22 gennaio 2025
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Biografia di Chesley Burnett Sullenberger III
Chesley Burnett Sullenberger III, detto Sully, nato a Denison, in Texas, il 23 gennaio 1951 (74 anni). Pilota in pensione • È noto perché il 15 gennaio del 2009 riuscì ad ammarare sull’Hudson, il fiume di New York, con entrambi i motori del suo airbus A320 fuori uso. Erano stati mandati in avaria da alcuni uccelli (almeno un paio per parte, pare oche canandesi) infilatisi nelle turbine. Tutte vive le 155 (150 passeggeri, 4 membri dell’equipaggio e Sully) persone a bordo, salvate «dalla sua esperienza e dal suo istinto gelido» [Semprini, Sta].
Titoli di testa Da bambino balbettava.
Vita Cresciuto a Denison, Texas, circa 23 mila abitanti al confine con l’Oklahoma, in una via che prende il nome dalla famiglia di sua madre, gli Hanna • «Abitavamo appena oltre il Red River dell’Oklahoma, a un tiro di schioppo, a 10 miglia da una piccola città del Texas, dove era nato il generale ed ex presidente Eisenhower. Un bel posto dove crescere, ho avuto un’infanzia meravigliosa. Sono nato quasi esattamente a metà del ventesimo secolo. E così sono cresciuto negli anni ’50 e ’60. Erano un buon posto e un buon momento per crescere […] Ho una sorella, Mary, di 22 mesi più giovane. Mio padre si chiamava Chesley Burnett Sullenberger Jr. Era un dentista, e mia madre è stata un’insegnante di prima elementare per 25 anni, insegnava nella nostra città. Prima di allora era maestra d’asilo. Aveva lasciato il college all’ultimo anno, prima di laurearsi, per sposare mio padre. Io sono nato tre anni dopo. Si è sempre pentita di non essersi presa il tempo per finire il suo ultimo trimestre. Così, quando ero alle scuole medie, tornò a scuola, si prese la sua laurea, poi anche un master, e iniziò a insegnare. È stata la sua passione, per tutta la vita […] Il mio amore per lo studio e per la musica ha riempito la mia vita di tanta gioia. E di questo do il merito ai miei genitori. Ma sai, forse non è stato solo merito loro. Penso che una delle cose straordinarie di una famiglia e di un’infanzia altrimenti insignificanti è che tutti i miei nonni, persone nate nel 19esimo secolo, avevano frequentato il college. […] Continuavano a dire a me e a mia sorella che non dovevamo avere tutte A [il voto più alto nel sistema americano, ndt] ma che dovevamo raggiungere il nostro massimo potenziale. Devi fare del tuo meglio. Questo è sempre stato il mantra» [Rosenberg, Cbs] • Suo padre «era un vero gentiluomo. Non l’ho mai sentito alzare la voce. Solo in rare occasioni ho sentito una parolaccia. Per esempio quando gli cadde una lastra di vetro sul piede e si tagliò profondamente. […] Al liceo aveva seguito un corso di disegno, e così prese in prestito tremila dollari, acquistò un appezzamento di terreno dalla famiglia di mia madre – erano agricoltori – e iniziò a costruire la sua casa. L’abbiamo ingrandita durante gli anni della mia infanzia. Ognuno di noi quattro, mia sorella, i miei genitori e io, aveva il proprio martello: abbiamo imparato a fare mille lavori semplicemente usandolo. Mio padre ci ha insegnato a posare i mattoni e a misurare due volte un pezzo di legno, perché poi lo puoi tagliare una volta sola. Abbiamo costruito noi i tetti, gli impianti