8 gennaio 2025
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Biografia di Paolo Matthiae
Paolo Matthiae, nato a Roma il 9 gennaio 1940 (85 anni). Archeologo. Orientalista. Accademico. Professore emerito dell’Università «La Sapienza» di Roma (già preside della facoltà di Scienze umanistiche e pro-rettore per i problemi culturali). Celebre a livello internazionale per la scoperta dell’antica città di Ebla (1964). «Le piace essere chiamato Monsieur Ebla? “Mi sta bene: dico sempre che posso essere considerato un archeologo fortunato”» (Barbara Bizzarri) • Figlio di Guglielmo Matthiae (1909-1977), insigne medievista e storico dell’arte. «Debbo molto a mio padre Guglielmo, perché la ricerca di uno storico dell’arte del Medioevo, sul ceppo saldo di Pietro Toesca, già allora era una contaminazione tra storia dell’arte e archeologia. Poi vennero maestri come Bianchi Bandinelli» (ad Anna Ottani Cavina). «La mia esperienza di archeologo comincia con una passione per la civiltà antica più affascinante in assoluto, soprattutto quando si è giovani: quella dell’antico Egitto. Verso i quattordici anni, mentre i testi latini e greci mi annoiavano non poco, gli interessi del mio tempo libero erano rivolti verso una cosa “bizzarra”, la scrittura geroglifica egiziana» (a Giulia e Piero Pruneti). «Nel 1957, spinto dalla passione per l’Egittologia, decide di iscriversi alla Sapienza. L’incontro con i grandi maestri dell’orientalistica come Giorgio Levi Della Vida e con i compagni, amici e futuri colleghi come Mario Liverani si rivela determinante nella scelta di indirizzare gli studi verso il Vicino Oriente antico, allora ancora da esplorare, e di laurearsi con Sabatino Moscati sull’arte della Siria del II millennio a.C., oggetto della sua prima pubblicazione nel 1962» (Laura Giuliani). «All’Università La Sapienza, dove ho studiato, sono venuto a contatto con grandi maestri dell’archeologia dell’Oriente antico. Il momento era favorevole. Per la prima volta nei nostri atenei, parlo della fine degli anni Cinquanta, si cominciavano a insegnare discipline pertinenti a queste civiltà, che erano un po’ estranee alla tradizione culturale italiana, da sempre dominata dal mondo greco-romano. Mi resi conto che la conoscenza del Vicino Oriente antico presentava delle lacune notevoli, per cui scelsi di dedicarmi alla riscoperta di quest’ultimo». «Luglio 1962: “Avevo 22 anni. Era il mio primo viaggio in Oriente per uno scavo in Turchia. Decisi di passare dalla Siria, terreno della mia tesi di laurea con Sabatino Moscati. Un bacino in basalto scolpito su tre facce, nei magazzini del museo di Aleppo, mi parve subito un’eccezionale testimonianza di un’ignota cultura figurativa del XIX secolo a.C., mille anni più antica di quanto si immaginava al museo. Il reperto proveniva da Tell Mardikh, una collina più a sud, a ovest dell’Eufrate, intatta e impressionante per dimensioni e morfologia”. Stipulato l’accordo fra Roma e Damasco, il giovane archeologo è di nuovo ad Aleppo, deciso a scavare a Tell Mardikh, ma sgomento per l’estensione del sito: 56 ettari. Nel mitico Hotel Baron, quello di Lawrence d’Arabia e di Agatha Christie, di William Saroyan e di Gustavo Adolfo di Svezia, ha luogo l’incontro con Anton Moortgat, uno dei grandi dell’archeologia tedesca. “Con qualche timidezza gli chiesi che ne pensava, di Tell Mardikh. Rifletté non poco, poi disse: ‘Se l’Università di Roma chiederà la concessione di Tell Mardikh, non se ne pentirà’. Lo considerai un oracolo, e mille volte, in occasione di scoperte importanti, ho ripensato a quel vaticinio”» (Ottani Cavina). «La prima campagna inizia nel settembre 1964 con l’apertura di tre cantieri. L’identificazione dei Templi di Ištar e di Rašap conferma la prima intuizione: