Anteprima, 17 gennaio 2025
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Biografia di David Lynch
David Lynch (1946-2025). Cineasta. «Il regista americano più oscuro e visionario […]. L’aggettivo, lynchano, a decretarne il successo come per Fellini, ha costituito un unicum di gusto e sostanza: iconico e immaginifico, ha fatto di Velluto blu e la seminale serie televisiva I segreti di Twin Peaks, Strade perdute e Mulholland Drive altrettante tappe di un percorso implacabile, irreplicabile e, anche, inspiegabile, guadagnandosi incondizionato credito tra i cinefili. Ibridando noir e surrealismo, horror e inquietudine, sperimentazione e stranezza, in direzione ostinata e contraria a Hollywood ha decostruito canoni e destrutturato generi, senza temere fallimenti (la sci-fi Dune), disdegnare intermezzi paciosi (Una storia vera) e trascurare divertissement meteo-situazionisti (Weather Reports). Pochi giorni addietro – e come non pensare al cult Fuoco cammina con me! – era stato evacuato dalla sua casa a Los Angeles minacciata dai roghi, più arduo sarà dismetterlo dal nostro immaginario, che ha nutrito di sogni e ossessioni, da ultimo baluardo dell’impossibile qual era. Con appena dieci lungometraggi, da Eraserhead (1977) a Inland Empire (2006), passando per The Elephant Man e Cuore selvaggio, ha messo il ciuffo bianco e ribelle in testa al cinema pastorizzato, le visioni asfittiche, i film dei ragionieri: non per tutti, Lynch, ma per molti è stato tutto. E lo salutiamo con Homer Simpson, davanti a Twin Peaks: “Genialmitico! Non ho la minima idea di quello che sta succedendo”» [Pontiggia, Fatto]. «Come Fellini è diventato un aggettivo, così David Lynch è diventato un’atmosfera. Impalpabile, riconoscibile, una foschia che altera le prospettive. Cala su un pezzo di mondo e lo timbra. Fino all’altro ieri – quando Twin Peaks era già da un pezzo un classico – capitava ovunque che si dessero feste a tema: orrende camicie hawaiane, jeans a vita alta, impermeabili chiari. Capiterà ancora. Un dresscode che è estetica e umore esistenziale, trucco e parrucco buoni per definire un’epoca della storia e dello spirito, l’Halloween permanente della torbida scialba irrazionale provinciadel mondo. Sono gli anni 80? Qualche volta sembra molto prima. Ma la provincia funziona così, e così i sogni-incubi da svegli, che non hanno date. Povera Laura Palmer! Ragazza pop e irrequieta finita male – ridotta da morta a un “caso” nelle mani dell’agente Cooper e tradotta da Lynch in un inconsueto genere-non genere, soap più noir più horror più sovrannaturale più boh. Da lì pescano X-Filese Stranger Things. I volantini con la scritta “Have you seen this man?”, il nastro giallo delle indagini, le tende rosse, il pavimento a zig zag, le lacrime, il caffè, il caffè soprattutto, nero come una notte senza luna, i donut. E la gente strana che ci abita accanto, la gente strana che dunque siamo. Il delirio che preme dietro una quiete solo apparente. L’inconscio che diventa un luogo, uno spaziotempo eccentrico ma visibile, gli alberi, le villette con giardino, il locale che puzza di carne alla griglia, la Loggia Nera che non ha indirizzo, che forse è una sala d’attesa. O un confine: fra il non più e il non ancora, fra il sonno e la veglia, fra il cinema e noi» [Di Paolo, Rep]. Aveva 78 anni: forsennato tabagista, qualche mese fa aveva rivelato un enfisema che non gli avrebbe più permesso di dirigere.