28 gennaio 2025
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Biografia di Mario Sechi
Mario Sechi, nato a Cabras (in provincia di Oristano) il 29 gennaio 1968 (57 anni). «Non ho fatto il Sessantotto, ne sono semplicemente figlio». Giornalista, direttore di Libero.
Titoli di testa «Per fare un buon giornale di destra servono giornalisti di sinistra, e viceversa» [Recanatesi, 2011, Prima].
Vita Abitava con la famiglia in piazza Stagno Pontis, a Cabras, «paesone di 9 mila anime a nove chilometri da Oristano, noto per i fenicotteri, la bottarga e la “processione degli scalzi”, uomini e donne senza scarpe che portano in salvo la statua di San Salvatore. Mario Sechi è il primo dei quattro figli di Cesare, elettrotecnico, e Peppica Marongiu, casalinga. Mario avrà in seguito due fratelli e una sorella, la più piccola, Sara, 33 anni, laureata alla Bocconi. “Un genio”, sottolinea Mario. Se è vero, lo è diventata anche per merito suo perché a mantenerla agli studi ci ha pensato lui. […] Era uno studente brillante, tutti 8 salvo il ricorrente 7 in condotta, perché non era un secchione, anzi bigiava spesso la scuola, istituto tecnico Lorenzo Mossa. Preferiva gli allenamenti con il San Marco Cabras, squadra di serie D, dove giocava come difensore [ora ne è presidente onorario, ndc]: terzino o stopper. Finché una sera mamma Peppica lo prese da parte e gli disse con tono grave: “Mario, ora basta con il pallone, qui stiamo tirando la cinghia, finisci gli studi e mettiti a lavorare”. Così fece, iscrivendosi alla facoltà di scienze politiche all’università di Cagliari e allo stesso tempo impiegandosi come ragioniere nella Attilio Contini spa, ditta di vini pregiati, a un milione al mese» [Recanatesi, cit.] • «Ebbe la fortuna di crescere in una casa piena di giornali e di libri. Suo padre comprava ogni giorno L’Unione Sarda e Corriere della Sera e ogni settimana L’Espresso e Panorama. Lui prima sbirciava, con gli anni affondava nella lettura. A 15 anni scrisse dei racconti (“non li pubblicherò mai, resteranno un mio segreto”), una serie mutuata da Edgar Allan Poe, una paginetta l’uno, col gusto del brivido e del paradosso finale. […] Mentre raccoglieva per la concessionaria Manzoni la pubblicità per La Nuova Sardegna, rispose a un annuncio per una selezione alla scuola di giornalismo della Luiss. Superò l’esame, si stabilì a Roma, studiava e alzandosi alle 5 del mattino curava la rassegna stampa per Edindustria, gruppo Iri. Divideva un appartamento sulla Tiburtina con altri cinque ragazzi e una stanza con un dipendente della Standa che gestiva il banco dei formaggi» [ibid.] • «Alla Luiss c’era un docente pazzo, Roberto Martinelli, celebre giornalista di giudiziaria dell’Indipendente che su mia richiesta mi aveva fatto scrivere qualche pezzetto di cultura. Il primo riguardava il crollo delle quotazioni dei quadri di Andy Warhol. Scrivere in cultura è come sedere in panchina durante una partita di calcio. Un giorno Martinelli mi fa: “Domani non venire a lezione, vai alla settima sezione del Tribunale, vedi se c’è qualcosa di interessante”. Ricordo che appena entrato mi trovai il giudice Carnevale alle spalle. E scoprii che Curcio, il brigatista, stava per uscire dal carcere. Vado dalla signora Lombardi, il suo avvocato, e mi faccio raccontare ogni particolare. Il direttore Ricardo Franco Levi mise l’articolo in prima pagina. Poi arrivò Vittorio Feltri. Scrissi per la cronaca e la giudiziaria, mi occupai persino di Mani pulite. Finito il corso alla Luiss, chiesi a Martinelli: mi fai fare uno stage all’Espresso? Mi rispose: “Posso anche provare, ma io ti consiglio di rimanere con Feltri. Quello è matto, hai visto mai…”. E infatti. Nell’estate del 1992 Giuseppe Mazzei, uno dei ragazzi con cui dividevo l’appartamento, ora giornalista all’Arena di Verona, mi chiama: “C’è Feltri al telefono per te”. Pensavo mi prendesse in giro, invece era proprio lui: “Cosa fai lì, perché non vieni a lavorare a Milano!”. Posai la cornetta e corsi a fare la valigia» [ibid.].
