Anteprima, 15 febbraio 2025
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Biografia di Antonio Marazzi
Antonio Marazzi (1934-2025). Antropologo. Padre della regista Alina. Ha insegnato Antropologia culturale all’Università degli Studi di Padova ed è stato presidente della Commission on Visual Anthropology della International Union of Anthropological and Ethnological Sciences. Ha compiuto ricerche sul campo in India e Giappone. «La mia iniziazione all’antropologia non avvenne seguendo un canonico processo di formazione accademica, fu piuttosto l’opera di due veri e propri colpi di fulmine. Ma procediamo con ordine. Negli anni devastanti della guerra e del dopoguerra, durante gli affrettati, frequenti traslochi imposti da bombardamenti e sfollamenti, spuntavano ogni tanto dei libri che attiravano la mia attenzione infantile perché l’autore aveva il mio stesso nome. Si trattava di mio nonno, e un titolo in particolare non poteva non colpirmi: Tra i selvaggi e tra i civilizzati. Di quel nonno esploratore e console in Argentina mi erano poi rimaste impresse delle sue foto in tenuta da gaucho. Vi era allora un altro mondo “là fuori”, fuori cioè da quell’atmosfera asfittica dell’autarchia fascista e dei primi testi scolastici di storia con cui era iniziata la mia visione del mondo? Ma, a dire il vero, tutto ciò rimase sepolto tra i ricordi d’infanzia, riscoperti poi, quasi a giustificare una successiva vocazione. Deluso dagli studi di economia compiuti all’Università Bocconi di Milano, per laurearmi mi ero rifugiato nell’asettica matematica. Ma la mia curiosità mi spingeva sempre più “là fuori”. A poche centinaia di metri dall’Università vi era la sede delle edizioni Il Saggiatore, dove aveva l’ufficio il mio amico Paolo Caruso. Rovistavo insaziabile tra i libri che si accumulavano sulla sua scrivania. E qui avvenne il primo dei colpi di fulmine. Paolo aveva ricevuto l’incarico di tradurre Anthropologie structurale, di Claude Lévi-Strauss. Credo fosse stato lui a suggerirlo all’editore. Paolo era interessato allo strutturalismo da filosofo: era stato a lungo a Parigi a seguire le lezioni di Lévi-Strauss, l’aveva conosciuto, e mi parlava di quell’originale modello interpretativo di comportamenti umani così lontani, in cui ritrovavo quei “selvaggi” che mio nonno si era limitato a incontrare e descrivere. Volevo saperne di più. Presso lo stesso editore avevo iniziato un’attività giornalistica, che mi consentiva di guardarmi intorno nell’Italia della ricostruzione nazionale, ma mia moglie Luisella mi convinse a riprendere gli studi per dedicarmi all’antropologia e con coraggio volle seguirmi negli Stati Uniti con i nostri due figli – Martino e Alina – nati da poco. Avevo vinto una borsa di studio Harkness per studiare antropologia. Ci trasferimmo quindi a Chapel Hill, nella Nord Carolina, nella locale Università: una sede che avevo scelto io per essere nel cuore dei movimenti per i diritti civili degli afroamericani e contro la guerra in Vietnam. Tornato in Italia, mi impegnai a fare conoscere attraverso traduzioni e commenti i principali autori della Cultural Anthropology, allora poco o punto conosciuti in Italia, da Morgan e Tylor a Boas e i suoi allievi, Benedict, Kroeber, Lowie, e poi Oscar Lewis e molti altri. Presi contatto con la facoltà di Sociologia a Trento dove strinsi un’amicizia intellettualmente stimolante con Carlo Tullio Altan; ma ancora per alcuni anni rimasi ai margini dell’università italiana». Tra le sue ultime pubblicazioni, Un mondo artificiale. Le sfide dell’uomo contemporaneo (2022) e Uomini, cyborg e robot umanoidi. Antropologia dell’uomo artificiale (2012).