quell’insediamento doveva essere stato un centro urbano di particolare rilevanza storica nel periodo paleosiriano, la prima metà del II millennio a.C. […] È del settembre 1968 il primo ritrovamento epigrafico di grande importanza nella storia della missione: un torso acefalo in basalto, chiaramente di un sovrano, con un’iscrizione cuneiforme di cui il collega belga André Finet sentenzia: “Il nome di Ebla è sicuro in un contesto del tutto insolito. È una statua votiva degli inizi del II millennio a.C. con tratti paleoassiri. È menzionata la dea Ištar”. Ebla, proprio Ebla! Gli scavi proseguono: […] nel 1975, la scoperta che cambia la storia. Il Grande Archivio L.2769 è l’Archivio reale, contenente migliaia di testi cuneiformi, risalenti al terzo quarto del III millennio a.C. Le tavolette erano state originariamente sistemate in larga maggioranza su due scaffalature lignee a tre ripiani poggiate in posizione verticale contro due delle pareti perimetrali. Erano poi scivolate verso il centro del vano quando le scaffalature bruciarono e collassarono, investite dalle fiamme che distrussero il palazzo. Ci vollero otto giorni per portare via il materiale, consegnato in 99 casse al Museo di Aleppo. Da quel giorno, l’archeologia cambia per sempre» (Maria Luisa Colledani). «Dagli anni Trenta del Novecento non c’era più stata una scoperta così impressionante di archivi cuneiformi. In più, ciò avveniva a centinaia di chilometri di distanza da dove venivano le tavolette d’argilla incise con caratteri cuneiformi, ovvero nell’Iraq meridionale tra le attuali Baghdad e Bassora. Trovarle in Siria, e così antiche, è stato qualcosa di folgorante: fino a questa scoperta si riteneva che la Siria preclassica avesse conosciuto la scrittura solo poco prima dell’età di Hammurabi di Babilonia, nel XVIII sec. a.C., epoca a cui si datano gli archivi reali di Mari, città del medio corso dell’Eufrate, scoperti appunto a partire dal 1933. Come ha affermato Ignace J. Gelb, l’autorevolissimo decano degli studi assiriologici di Chicago, la missione italiana della Sapienza, con gli scavi di Ebla e la scoperta degli archivi, ha portato alla rivelazione di una nuova cultura, di una nuova lingua e di una nuova storia». «La notizia del ritrovamento di Ebla fu seguita da polemiche e attacchi nei confronti di noi archeologi italiani, che nel Vicino Oriente eravamo gli ultimi arrivati. Oggi però nessuno nega che sia stata una scoperta straordinaria. Prima di Ebla conoscevamo solo civiltà idrauliche, sorte sui fiumi e arricchitesi grazie alle opere di canalizzazione. Ebla invece si trova in una zona arida, con un clima predesertico, in cui si riteneva quasi impossibile che fiorissero grandi città. Eppure lì è sorto uno dei centri di potere più importanti del terzo millennio. Era la dimostrazione che la civiltà umana poteva nascere in qualunque luogo, o quasi» (a Elena Dusi). «Io, lo dico sorridendo, mi definisco un archeologo stanziale: ho scavato anche in altri tre o quattro posti per breve tempo, ma soltanto a questo sito ho dedicato tutta la mia vita. […] Io non sono una persona superstiziosa, non credo ad alcuna superstizione, ma a una cosa ho sempre tenuto, nei limiti del possibile: non mancare neppure un anno dal 1964 finché ho potuto, fino al 2010. Persino quando feci il servizio militare mi congedarono 4-5 mesi prima, eccezionalmente, con una decisione del ministero della Difesa, perché io potessi andare in Siria a dirigere la missione. […] Conducevo lo scavo in un certo modo: avevo sempre 3 o 4, massimo 5 aree di scavo in cui si lavorava contemporaneamente e passavo le 7 ore di lavoro sul sito circolando in tutti i cantieri. Quindi riuscivo a seguire tutto: certo, ne seguivo alcuni di più, perché più importanti