L’Indipendente «Era senza dubbio povero. Un giovane collega gli chiese se davvero, da trentenne, dormisse sui treni perché senza alloggio. Rispose che era vero che dormisse sui treni, ma perché faceva la spola tra Milano e Piacenza (dove gli affitti costavano meno)» [Caruso, Foglio] • «Quando si presentò davanti a me aveva l’aria di un profugo, indossava abiti raccapriccianti, ma il suo aspetto, benché poco rassicurante, mi lasciò indifferente. Lo interrogai per una dozzina di minuti, non mi parve stupido e lo assunsi come abusivo, cioè in prova illegale» (Vittorio Feltri) • «“La redazione era una spremuta di anarchia. Accanto ai pezzi di Feltri c’erano quelli di Alessandro Curzi e Massimo Teodori. Una follia bene organizzata. Una grande scuola”. Ricordi il momento in cui ti fu proposta l’assunzione? “Come se fosse adesso. Settembre del 1992. Ero in bagno, Feltri stava facendo la pipì accanto a me. Mi disse: ‘Mario, che ne dici se ti assumo?’”» [Recanatesi, cit.].
Il Giornale/1 Quando Feltri lascia L’Indipendente, nel 1994, se ne va anche lui • «Presentai le dimissioni al buio, senza un altro impiego, senza la garanzia di uno stipendio. Ma per poco. Trovai un messaggio di Feltri e Belpietro nella segreteria telefonica: “Vieni qui che c’è da lavorare”» [Recanatesi, cit.] • Diventa caporedattore de Il Giornale, prima a Roma (dove è compagno di stanza di Gianmarco Chiocci, attuale direttore del Tg1) e poi a Genova.
Unione Sarda Nel 1998 va a dirigere l’Unione Sarda • «Rimasi a Cagliari per tre anni. Non feci benissimo. Forse ero un po’ acerbo, troppo giovane» [Recanatesi, cit.].
Il Giornale/2 Nel 2001 torna a Il Giornale • «Tirai un sospiro di sollievo quando Belpietro mi richiamò al Giornale come caporedattore a Roma. Trovai la redazione più di sinistra che abbia mai guidato. Nella stanza di Telese, Scafi e Scafuri campeggiava un poster di Che Guevara» [ibid.] • «Quella sera che, passando dalla sede del Giornale di via Due Macelli si ritrovò nella “sua” edicola notturna fianco a fianco ad un signore che sgomitava per farsi spazio. Sechi stava per fulminarlo quando si accorse che era Silvio Berlusconi. Si mise a chiacchierare con il Cavaliere – che all’epoca non lo conosceva – che discettava sui suoi gusti nella stampa periodica, mentre aveva in mano una copia di Astra. Il giorno dopo Mario scrisse il retroscena che passava dalle riviste al governo e finiva con l’astrologia, e ci fu (persino nella sua redazione) qualcuno convinto che, dati i temi dell’intervista e le confidenze del Cavaliere, si trattasse in realtà di una sceneggiata a tavolino, e che l’intervista fosse stata concordata, e poi trasformata in finta conversazione casuale: “Come si può immaginare – dicevano i malevoli – che un editore parli con un suo redattore, alle due di notte, davanti ad una edicola notturna?”. Commento di Sechi: “Siete fortunati che non sono direttore, altrimenti vi avrei licenziati tutti”» [Telese, Tpi].
Panorama Nel 2007 segue Belpietro a Panorama, come vicedirettore e capo della redazione di Roma • «Lei è stato molto legato a Belpietro, insieme eravate un duo mica male. “Quasi inossidabile”» [Scalise, 2011, Prima].
Libero Nel 2009 va a Libero come vicedirettore • Convinse Pansa (con il quale disse di chiacchierare quotidianamente) a scriverci: «Lo volevo a Panorama ma lui non venne perché non voleva lavorare per Berlusconi. Quando andammo a Libero decise di scrivere per noi. Mi diceva sempre: “Con te mi sento tranquillo”» [ibid.].
Il Tempo Nel 2010 diventa per la prima volta direttore, a Il Tempo. Ha 42 anni: «l’età giusta per dirigere un giornale è questa, dai quaranta ai cinquanta» [Scalise, cit.] • «La stanza del direttore è al quarto piano e ha le scansie delle librerie vuote. Alle pareti brillano i ritrattoni colorati di Umberto Pizzi: una Sophia e un Armani vecchi e ridenti, un D’Alema con gli occhi rotondi e sbarrati come quelli di un gatto sorpreso a rubare il formaggio, un Altissimo irriconoscibile, un Mastella che si ingozza con uno spiedino di mozzarella e pomodorino pachino, Pamela Prati generosa come sempre… Sul tavolo, nemmeno un foglio ma due libri: Carte false di Giampaolo Pansa e La solitudine del satiro di Ennio Flaiano» [ibid.] • «Sono molto metodico. Riunione alle undici e mezza la mattina fino all’una. Poi un check alle tre e mezza, aggiornamento, altra riunione alle sei e mezza, prima pagina, check degli argomenti. I bozzoni passeranno in questa stanza e mi rititolerò le pagine» [ibid.] • Rimane fino al 2013, quando lascia per scendere in politica.