idraulici ed elettrici: è incredibile quello che si può imparare a fare. E così, sì, abbiamo letteralmente costruito la nostra casa, aggiungendo un pezzo ogni tre o quattro anni, e tutto quando ero ancora bambino» • Ma suo padre soffriva di depressione: «Sapevamo che durante la mia infanzia aveva quello che chiamava il suo “blue funks” – non sapevamo che il nome giusto era depressione, non sapevamo cosa si agitava dentro di lui. [Il 7 dicembre 1995, ndt] Mia madre era in cucina e gli stava preparando un bicchiere di succo, quando ha sentito un forte schiocco. Ha pensato – io so cos’è questo rumore. E ne ha avuto subito la conferma. È corsa in camera da letto ed è toccato a lei trovare mio padre, ed è toccato a lei chidere aiuto per riparare il vetro della finestra, che era andato in frantumi colpito dal proiettile. Ed è toccato a lei poi pulire le macchie sul tappeto. […] Lei morì solo pochi anni dopo di lui» • «Sua sorella, Mary Wilson, ha detto che fin da ragazzo il capitano Sullenberger mostrava un’attenzione maniacale per i dettagli. Costruiva modellini di portaerei con piccoli aerei, facendo attenzione a dipingerne ogni singolo componente. […] L’interesse di suo fratello per il volo potrebbe essere nato ascoltando le storie raccontate da loro padre di quando era in marina. I suoi amici del liceo, invece, dicono che la sua passione è nata osservando i jet dell’ormai defunta base aeronautica di Perrin passare ruggendo nei cieli sopra casa. Da adolescente, quando la maggior parte dei suoi coetanei ancora stava imparando a guidare, aveva già la patente di pilota. Si è diplomato tra i primi della sua classe, composta da circa 350 persone, è stato il primo flautista della banda musicale e faceva parte del club di latino. All’accademia [U.S. Air Force Academy, dove entra nel 1969] fu selezionato insieme a una dozzina di altre matricole per far parte di un programma per cadetti di aliante, e a fine anno divenne pilota istruttore. […] Eric Vogel, che fece parte dello squadrone del capitano Sullenberger per tutti e quattro gli anni all’accademia e che dormiva con lui durante l’estate da matricole, ha detto che anche durante quei primi mesi al campo d’addestramento, il capitano Sullenberger era “imperturbabile”. “Sentivamo un sacco di pressione per il nuovo stile di vita, c’erano persone che ti urlavano contro tutto il tempo, e altre cose così, ma lui semplicemente prendeva le cose come venivano e andava avanti”» [Rivera, 2009, NewYorkTimes] • Si diploma da ufficiale nel 1973, con una laurea in scienze. Poi continua con gli studi, conseguendo due master alla Purdue University e alla University of Northern Colorado • Pilota da caccia per l’aeronautica americana dal 1973 al 1980 su jet F-4 Phantom II dei tempi della guerra in Vietnam, raggiunge il grado di capitano accumulando esperienza all’estero e nella base di Nellis, in Nevada. Riceve un addestramento avanzato al combattimento aereo ed è membro di una commissione investigativa sugli incidenti aerei • Nel 1980 viene assunto come pilota commerciale dalla Pacific Southwest Airlines, che nel 1988 verrà acquisita dalla compagnia che sarebbe poi diventata la Us Airways • Oltre ad essere un pilota di linea, fa l’istruttore ed è membro di comitati sulla sicurezza aerea e sugli incidenti.