magari, ma non succedeva mai in tutta la giornata che io non passassi in tutti i cantieri e verificassi come le cose stavano andando avanti e come secondo me dovevano andare avanti. Ho sempre considerato Ebla un sito così straordinario da meritare un impegno personale particolare. […] Se non avessi agito in questo modo, Ebla avrebbe dato molto meno». «La vita di un archeologo a Ebla era avventurosa? “Un po’ scomoda, semmai. Avevamo una casa nel villaggio di Mardikh e dormivamo su brande. A differenza di altri archeologi stranieri, tenevamo il cancello sempre aperto. Nonostante parlassimo un arabo barbaro, ci sentivamo parte del villaggio. All’alba ero il primo ad arrivare agli scavi per fare l’appello degli operai. Fra loro spesso nascevano dei malumori tra famiglie rivali. Una volta si respirava una grossa tensione perché i giovani di due casati nemici chiedevano di sposarsi. I due capifamiglia vennero nella nostra casa per chiarirsi. Gli offrii il caffè e dissi che se i ragazzi erano innamorati loro non dovevano impicciarsi. Dopo 5 giorni io, mia moglie e i membri della missione italiana ricevemmo l’invito al banchetto di nozze”» (Dusi). Professore di Archeologia e storia dell’arte del Vicino Oriente presso l’Università La Sapienza sin dal 1963, nel 1998 Matthiae organizzò a Roma il primo Congresso internazionale di archeologia del Vicino Oriente antico, che «si è rivelato fondamentale per riunire studiosi di tutto il mondo, colmando una lacuna importante: mentre l’archeologia classica e preistorica avevano già i loro congressi internazionali, l’archeologia orientale ne era priva. La ragione principale risiedeva nelle tensioni politiche del Vicino Oriente, che rendevano impensabile riunire studiosi provenienti da Paesi in conflitto, come arabi e israeliani, turchi e ciprioti. Ebbi l’audacia di dire: ci provo, vediamo che succede. C’è stato qualche piccolo problema iniziale, […] ma ha avuto un grande successo, che prosegue ancora oggi. Ho presieduto l’evento fino a diventare presidente onorario, e resta un’importante occasione di incontro e confronto per la comunità scientifica internazionale». «“Ebla sta molto male. I ribelli jihadisti hanno usato le sue mura come un fortino. Hanno scavato trincee, ammassato artiglieria e distrutto parte dell’acropoli, lasciando mucchi di terra mista a ceramiche antiche. Tra il 20% e il 30% del sito è perso per l’archeologia”. […] Matthiae, accademico dei Lincei, ha lavorato per riportare alla luce Ebla per 47 estati consecutive, fino al 2010, vigilia della guerra civile a Damasco. […] Non si è salvato neanche il tesoro di documenti in cuneiforme: una delle più antiche e ricche biblioteche dell’umanità. “Erano 17.040 tavolette, di cui duemila intere, 3-4 mila a frammenti grandi e le altre a frammenti piccoli. Risalgono agli anni tra il 2350 e il 2300 a.C. e alcune contengono anche tremila righe di testo. Una buona parte era conservata a Idlib, la capitale del governatorato in cui si trova Ebla. Quel museo è stato saccheggiato. Di molti reperti non sappiamo più nulla”. […] Vuol dire che l’Archivio reale di Ebla è andato perduto? “Abbiamo le foto che ci permettono di continuare la pubblicazione dei testi”. […] “Sono sicuro che, nonostante i danni della guerra civile, Ebla possa dare ancora molto. I testi ritrovati sono soprattutto economici e commerciali. Erano raccolti in un’unica stanza. […] La mia idea è che da qualche altra parte ci siano i testi religiosi e di letteratura, forse all’interno di uno dei cinque templi della città”. […] Qual è il testo che l’ha colpita di più nell’Archivio reale? “C’è il più antico trattato diplomatico della storia, stipulato tra le città di Ebla e Abarsal, ricco di clausole commerciali e di diritto. Oggi lo