Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  gennaio 27 Lunedì calendario

Biografia di Hamad bin Isa Al Khalifa (Hamad bin Isa bin Salman Al Khalifa)

Hamad bin Isa Al Khalifa (Hamad bin Isa bin Salman Al Khalifa), nato a Riffa (Bahrein) il 28 gennaio 1950 (75 anni). Politico. Re del Bahrein (dal 14 febbraio 2002). Già emiro del Bahrein (1999-2002). «Anche se il Bahrein non può contare sulle grandi riserve di petrolio e di gas dei vicini Emirati, il regime è riuscito a farne un punto di riferimento del sistema bancario mediorientale. Commerci, transazioni, intermediazioni hanno trasformato il Bahrein in un piccolo regno delle favole. Dal 2004 anche la Formula 1» (Alberto Stabile) • «La fortuna di questo Paese, identificato con il leggendario Giardino dell’Eden per la presenza dell’Albero della Vita, un tempo la facevano le perle. Grandi, lucenti e di forma perfetta, con eleganti variazioni di colore dal pesca al ferro. Fu il loro redditizio commercio ad attirare dal Qatar la famiglia degli Al Khalifa, che oggi regna nel Paese» (Francesco Deleo). «Il Bahrein è un minuscolo Stato (appena 700 km2), formato dall’omonima isola e da una trentina di isole minori, con circa un milione di abitanti. Ma è situato nel Golfo Persico, di fronte alle coste saudite e a soli 200 km da quelle iraniane: quindi in una posizione geostrategica di primaria importanza. Per questo, da quando è divenuto indipendente dalla Gran Bretagna nel 1971, gli Stati Uniti lo hanno usato quale base delle proprie forze navali nel Golfo. Nel 1995 è stato installato a Manama il quartier generale delle forze navali del Comando centrale, comprendente la Quinta flotta, la cui area di operazioni include il Golfo Persico, il Mar Rosso, il Mar Arabico e altre parti dell’Oceano Indiano. […] Principale garante degli interessi statunitensi in Bahrein è sua maestà il re Hamad bin Isa Al Khalifa» (Manlio Dinucci). Formatosi dapprima nella capitale Manama e poi tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti, Hamad bin Isa Al Khalifa prese il potere il 6 marzo 1999 in seguito all’improvvisa morte del padre, l’emiro del Bahrein Isa bin Salman Al Khalifa (1933-1999). «Lo sceicco Hamad, che era stato principe ereditario, aveva già ricoperto il titolo di comandante in capo delle Forze armate del Bahrein. […] È un comandante militare esperto che si è laureato all’accademia militare britannica di Sandhurst. Come principe ereditario dal 1964, ha presieduto un rafforzamento delle forze armate del Bahrein ed è stato visto come un forte sostenitore della nascente partnership del Bahrein con l’Occidente. […] Lo sceicco Hamad eredita un emirato la cui forza come capitale bancaria e finanziaria ha contribuito a compensare la sua relativa mancanza di petrolio, sebbene rimanga un cugino povero tra i suoi vicini del Golfo Persico. Ci sono anche profonde tensioni interne, soprattutto tra la popolazione maggioritaria del Bahrein di musulmani sciiti e la minoranza sunnita più prospera, guidata dalla famiglia Al Khalifa, che controlla quasi tutto il potere e i privilegi» (Douglas Jehl). Ai tempi del padre Isa bin Salman Al Khalifa, «la soluzione del Bahrein a questo squilibrio era quella di mettere a tacere il dissenso esiliando migliaia di critici del governo, utilizzando leggi di emergenza per arrestarne centinaia di altri e, nel 1975, chiudendo un Parlamento che esisteva da solo un anno. Sotto le forze guidate da un britannico, Ian Henderson, e composte principalmente da truppe pachistane e straniere, il Bahrein si trasformò in uno Stato di massima sicurezza alla fine degli anni ’80. Verso la metà degli anni ’90, il risentimento esplose in attentati, rivolte e altri attacchi, che causarono 40 vittime. Quando i membri di alcune delle principali famiglie sunnite si unirono agli sciiti firmando petizioni che esortavano il governo a porre fine alle sue leggi di emergenza e a ristabilire il Parlamento, vennero licenziati o sospesi dai