Ammaraggio Il 15 gennaio 2009 – uno dei giorni più freddi dell’anno, la temperatura dell’acqua nell’Hudson di New York è di 5 gradi – è il capitano del volo 1549 dell’Us Airways, un Airbus A320 partito da New York poco prima delle 16 locali e diretto a Charlotte, in North Carolina. Alla sua destra il primo ufficiale Jeff Skyles, che aveva conosciuto solo quattro giorni prima, e che era al suo primo volo senza supervisione • «“We lost trust in both engines”, abbiamo perso il controllo di entrambi i motori, spiega il comandante Chesley “Sully” Sullenberger alla torre di controllo. [...] Appena in quota l’aereo si imbatte in uno stormo di oche, alcune vengono aspirate dai reattori mettendo fuori uso i due motori, è il temutissimo “strike bird”, che altre vittime aveva mietuto in passato. L’aereo non può proseguire la rotta, e il pilota deve procedere con un atterraggio di emergenza. La torre suggerisce di tornare a La Guardia, ma lo scalo nazionale è lontano: “Unable”, dice gelido Sullenberger. La torre suggerisce due alternative, due scali minori del vicino New Jersey: “Unable” ripete perentorio il navigato pilota. “We are gonna be in Hudson”, “Stiamo planando sull’Hudson”, riferisce Sullenberger dopo aver oltrepassato il Washington Bridge. Agli ospiti di bordo suggerisce un lapidario “tenetevi forte”. È la sua ultima frase, la voce si spegne, nei minuti successivi sono le immagini a parlare, quelle dell’ammaraggio dell’Airbus A320-214, una manovra perfetta, da manuale come confermano le immagini che ritraggono la fusoliera appoggiata nelle gelide acque all’altezza di Midtown, mentre equipaggio e passeggeri si radunano pian piano sull’ala del velivolo con le gambe a mollo sino all’arrivo dei soccorsi mobilitati dalla torre di controllo. Il bilancio sarà di qualche ferito, nessun morto. L’incidente viene subito ribattezzato “Miracolo sull’Hudson” e un funzionario del National Transportation Safety Board (l’autorità per la sicurezza in volo) lo descrive come “l’ammaraggio di maggior successo nella storia dell’aviazione”. L’allora sindaco Michael Bloomberg, a caldo, dice che il capitano “sembrava uscito da un film. Prima di scendere, mentre il velivolo stava affondando, è andato su e giù due volte nel corridoio per essere sicuro che era rimasto solo lui”. L’ex presidente Barack Obama lo vuole alla cerimonia di inaugurazione, quella storica del suo insediamento alla Casa Bianca, giunta dopo la mitica notte dell’8 novembre a Chicago quando vince contro il repubblicano John McCain. L’inquilino uscente della Casa Bianca George W. Bush lo chiama personalmente per congratularsi. Diventa un eroe» [Semprini, Sta] • Secondi passati dall’impatto con le oche all’ammaraggio: 208 • Sully, parlando del suo primo ufficiale, spiegò: «È come se avessimo fatto un piccolo balletto, coreografato molto precisamente; ci siamo assistiti, controllati e aiutati a vicenda. [...] non avevamo la spinta del motore, stavamo usando la gravità, scendendo molto più velocemente del normale. Perciò Jeff sapeva che sarebbe stato difficile per me stabilire l’altezza giusta alla quale iniziare l’atterraggio, iniziando ad alzare il muso dell’aereo […] Allora, di sua iniziativa, ha cominciato a scandire ad alta voce l’altitudine, con un ritmo cadenzato, mentre scendevamo, riducendo la velocità, per aiutarmi a giudicare l’altezza» [Rosenberg, cit.] • L’allora sindaco di New York Michael Bloomberg: «È stata una manovra tanto coraggiosa quanto straordinaria. Perché non solo il comandante è riuscito ad appoggiare l’aereo sull’acqua, per farlo galleggiare, ma da quello che mi hanno riferito dopo aver dato gli ordini per le operazioni di salvataggio ha anche verificato di persona che sull’aereo non ci fosse più nessuno. Solo allora lo ha abbandonato» • «“La sua cravatta non era nemmeno allentata”, ha detto Edward Skyler, vicesindaco di New York City, che si trovava vicino» a Sully mentre parlava con la polizia al molo 79, appena dopo l’ammaraggio. «Mentre altri si rannicchiavano sotto le coperte termiche, lui stava senza, e parlava con investigatori e ufficiali dell’aviazione. [...] disse