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 2025  marzo 02 Domenica calendario

Trump tra letteratura e realtà

Un demagogo si candida alla Casa Bianca e lancia una campagna elettorale populista promettendo di restaurare la prosperità e la grandezza dell’America. Assicura i cittadini che li libererà dal crimine, dalla violenza dei troppi immigrati, dagli scrocconi, dalla stampa progressista ormai fuori controllo. Autoproclamatosi campione dei dimenticati e dei tradizionali valori americani, egli riesce a vincere le elezioni di novembre. Una volta entrato nello Studio Ovale, elimina l’influenza del Congresso, mette fuorilegge i suoi avversari usando il ministero della Giustizia, nomina centinaia di fedelissimi nelle Corti, affida l’amministrazione del Paese a potenti uomini d’affari, crea una milizia armata speciale per sedare le proteste e controllare il lavoro dei dipendenti pubblici. Fra gli applausi della maggioranza del popolo, convinto che le sue drastiche misure renderanno nuovamente grande l’America, il Presidente trasforma gli Stati Uniti in una dittatura di tipo fascista.
Tranquillizzatevi. Non stiamo parlando di Donald Trump. È la trama di un romanzo, pubblicato nel 1935 da Sinclair Lewis, lo scrittore americano che cinque anni prima aveva vinto il Nobel per la Letteratura. «It Can’t Happen Here», qui non è possibile, uscì sull’onda dello sconcerto provocato dalla vittoria del fascismo e del nazismo in Europa.
Nella sua finzione, Lewis segue l’ascesa di Berzelius «Buzz» Windrip, senatore democratico che dopo aver strappato la nomination del suo partito a Franklin D. Roosevelt, sconfigge il suo avversario repubblicano, fomentando paura e promettendo di tutto, di più. La sola voce che gli si oppone, avendone intuito in anticipo le intenzioni, è quella del giornalista Doremus Jessup. Ma il Presidente-dittatore chiude il quotidiano che lui dirige e lo manda in galera. Jessup riuscirà a evadere e a fuggire in Canada, dove darà vita a un giornale clandestino che denuncerà la dittatura. Saranno i suoi stessi ministri a destituire Windrip con un colpo di Stato, ma il Paese precipiterà in una nuova guerra civile.
Lewis volle scrivere il romanzo, sicuramente non fra i suoi migliori, come un monito agli americani. Che è poi la stessa ragione per cui «It Can’t Happen Here», che venne ristampato già nel 2016 all’epoca della prima vittoria di Donald Trump, è stato molto citato ed evocato nelle settimane successive alla sua rielezione e ancora di più dopo l’insediamento. Lo ha fatto anche David Remnick, premio Pulitzer e direttore del New Yorker, di regola molto misurato, che ha titolato l’editoriale del 9 novembre «It Can Happen Here», qui può succedere: «Chiunque si renda conto con il giusto allarme che questo è un momento pericoloso nella vita americana, deve pensare seriamente alla situazione in cui ci troviamo». «Un ritiro dell’America dalla democrazia liberale – avverte Remnick – sarebbe una calamità. L’indifferenza, una forma di resa».
Consoliamoci col fatto che probabilmente siamo lontani da uno scenario distopico alla Lewis. Come ha spiegato al Corriere Fareed Zakaria, che pure ha ammesso di nutrire qualche timore, «l’assalto in corso alla struttura costituzionale degli Stati Uniti non riuscirà, perché ci sono i tribunali, i checks and balances, i governi statali, i giornali, la società civile». Vale la pena di leggerlo però, il romanzo. Poiché, certo, «It Can’t Happen Here». Ma se poi succede? Dopotutto fu il grande Joseph Brodskij ad avvertirci che a furia di inseguire la realtà, la letteratura finisce spesso per superarla. A volte, aggiungiamo noi, anticipandola.