribile. C’era bisogno di colore, di musica. Per questo chiesi a Luca Sabatelli, il costumista, di renderla colorata. Volevo un film pieno di colori, di musica, di speranza, di ottimismo”.
Il ricordo sul set più bello?
“Forse la scena in cui lei, bravissima, cerca di convincere il direttore di questa piccola casa editrice che conosce la musica classica. In realtà non ne sa niente, però dice che la morte di John Lennon l’ha colpita molto, al punto da scrivere una lunga lettera a Yoko Ono che le aveva risposto, ovviamente una cavolata. Poi fu il mio turno e feci un disastro con il direttore. Ma questi due che cercano lavoro e si arrabattano, con pensieri da mitomani mi hanno divertito moltissimo e lei usciva pieno di temperamento, mentre io come un coglione. Era una commedia degli equivoci, una favola”.
E dei momenti condivisi nella vita?
“I concerti. Andavamo sempre ai concerti insieme. Ne abbiamo visti tanti, gli U2, Dalla, gli Stadio, Venditti. Lei amava di più la musica italiana, quindi andavamo spesso insieme. Lei era entusiasta, solare, spiritosa. Sembrava il personaggio del film “come mi hai descritto bene”, diceva. Andavamo nei camerini a rompere i coglioni a tutti, a Pino Daniele, a Venditti, a tanti altri, Eleonora s’intrufolava, abbracciava tutti, era sempre piena di entusiasmo. Io ero timido, lei un ciclone”.
Borotalco fu proiettato privatamente per Warren Beatty – con cui Eleonora ha vissuto per un periodo – e Jack Nicholson.
“Sì. Fu straordinario. Lei le aveva parlato del film Beatty le aveva detto: ‘Voglio conoscere questo attore, regista. Come faccio?’. Lei aveva detto: ‘Te lo porterò io la prossima volta a Los Angeles’. Mi dissero di andare a presentarmi, ma il mio inglese era pessimo. Lei insisteva: ‘Magari compra il film e lo rifà’. Però la partenza per Los Angeles non avvenne mai. So che la proiezione ci fu. Lei raccontava che ridevano anche se non c’erano i sottotitoli, perché la comicità era evidente, la traduttrice traslava al volo le battute anche se ovviamente perdevano l’intonazione”.
E poi Compagni di scuola. Lì era un personaggio diverso.
“Sì, non era la protagonista, ma nessuno lo era. Era un film corale. Io stesso non ero il protagonista, ero il regista. Ho fatto un passo indietro per lasciare spazio agli altri attori. Volevo dimostrare di poter fare una commedia con uno scatto in più. Il ricordo di quel film è un’isola felice: nessuna lite, nessuna invidia, nessuna competizione. Una serenità che ancora oggi ricordiamo con affetto”.
Secondo lei Eleonora ha avuto la fortuna che meritava nella sua carriera? Ha conosciuto momenti difficili.
“Ha lavorato meno negli anni successivi, ma non so le strade che scelgono alcuni attori. Se fanno bene a rifiutare alcuni ruoli e scegliere altri. Dipende dalle scelte. Ogni attore è artefice del proprio destino. Io le ho dato il lancio, poi ognuno decide la propria strada”.
C’è stato un momento in cui avete pensato di lavorare insieme una terza volta, o non è mai successo?
“Uno ci pensa sempre, però dipende anche dal soggetto che vai fare. Dopo Borotalco, in Io e mia sorella non potevo non farlo con la Muti… mi mancava Ornella Muti. È anche giusto, per me, cercare di lavorare con attrici e attori diversi. Però chi lo sa… Quello che mi è dispiaciuto tanto è che lei aveva chiesto di poter apparire nella quarta stagione della serie Vita da Carlo, che ho appena girato. Sarebbe stato il suo ultimo ruolo, e voleva chiudere la carriera accanto a me, anche solo per un attimo. Questa cosa mi ha molto colpito, mi ha commosso. Mi sono riunito con la produzione, e abbiamo detto: ‘Troviamo qualcosa, perché Eleonora ci tiene tanto e ci tengo pure io’. L’avevamo anche trovata, ma poi è arrivato il responso dei medici: ‘Non se ne parla nemmeno’. Non poteva entrare in una troupe con 70, 80 persone, non aveva difese immunitarie. E meno male, perché tre giorni dopo le è venuta una polmonite identica a quella del Papa, ho recitato con due focolai ai polmoni. Sono stato miracolato, curato bene, ma… se Eleonora fosse venuta sul set, sarebbe durata 48 ore”.
Come sarà ricordata? Che cosa aveva di speciale nel panorama del nostro cinema?
“Un volto luminoso. La leggerezza. Una simpatia. Uno sguardo affettuoso, un’energia bella, pulita. Ecco”.