a un ufficiale che la sua priorità era chiamare la moglie e cancellare una prenotazione per la cena» [Rivera, cit.] • «Vincent Lombardi è al timone del traghetto Thomas Jefferson della Ny Waterway che ha appena lasciato il molo 79 sul West Side di Manhattan, poco prima delle 15.30 del 15 gennaio 2009, diretto a Weehawken. Ed ecco che davanti a lui appare il volo Us Airways 1549 appena planato sull’acqua. “Lo spettacolo era surreale”, dice pur mantenendo lucidità. Il capitano dirotta il traghetto verso il punto di ammaraggio dell’aereo di linea. “Dovevo mantenere la calma ma agire in fretta”, racconta Lombardi anche lui presente alle riunioni del gruppo “Miracolo sull’Hudson”. La sua imbarcazione raggiunge l’aereo per prima. “Ho semplicemente adempiuto al mio giuramento di marinaio. I sopravvissuti erano già ricoperti d’acqua gelida per trenta centimetri, quel giorno c’erano meno sette gradi”. Due marinai tirano giù una scala e lanciano delle cime in acqua affinché le persone potessero afferrarle. Due passeggeri del traghetto si offrono volontari per raccogliere i giubbotti di salvataggio da lanciare nel fiume. Lombardi e il suo equipaggio recuperano 56 passeggeri che una volta raggiunta la riva, vengono portati negli ospedali vicini. In totale, 14 traghetti della New York Waterway hanno salvato 143 passeggeri e membri dell’equipaggio, quel 15 gennaio 2009 mentre la Guardia Costiera e i Vigili del Fuoco ne hanno salvati altri 12. È riconosciuto come il salvataggio marittimo di maggior successo nella storia dell’aviazione. Quando tutto si conclude, e pensa che sia ora di rilassarsi, il suo capo lo riprende: “Devi finire il tuo turno”» [Semprini, Sta] • «Danville, California, 40 miglia a est di San Francisco, il tranquillo vicolo a fondo chiuso dove vivono i Sullenberger era in fermento per l’arrivo dei giornalisti televisivi e della stampa. Lorrie Sullenberger, la moglie, insieme alle loro due figlie, un gatto e un labrador retriever giallo di nome Twinkle, si è ritrovata praticamente assediata» [Rivera, cit.] • I giornalisti iniziarono ad andarsene solo dopo dieci giorni • Sully e Laura sono sposati da 36 anni, lui le chiese la mano mentre sorvolavano il lago Tahoe. A dicembre è nato il loro primo nipote: Sully ha pubblicato sul suo profilo Instagram (@captsully) una foto dove lo tiene in braccio.
Dopo «Dopo la gloria istantanea viene messo sotto inchiesta poiché accusato di aver potuto evitare l’ammaraggio e atterrare. Ma in seguito, decine e decine di simulazioni gli danno ragione. L’accusa però gli crea problemi a dormire, incubi. È ormai un eroe e torna a volare, ma per poco: nel 2010 lascia la cloche. I piloti “vorrebbero sempre lasciare il servizio in condizioni migliori di quelle in cui l’hanno trovato, ma nonostante gli sforzi di migliaia di miei colleghi non è questo il caso”, dice Sully con un po’ di amaro in bocca. Dopo il “Miracolo” scrive un libro, Brace for Impact (Prepararsi all’impatto) [a cui se ne aggiungeranno altri due negli anni successivi, ndt], tiene seminari in scuole e università, parla al Congresso sulla sicurezza aerea, viene omaggiato al Superbowl. È anche coinvolto in una polemica sugli stipendi dei professionisti dell’aria, quasi dimezzati dopo l’11 settembre 2001. Viene nominato ambasciatore Usa presso l’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (Icao), l’agenzia delle Nazioni Unite, e un museo viene intitolato in suo onore: il Carolinas Aviation Museum, che ora è conosciuto come Sullenberger Aviation Museum» [Semprini, Sta] • «Dopo un anno abbondante di indagini sull’atterragio d’emergenza nel fiume Hudson del 15 gennaio 2009, la National Transportation Safety Board è arrivata alla conclusione che il “Miracolo dell’Hudson” sia un po’ meno miracoloso di quanto sembrasse. I piloti che nei mesi scorsi al simulatore di volo hanno affrontato la medesima situazione gestita dal pilota eroe Chesley “Sully” Sullenberger – con la rottura di entrambi i motori dovuta al risucchio di stormi di uccelli – sono sempre riusciti ad atterrare in maniera sicura all’aeroporto La Guardia. Questo, precisano