loro incarichi governativi. Le aziende straniere iniziarono a spostarsi dal Bahrein. Solo con la morte del vecchio emiro, lo sceicco Isa Al Khalifa, nel 1999, e l’ascesa al trono del figlio, lo sceicco Hamad, […] il quadro cambiò radicalmente, culminando nell’annuncio del febbraio scorso [2001 – ndr]: amnistia per gli esiliati, tra cui alcuni ex marxisti; libertà per i prigionieri politici; elezioni comunali nel 2002; elezioni parlamentari nel 2003» (Jehl). Le elezioni parlamentari si svolsero poi nel 2002, per la prima volta dal 1973, e da allora si sono tenute regolarmente ogni quattro anni. Quelle del 2002 furono inoltre le prime elezioni svolte in base alla nuova Costituzione, promulgata quello stesso anno, con la quale, tra l’altro, Al Khalifa aveva dichiarato il Bahrein monarchia costituzionale (anziché emirato), assumendo così il titolo di re, e concesso il diritto di voto alle donne. «La monarchia ereditaria del Bahrein dovrebbe essere “costituzionale”, come proclama la nuova Costituzione del 2002. È sempre il sovrano, però, a esercitare la funzione di capo dello Stato, a nominare il primo ministro, […] il Consiglio dei ministri e i 40 membri della Camera alta del Parlamento. Gli altri 40 della Camera bassa vengono eletti ogni quattro anni (senza che siano presenti osservatori internazionali), ma i poteri del Parlamento sono praticamente nulli e i partiti fuori legge. Le altre cariche, tipo quella di capo delle Forze armate, attribuita per diritto al principe ereditario, sono quasi tutte distribuite all’interno della famiglia reale» (Dinucci). «Da quando ha ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1971, il Bahrein ha cercato diligentemente di costruire uno Stato moderno. Ma le ricadute della Rivoluzione islamica iraniana del 1979 hanno reso questo sforzo molto più difficile, alimentando movimenti teocratici come il Fronte islamico per la liberazione del Bahrein e Hezbollah nella Penisola Arabica. […] Piccolo regno di grande importanza strategica, il Bahrein […] ha una composizione demografica storicamente complessa di sciiti, sunniti e minoranze cristiane ed ebraiche. Nel corso degli anni, il Bahrein ha affrontato un ciclo di eventi analogo. Lo Stato persegue riforme politiche ed economiche. Questi sforzi vengono poi sabotati da impopolari islamisti sciiti radicali sostenuti dall’Iran. Alla fine, lo Stato supera queste sfide e ripristina la stabilità, a volte a costo degli sforzi di riforma inizialmente perseguiti. Questo schema si è ripetuto da quando è stato fondato lo Stato. […] Nel 2001 il re Hamad bin Isa Al Khalifa ha promulgato la Carta d’azione nazionale, avviando il processo di istituzionalizzazione della democrazia in Bahrein, con la promessa di una nuova èra che avrebbe stabilito un sistema politico progressivo e una amministrazione più rappresentativa. Si sperava che questi passi autentici verso la riforma avrebbero spinto i radicali a moderare le loro opinioni, tornare dall’esilio e partecipare agli sforzi di riforma. Ma, in assenza di partiti politici moderati alternativi, l’agenda teocratica radicale finanziata dall’Iran si è radicata nella politica interna del Bahrein. Il partito sciita Wefaq, il Consiglio supremo sciita per gli affari islamici e altri blocchi settari hanno dominato l’arena politica della nazione, quasi monopolizzando le schede e i voti. […] I partiti islamici affamati di potere pretendono di sostenere la “democrazia” ma rimangono fermamente contrari all’idea di cooperare con il governo per produrre una nazione moderna. Invece, preferiscono abbracciare la politica del rifiuto al di fuori delle istituzioni del Paese» (Sarah bin Ashoor). Il regno di Al Khalifa attraversò la fase più critica tra febbraio e marzo 2011, quando anche il Bahrein fu interessato dai moti insurrezionali delle cosiddette primavere arabe, il cui teatro principale fu la piazza della Perla nella capitale Manama. «L’accampamento dei ribelli è una tendopoli