Corriere della Sera, 3 marzo 2025
Giuseppe Iannaccone, avvocato e collezionista: «Ho comprato due sculture di Banksy ma non sapevo chi fosse. Il gallerista disse: lasci stare, è un randagio che rovina i muri»
Le gioie e i dolori, le speranze, le angosce, i peccati e gli entusiasmi: i meandri dell’animo umano che in tutte le sue sfaccettature, anche le più intime – ma non per questo inconfessabili – si confrontano con il mondo, sono l’obiettivo di Giuseppe Iannaccone nella ricerca, accurata ed appassionata, di opere per la sua collezione di arte moderna e contemporanea, una delle più importanti al mondo, la prima tra le raccolte private ad essere ospitata con 140 pezzi dal 7 marzo al 4 maggio nelle sale del Palazzo Reale a Milano.
Tra i più importati avvocati penalisti del diritto d’impresa, Iannaccone ha raccolto oltre 400 opere che ha esposto in tutto il mondo. Non un ammassare compulsivo, ma una cernita meditata e convinta. «La mia è una raccolta passionale legata a quello che l’uomo ha dentro in relazione alle realtà sociali. Attraverso l’arte, mi rispecchio nel mondo in cui vivo», spiega. «Sono attratto dall’arte nella sua libertà, dall’artista che non ha paletti culturali ed espressivi», aggiunge. E infatti, in una sezione altrettanto ricca ed importate della collezione, anche se non esposta, a coloro che, inquadrati nell’arte ufficiale del fascismo, celebravano il regime preferisce gli altri che «raccontavano i postriboli e la sofferenza della guerra».
In questo percorso ad un certo punto ha scoperto di aver acquistato negli anni, inconsapevolmente, molti più artisti neri, donne, omosessuali: «Mi sono reso conto che nelle loro opere c’è una espressività esplosiva, una novità dovuta forse al fatto che questi gruppi, che hanno taciuto tanto nella storia dell’arte, oggi hanno una capacità di esprimersi che mi colpisce particolarmente».
Un’opera ha diversi piani di lettura? Filosofico, psicologico o solamente estetico? La risposta è ad ampio spettro: «Credo che le vere opere d’arte abbiano molteplici letture in grado di mandare diversi messaggi che poi ciascuno coglie in funzione della propria sensibilità. Per quanto mi riguarda, mi pongo il problema dell’emozione che provo io. Alla fine potrei pensare di provare le stesse cose che prova l’artista, ma non è affatto detto che sia così».
A chiedergli perché mai un avvocato penalista senta la necessità di andare a cercare altre sensazioni, come se non gli bastassero quelle che gli arrivano dalla professione, la risposta che si ha è molto socratica: «Credo che nessuno possa avere la presunzione di conoscere tutto, di conoscere il mondo. Fino a quando avrò l’ultimo respiro cercherò sempre di scoprire qualcosa di nuovo».
E allora, come scegliere un quadro evitando di prendere un bidone? «È evidente che una certa sensibilità è indispensabile, ma poi ci vuole cultura. Bisogna essere educati per avere le chiavi di lettura dell’opera». Non nasconde di aver sbagliato in passato, ma con gli anni e il crescere dell’esperienza ha affinato il tiro. Ha ospitato mostre di dieci artisti giovanissimi nel suo grande studio in Piazza San Babila, Iannaccone può ragionevolmente essere considerato un mecenate lungimirante, perché molti giovani su cui ha investito la propria reputazione, ed i propri denari visto che acquisita sempre anche come forma di incoraggiamento verso chi è alle prime armi, poi si sono rivelati dei grandi artisti, uno tra tutti Banksy, del quale presenta due sculture. «Meravigliose, le comprai fra i primissimi quando non sapevo nemmeno chi fosse. C’era un importante gallerista inglese che me lo aveva sconsigliato, diceva “questo è un randagio che va a rovinare i muri nelle periferie di Londra”. Oggi non mi potrei permettere di acquistarle. A me il denaro non interessa, non che non gli dia importanza, ma acquisto un’opera e la tengo per ciò che provo, non per quanto vale», mette in chiaro.
Esibizionismo? Narcisismo? La ragione di far conoscere a tutti la propria collezione, Giuseppe Iannaccone la ricollega alla sua inveterata passione, che vorrebbe accomunasse tutti i collezionisti: «Faccio una mostra di arte contemporanea, curata da Daniele Fenaroli con l’ importantissima consulenza di Vincenzo de Bellis, il quale coordina le maggiori fiere d’arte del mondo, per dimostrare quanto è bello amare l’arte ed invitare i cittadini allo studio dell’arte. Voglio dire ai milanesi che l’arte contemporanea è meravigliosa. Ci saranno opere che non è facile vedere in Italia e a Milano, dove non c’è ancora un museo di arte contemporanea».
Nato 69 anni fa ad Avellino in una famiglia piccolo-borghese arrivata a Milano negli anni Settanta, è sempre rimasto legato alla sua Campania, ma come la stragrande maggioranza di chi riesce ad affermarsi all’ombra del Duomo è riconoscente a Milano. «Questa mostra è diversa da tutte le altre che ho fatto in Italia e all’estero; perché questa è una mostra del Comune di Milano e per questo ringrazio il sindaco Beppe Sala, l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi e il direttore Domenico Piraina, poi perché la sento come un reciproco riconoscimento tra me e la città che adoro ed alla quale sono e sarò sempre grato per la sua generosità».