chiameremmo un trattato iniquo perché era sbilanciato a favore di Ebla, più potente”. […] Tornerà a scavare a Tell Mardikh? “Il lavoro ora è affidato ai miei allievi. Le campagne si svolgono in estate, quando non ci sono i corsi all’università, ma le temperature sono al limite della sopportazione. I 47 anni passati a Tell Mardikh mi hanno lasciato il viso scurito e gli occhi secchi, tra sole, vento e sabbia. Non indossavo mai gli occhiali da sole: per un archeologo è importante riconoscere ogni coloritura e disposizione del terreno archeologico. Io e il mio operaio favorito, Abdo Nasim, ci facevamo scivolare un po’ di terra fra le dita e già sapevamo dire cosa avremmo trovato lì sotto”» (Dusi) • Autore di numerosi saggi, tra cui Ebla. Un impero ritrovato (Einaudi, 1997, 1989, 1995), I tesori di Ebla (Laterza, 1984, 1985), Il sovrano e l’opera. Arte e potere nella Mesopotamia antica (Laterza, 1994), La storia dell’arte dell’Oriente antico (Electa, 1996-2003), Dalla terra alla storia. Scoperte leggendarie di archeologia orientale (Einaudi, 2018) e I volti del potere. Alle origini del ritratto nell’arte dell’Oriente antico (Einaudi, 2020). Un’autobiografia, Senza veli. Ricordi dell’archeologo che scoprì Ebla (il Mulino, 2024) • Vedovo dell’egittologa Gabriella Scandone (1940-2023). «Quando eravamo giovani, ai congressi ci capitava di incontrare anche la moglie di Max Mallowan, un collega inglese. Si trattava di Agatha Christie, autrice tra l’altro di Assassinio in Mesopotamia. Ai pasti dei congressi improvvisava brevi gialli, nei quali gli archeologi colleghi del marito temevano di riconoscersi come le vittime o gli assassini» • «Su Ebla molto è stato scritto. Su Matthiae meno. Solo da pochi anni questo studioso pacato e affabile, capace di affascinare con i suoi racconti (un miscuglio perfetto di ironia romana e metodo germanico), è stato riconosciuto anche in Italia come uno degli archeologi più importanti del Novecento. In Germania, in Francia, in Inghilterra se ne erano accorti da un pezzo» (Alessandra Mammì) • «L’archeologo non è, come spesso si pensa, un ricercatore con la testa rivolta all’indietro. È vero il contrario, almeno nell’archeologia più moderna. La nostra ricerca corre su un sentiero arduo di conoscenza che si pone tra l’identità di ciò che ci appare familiare del passato e l’alterità di ciò che in esso ci sembra estraneo. […] Nell’archeologia globale e integrata di oggi, le opportunità che si aprono sono infinite, da quando non ci si è più limitati a chiedere dove e quando, ma in che modo e perché. Dalla classificazione all’interpretazione, la ricostruzione del passato ha perso il carattere ozioso e pallido dell’archeologia di un tempo, per ricercare uomini fatti di sangue e di idee, esseri veri, non ombre indistinte. Con il progredire delle tecniche e dell’intelligenza artificiale, il rischio è di scambiare le tecniche, che sono mezzi, con i fini, che sono le interpretazioni. E appagarsi dei metodi, dimenticando la storia». «Gli archeologi hanno come missione quella di recuperare, interpretare e tramandare al presente e al futuro le testimonianze del passato. Senza una conoscenza il più possibile approfondita e obiettiva del passato, non possiamo costruire un presente e un futuro solidi» • «L’archeologia è una grande scuola di tolleranza» • «L’ambizione di fondare una scuola italiana di archeologia del Vicino Oriente e di dirigere una missione archeologica importante ha guidato le mie scelte. Ho cominciato a insegnare all’università molto giovane. Quando sono diventato professore, questa disciplina era soltanto a Roma e a Torino: adesso praticamente è in quasi tutte le università d’Italia, e in buona parte i professori ordinari di questa disciplina sono miei allievi».