immersa nella penombra. Il grande monumento alla Perla, la gemma che per secoli ha dato da vivere ai pescatori del Bahrein, incombe sui dimostranti. […] Dopo la Tunisia e l’Egitto anche nel piccolo regno fra i due mari, stretto fra la costa saudita e il Qatar, si sta facendo la storia. […] “Noi vogliamo lavoro e libertà”, dicono i giovani che si ammassano sul ponte da cui si domina la piazza e l’accampamento sottostante. “Gli stranieri hanno costruito il Bahrein: giordani, egiziani, asiatici, a tutti viene dato un lavoro tranne che a noi, che siamo nati qui con il peccato capitale di essere sciiti”. […] Quando i leader della rivolta dicono di volere una “vera” monarchia costituzionale dicono semplicemente di volere un regime dove la maggioranza conti come tale, il governo risponda al Parlamento e non al re e non ci sia più una Camera alta nominata dal sovrano che sistematicamente annulla ogni proposta che arrivi dal basso. Questo è il programma del Wefaq, il partito degli sciiti, che raccoglie 18 dei 40 deputati eletti in Parlamento. E questo è anche l’obiettivo, come dire, istituzionale della protesta. […] La tensione tra i giovani e il regime è una vecchia storia. Già nel 2008 secondo uno dei cablogrammi usciti su Wikileaks l’ambasciatore americano del tempo, Adam Ereli, aveva avvertito il sovrano che il Bahrein non sarebbe potuto progredire economicamente se il governo avesse continuato a usare l’arma della repressione. Ben prima che esplodesse la protesta, quasi ogni settimana si fronteggiavano la polizia e bande giovanili sciite. Per re Hamad, invece, quelle proteste mascherate avevano una matrice precisa, quella iraniana. Convinto che il regime di Teheran rappresenti la più grave minaccia destabilizzatrice della regione, il sovrano del Bahrein non ha esitato, conversando con gli inviati americani, ad accusare l’Iran di fomentare i disordini. Cosa che i diplomatici statunitensi gli hanno apertamente contestato. È andato anche oltre, re Hamad, nella sua dietrologia. È arrivato al punto di sospettare che certi elementi dell’opposizione venissero addestrati in Libano dagli Hezbollah. Tutto questo per cercare di sostenere con argomenti forti le sue crescenti richieste di protezione militare da parte del potente alleato americano» (Stabile). A un mese dall’inizio delle manifestazioni, il sovrano «dichiarò lo stato di emergenza e le truppe dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti invasero il Bahrein per sostenere il governo. Ci furono centinaia di morti, e alcune organizzazioni non governative parlano di migliaia di civili incarcerati» (Virginia Della Sala). «L’intervento saudita per salvare la monarchia del Bahrein […] ha fatto perdere la poca legittimità di cui ancora godeva Hamad Al Kalifa, re del Bahrein, agli occhi dei suoi sudditi, dando la possibilità all’Iran di mostrarsi come (improbabile) difensore della democrazia» (Alberto Mucci). Dopo il rapido e brutale ripristino dell’ordine – suggellato dalla simbolica distruzione della statua della Perla che dominava l’omonima piazza, secondo Al Khalifa ormai profanata dai rivoltosi –, i moti di protesta andarono scemando, sebbene anche in seguito non siano mancate nuove contestazioni, puntualmente soffocate sul nascere con ogni mezzo, al di là di qualche flebile tentativo di dialogo nel segno della riconciliazione nazionale. «Dalla fallita “primavera delle perle” del febbraio del 2011, gli sciiti sono vittime di arresti, torture, vessazioni di ogni tipo. E loro, sostenuti e sobillati dall’Iran, si organizzano sempre meglio» (Vincenzo Nigro). «La rilevanza della sua posizione nel Golfo garantisce una sorta di immunità al regno di re Hamad bin Isa Al Khalifa, che è accusato di violazioni dei diritti umani a danno degli oppositori politici e degli sciiti» (Michele Giorgio). Confortato dalla sostanziale acquiescenza della comunità internazionale, negli anni successivi Al Khalifa confermò il suo orientamento filoccidentale, giungendo