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 2025  marzo 03 Lunedì calendario

Max Maiorino, il calzolaio influencer: «Stavo per chiudere bottega, ora mi chiamano le griffe e mi arrivano scarpe da riparare pure da Stati Uniti e Sudamerica»

Maximiliano Maiorino ha ricavato i suoi studios in un angolo del magazzino dove stanno impilate borse tanto griffate quanto bisognose di manutenzione, scarpe etichettate con codici di arrivo scritti a mano, attrezzi del mestiere. Tra colori, pelli, forbici e spazzole spuntano l’ombrello per la luce e aste per lo smartphone. Nome di battaglia «calzolaiomax», 34 anni, è l’alfiere degli artigiani che sui social hanno portato il mestiere. E, lì, l’hanno salvato. «Ricevo almeno dieci pacchi al giorno: merce da riparare inviata da chi mi ha conosciuto sul web. Altri clienti vengono al bancone. Se ripenso a quattro anni fa, quando dalla porta del negozio non entrava nessuno...». Oggi Forbes l’ha scelto come caso esemplare di imprenditoria decollata grazie alla Rete e le griffe se lo contendono come ospiti agli eventi della Fashion Week milanese.
Torniamo a Saronno. Filo strada, su via Cavour, l’insegna «Maiorino calzolaio» incornicia una vetrina che è la quintessenza dell’arte del riparare: scarpe nuove e rimesse a nuovo. Al piano interrato, giù da una scala ripida, la medesima arte finisce in video che macinano cuoricini – e clienti – in Brasile come in Svizzera, in Italia e negli Usa. L’artigiano Max («Con la x proprio all’anagrafe») facendo l’artigiano totalizza numeri da influencer: 400 mila follower su TikTok, 320 mila su Instagram, milioni di visualizzazioni per filmati in cui ripara o personalizza.
Il primo video?
«Nel 2015, su Youtube. Aggiustavo calzature e non l’ha guardato un’anima: evidentemente non era il momento».
Poi?
«Nel 2020 TikTok era pieno di gente che ballava. Ci ho riprovato: taglia, apri, incolla. Una ragazza mi aveva portato un paio di scarpe sportive di Alexander McQueen, molto in voga, a cui si era rotta la tomaia. Punto impossibile, danno in genere considerato irrecuperabile. A me sono venute bene. Le visualizzazioni del filmato sono schizzate a 300 mila, hanno iniziato ad arrivare messaggi: è capitato pure a me, posso inviarti le scarpe? Avevo svoltato».
Perché prima era al palo.
«Quando ho aperto il mio primo negozio c’erano poco lavoro e pochi clienti. Per giorni incassavo zero. Tuttavia nella calzoleria ci credevo, sapevo di essere bravo e ripetevo: troverò l’idea giusta».
Quindi cosa ha fatto?
«Per non soccombere mi sono messo a lavorare per mantenere il mio lavoro. Dovevo comprare i macchinari e pagare l’affitto quindi ho fatto il barman, il cameriere, il corriere».
Il calzolaio, in teoria, non è un lavoro che i giovani come lei sognano di fare.
«Era calzolaio il mio trisavolo. Da nonno Marino, padre di mio padre Salvatore, ho carpito i primi segreti: da piccolo pasticciavo nel suo negozio, sempre a Saronno. Nonno è mancato nel 1998, papà nel frattempo aveva lasciato per dedicarsi all’edilizia. Quando nel 2008 è arrivata la crisi abbiamo deciso: torniamo calzolai. I vecchi macchinari erano in garage».
È dipendente dell’attività di famiglia?
«No, ho aperto la mia partita Iva a 22 anni. Conviviamo nello stesso spazio ma le attività sono separate; loro fanno il lavoro più classico, curano gli articoli dei saronnesi, io gestisco gli ordini dal web».
Si è fatto conoscere eseguendo miracoli su pezzi griffatissimi: tutto vero o c’è il trucco?
«Vero. L’articolo ha un proprietario e se sbaglio non solo non torna, ma lo scrive anche nei commenti. Aggiustare oggetti di qualità – con il second hand, la sensibilità ecologica, i prezzi in salita – oggi ha mercato. Fino a quattro anni fa ti prendevano per matto: “Piuttosto butto e ricompro”».
Ma lei ci credeva già allora.
«Nel 2017 mi sono staccato dal negozio di Saronno e ne ho aperto uno da solo a Gorla Minore: non battevo chiodo. Per tentare di allargare il giro ho aperto anche a Solaro: pure peggio. Arriva il Covid, li ho chiusi entrambi e sono rientrato a Saronno: nessuno pensava ad aggiustare le scarpe, anche perché nessuno le consumava».
Disastro.
«Avevo chiesto un prestito di 20 mila euro alla banca e mi ritrovavo con i debiti».
Non ha mollato.
«Anche mentre stavo lì a fissare la porta pensavo che avrei prima o poi trovato il modo di farmi valere. Ci ho sempre creduto. Confesso che non è stato facile: quando mi chiedevano “cosa fai?” e io rispondevo “il calzolaio” mi guardavano con un misto di choc e compassione. Anche i miei amici, all’inizio, tenevano a precisare: “Calzolaio, sì, ma fa scarpe sue, fa cose pazzesche”. E io: “Ragazzi, mica mi vergogno di ciò che faccio”. Oppure provate voi a dire: “Investi su di me, apro un negozio in cui riparo”. Vi lascio immaginare le risposte. In momenti così devi davvero credere in te, tanto».
Come ha affinato la tecnica?
«Con papà. Poi faccio tante prove, mi esercito, studio».
Che scuole ha fatto?
«Ho iniziato a studiare da geometra, non era cosa mia. Insisto: impegnatevi in ciò in cui credete, che non è uguale per tutti. Se la vostra strada è studiare studiate forte, se è un lavoro, lavorate forte. Dopo il primo contenuto diventato virale ogni giorno, compleanno e Natale inclusi, ho postato contenuti. L’algoritmo ha premiato, i contatti sono cresciuti e anche gli ordini. Caricavo la lavorazione di una scarpa X e per una settimana arrivavano solo richieste per scarpe del marchio X».
Il suo video più visto?
«Il salvataggio della ciabattina Hermès masticata dal cane è arrivaoa a 14 milioni».
Quindi per una settimana solo Hermès.
«No, solo oggetti masticati da cani».
Oggi per le mani le passano accessori anche ultra-costosi.
«Per me una scarpa griffata o una che non lo è sono uguali: stessa cura. Il calzolaio prima era un ciabattino, ora lo vedono come artista. C’è chi invia articoli nuovi e chiede di cambiargli il colore: se avviene su una scarpa da mille euro all’esterno la percepiscono come una missione “rischiosa” e attira curiosità».
Quanto costa mediamente un intervento?
«La sneakers da lavare e incollare da 20 euro, se è da rifare dai 100 ai 300. Al cliente viene riconsegnata in circa tre settimane».