dalla Ntsb, non vuole dire però che Sullenberger abbia sbagliato ad atterrare nel fiume: il pilota non poteva sapere che l’aereo sarebbe stato in grado di attraversare Manhattan. Alla Airbus temevano così tanto di essere anche solo sospettati di volere ridimensionare i meriti del pilota che i vertici dell’azienda hanno chiesto alla Ntsb di tenere secretati i risultati» [WallStreetJournal, 2010] • Nel 2010, dopo 30 anni di lavoro, «il veterano pilota con un passato militare, a 59 anni compiuti, indossa la divisa per l’ultima volta, senza fare troppo rumore. L’ultima tratta è da Fort Lauderlade, in Florida, a Charlotte, stessa destinazione del volo 1549». «Durante il mio ultimo volo, il volo della pensione, ho insistito per volare con Jeff [il suo primo ufficiale nell’ammaraggio, ndt]. Alcuni passeggeri del nostro volo sul fiume Hudson hanno comprato i biglietti per essere con noi» [Rosenberg, cit.] • Si concentra sulla sua attività di consulenza per la sicurezza aerea, la Safety Reliability Methods (fondata nel 2007, cioè prima dell’ammaraggio nell’Hudson), e tiene conferenze in giro per l’America • Incontra periodicamente i sopravvissuti. L’anno scorso «si sono dati appuntamento a una manciata di isolati dall’ammaraggio, al Paley Center for Media di Midtown. Ed è stata l’occasione per tornare a confrontarsi su quel giorno, riflettendo su come sono trascorsi questi 15 anni, con la constatazione che i ricordi del volo e le emozioni ad esso associate rimangono vividi. Negli anni i passeggeri, i membri dell’equipaggio e i primi soccorritori hanno raccontato di come l’impatto di quell’evento abbia loro cambiato la vita. “Pensavo che sarebbero tutti morti”, ricorda Patrick Harten, uno dei controllori del traffico aereo testimone dell’incidente. “Non avevo dubbi, stavo per lasciarci la pelle”, spiega la passeggera Denise Lackey. Dal “bird strike” all’atterraggio sono trascorsi circa 4 minuti, istanti di durata siderale, ma con lieto epilogo. “È stato qualcosa di traumatico ma alla fine pieno di speranza – spiega il comandante Sully – per questo abbiamo un legame che sentiamo ancora”» [Semprini, Sta] • «“In seguito a quell’evento ho sentito la necessità di stilare una lista dei desideri e di cercare con decisione di esaudirli tutti. Tutti riguardavano esperienze, non soldi o riconoscimenti”. Così Barry Leonard, 70 anni, uno dei 155 passeggeri del Miracolo sull’Hudson, in seguito al quale ha riportato la rottura dello sterno, racconta della sua seconda vita. “Mio figlio ed io abbiamo scalato il Kilimangiaro e fatto dei safari”» [ibid.] • Tra i passeggeri c’erano anche «Laura Zych e Ben Bostic, due giovani di Charlotte, città della North Carolina dove l’aereo era diretto, che in quel drammatico pomeriggio si scambiarono solo qualche sguardo. Ma sei mesi dopo, durante il party organizzato per festeggiare il miracoloso salvataggio del volo 1549, Ben e Laura si sono rincontrati e velocemente si sono innamorati. Adesso vivono insieme» [Tortora, 2010, Cds].
Film Nel 2016 Clint Eastwood dirige Sully, con Tom Hanks nei panni del capitano • «Una specie di autoritratto di un vecchio eroe crepuscolare che rivendica il fattore umano nell’èra delle tecnologie digitali» [Morreale, Rep] • «Tom Hanks calza a pennello. Nuovo Gregory Peck o Henry Fonda costretto a difendere il proprio onore dalle ombre che ingiustamente lo minacciano. L’uomo integro – con i suoi difetti, che rendono ancora più apprezzabile la sua integrità – che assume sulle proprie spalle il peso schiacciante della responsabilità. Riducendo al minimo le parole, l’esternazione di sentimenti e risentimenti. Un uomo vero, insomma» [D’Agostino, Rep] • «Clint Eastwood. È difficile che veda un suo film senza che abbia l’impulso di piangere. È successo anche con l’ultimo, Sully, in cui c’è tutta la sua filosofia: ognuno risponda di se stesso e del proprio coraggio» [Giampiero Mughini a Maurizio Caverzan, Verità].
Titoli di coda «Da studente, dici che eri molto studioso, molto serio, introverso e timido. “Non sono cambiato molto”. Beh, insomma… “Sono cresciuto. Sono cresciuto”» [Rosenberg, cit.].