nel settembre 2020 ad aderire ai cosiddetti Accordi di Abramo promossi dalla prima amministrazione Trump, istituendo piene relazioni diplomatiche ed economiche con Israele. «Il piccolo arcipelago del Golfo, guidato da un alleato di ferro degli Usa, re Hamad bin Isa Al Khalifa, ha scelto di normalizzare i rapporti con lo Stato di Israele. […] Il passo mosso dal Bahrein ha fatto meno clamore rispetto all’annuncio […] dell’avvio di piene relazioni tra Emirati e Israele. Ma non è meno importante per lo Stato ebraico» (Giorgio). «Uno dei risultati più significativi degli Accordi di Abramo è stata l’inclusione d’Israele nell’area di competenza del CentCom, il comando centrale dell’esercito statunitense che opera dall’Egitto all’Afghanistan e di cui Manama costituisce una base di primo piano, soprattutto nella difesa delle rotte marittime […] protagoniste di numerosi sabotaggi, uno dei fronti della guerra delle ombre tra Israele e Iran» (Sharon Nizza). Nel novembre 2022, inoltre, il monarca accolse per la prima volta nella capitale Manama papa Francesco, per poi rendergli a propria volta visita in Vaticano nell’ottobre 2023. «Lo stadio in cui si giocano le partite di calcio della Coppa del Golfo, costruito dalla famiglia reale del Bahrein per ospitare 30 mila tifosi, stavolta si è riempito di cristiani. Una folla del genere (e per giunta per una messa all’aperto) non si era mai vista prima. […] A queste latitudini, dove il sistema si basa sulla legge coranica, un evento religioso che non sia musulmano non è mai scontato e, di sicuro, fino a qualche anno fa sarebbe stato inimmaginabile. Merito del cammino interreligioso intrapreso da papa Francesco con l’islam moderato, con il quale, nel 2019, ha firmato negli Emirati Arabi la dichiarazione sulla fratellanza con il grande imam del Cairo, Al Tayyib, massima autorità teologica sunnita. […] Sotto re Al Khalifa i cristiani da tempo godono di una discreta libertà, tanto che possono andare a messa senza doversi nascondere o rischiare l’arresto come in Arabia. L’anno scorso [cioè nel 2021 – ndr] hanno potuto persino inaugurare una cattedrale su un terreno di seimila ettari donato dal sovrano, anche se nella penisola il cristianesimo resta una religione di serie B. Le discriminazioni verso i cristiani lavoratori immigrati – a volte quasi degli schiavi – non mancano» (Franca Giansoldati) • Poligamo, ha quattro mogli e dodici figli. Il primogenito, il principe ereditario Salman bin Hamad Al Khalifa (1969), è dal 2020 primo ministro del regno • Grande passione per la falconeria e per la scherma • «Al potere dal 1999, autoproclamatosi re nel 2002, per gli standard regionali Hamad ha mostrato un orientamento liberale nei primi anni di regno (diritto di voto alle donne e magnanimità verso i dissidenti) e più conformista negli ultimi. […] E tuttavia, a dispetto delle delusioni di chi si attendeva un corso più coraggioso da parte di re Hamad, il suo Bahrein è uno degli Stati più tolleranti della regione. […] In questa spinta modernizzatrice il sovrano del Bahrein è stato spalleggiato da un figlio formato a Cambridge e innamorato dell’English style. Ispiratore di un programma di riforme ambizioso, l’“Economic Vision 2030”, che di fatto ha creato istituzioni parallele a quelle governative, il principe ha un mantra, “Evolution, not revolution”, e sogna un riformismo illuminato, senza scossoni. […] Nel 2011 il principe premeva per una soluzione morbida, ma le trattative con Al Wefaq – sostenute anche da Washington – sono fallite. Il ministro della Corte reale e il capo delle Forze armate hanno fatto quadrato attorno alla linea dura del capo del governo [all’epoca il prozio Khalifa bin Salman Al Khalifa (1935-2020) – ndr] e una missione a Riad del potente triumvirato ha costretto il re a capitolare. […] È un equilibrio precario di tank, petrodollari e alleati imbarazzati, con in mezzo la marina americana, lì di fronte all’Iran» (Tatiana Boutourline).