Cosa è impossibile da fare?
«Dato che produco scarpe da zero, potenzialmente ricostruirle anche solo da una stringa. Però se un lavoro non vale la pena lo dico».
L’intervento più strano che le hanno chiesto?
«In una borsa Bentley inviata dalla Svizzera hanno voluto ricavare la cuccia del cane».
Lavora molto con l’estero?
«Ho clienti in Sudamerica, negli Usa. Qualcuno in Italia per le vacanze viene di persona a Saronno con i pacchi».
Pubblicità tradizionale ne ha mai fatta?
«Mai».
Qualche griffe l’ha cercata?
«C’è un accordo di riservatezza: posso dire che c’è chi ha apprezzato le riparazioni».
Maiorino, è un influencer.
«Ho richieste per pubblicizzare marchi esterni. Qualche collaborazione l’ho avviata».
Quanto prende a post?
«A post non saprei, direi che ogni collaborazione vale più o meno 2 mila euro. Dico molti no. Anche perché non ho molto tempo».

Quante ore lavora?
«All’inizio 14-15 ore al giorno. Mi alzavo, facevo colazione col telefono in mano, rispondevo a chi mi contattava, poi via in negozio, riparazioni e video, pranzo con il telefono, ancora in negozio fino alle 19.30, video da postare, richieste a cui rispondere. Stavo impazzendo. L’anno scorso ho frenato: dopo le 19.30 niente telefono».
La sua fidanzata sopporta questi ritmi?
«Fare questa vita in passato non ha aiutato».
Ha qualcuno che la aiuta con i social?
«Sono precisino: voglio sempre le cose a modo mio quindi mi arrangio. Quando mi vedeva con il cellulare, papà diceva: lascia il telefono, c’è da lavorare. Poi hanno cominciato ad arrivare i pacchi. E ora è lui che mette tutti in guardia: se filma non disturbate!».
Qualche numero della sua società?
«È una Srls, fondata a dicembre di due anni fa. Oggi ho quattro dipendenti. Collabora con me mio fratello Mattia».
Fatturato?
«Mi limito a dire che oggi sto bene».
Qualche sfizio che si è levato?
«Reinvesto tutto nei progetti della società».
Dove vive?
«A Saronno, in affitto. Anche il negozio da 180 metri quadri lo è».
Insomma, il suo lavoro adesso sognano di farlo anche altri giovani?
«Ricevo proposte di ragazzi che vogliono lavorare per me o si informano: interesse che prima non esisteva».
Altro che vergognarsi.
«L’altro giorno uno mi ha scritto: vorrei venire a lavorare da te anche gratis, vorrei imparare».
L’ha cercata anche Forbes per raccontare la sua storia imprenditoriale.
«Ma sa che cosa ha fatto la differenza? La Chioccina, la benemerenza civica dei saronnesi: un sacco di gente qui si congratula per quella. L’ha ritirata mamma Roberta per me, io ero all’estero: era emozionatissima. Il web è importante, ma certe cose non hanno prezzo».