List Nel 2013 si candida come capolista al Senato per la Sardegna. È nella lista «Con Monti per l’Italia», che però non raggiunge la soglia di sbarramento. «Dopo la mancata elezione, Sechi perdette tutto. Si inventò la prima newsletter quando sembrava un passatempo per disoccupati» [Caruso, cit.]• Nel 2017 fonda la newsletter List con Maite Carpio, tra le altre cose produttrice di film e moglie di Paolo Bulgari • «Di fronte ad alcuni colleghi, talvolta ammirati e talvolta stupiti di questo inedito modello di business, Sechi spiegava: “Se non c’è un editore abbastanza lungimirante da farmi scrivere quello che voglio, devo trasformare me stesso in un editore così lungimirante da potermi pubblicare senza nessuna censura. Eh eh eh!”» [Telese, cit.] • Ma anche: scrive sul Foglio, «ogni mattina, a Radio 24, spiegava l’economia (si serviva del Faust di Goethe) insieme a Pietrangelo Buttafuoco e Giovanni Minoli» [Caruso, cit.] • La newsletter è ancora attiva.
Agi Nel 2019 diventa direttore dell’agenzia stampa Agi. Lascerà nel 2023, il 3 marzo, con un discorso in terza persona: «È una magnifica fusione, una via di mezzo, tra il discorso motivazionale di Leonardo Di Caprio ai suoi broker, lo Zarathustra di Nietzsche e l’onorevole Trombetta di Totò: “Ma mi faccia il piacere”. Iniziamo dalla frase totemica: “Io non sono Mario Sechi perché sono venuto all’Agi. Io ero già Mario Sechi. E lo sarò anche dopo. L’Agi resta mia, io non mi sento un esule, non vado al confine” […] un uomo che ha vissuto “la solitudine del comando”, uno che non aveva bisogno di fare il direttore di Agi perché, così ha precisato, “ero molto felice, guadagnavo benissimo e facevo una vita migliore”. Si è sacrificato, “non so se è chiaro?” […] “Si dice che contano solo i campioni che fanno gol, peccato però che poi c’è chi li mette in campo”. E chi lo ha fatto? Forza, in coro: “Il sottoscritto!”. Un avviso, ahinoi, non ci sarà un altro direttore come Sechi, e lo dice Sechi: “Curriculum come il mio non è facile trovarne in giro. Dopo di me non ci sarà un’altra persona che reggerà questa pressione, non ci sarà perché bisogna farsi concavi e convessi. Vedrete e direte, Mario aveva ragione. Domani è un altro mondo perché io me ne vado. E sia chiaro, me ne vado io”. Barili di lacrime sono stati riempiti dopo questa frase» [Caruso, cit.].
Meloni Ha chiesto l’aspettativa ad Agi per andare a dirigere l’ufficio stampa della premier Meloni • «Alle cinque della sera, in una piazza di Roma, da un’auto di lusso scende Mario Sechi, direttore dell’Agi, figlio di un pastore [invece è figlio di un elettrotecnico, ndc]. Però che onore. Sarà portavoce del Palazzo. Cazzo che carriera» (Vittorio Feltri). • «Guadagnerà, di riffa o di raffa, 180 mila euro all’anno» [Proietti, Fatto] • «Sechi è il Rocco Casalino di Giorgia. La figura che dà e (soprattutto) toglie la parola ai cronisti durante le conferenze stampa. È quello che redarguisce i colleghi della stampa quando i protocolli saltano. Come è successo ieri. Quando la Meloni, con a fianco i ministri Nordio, Piantedosi, Tajani e Salvini, ha inanellato un paio di inesattezze sul racconto del naufragio [di Cutro, ndc]. […] Sechi, tra un placcaggio verbale e l’altro, va anche sopra la voce della premier, restituendo l’immagine di una conferenza che è andata a farsi benedire. E la premier è costretta a intervenire per riportare ordine. “Scusa Mario” si sente dire al minuto 54 della conferenza stampa» [Penna, AffariItaliani] • Lascia l’incarico dopo soli quattro mesi: «“This is the end, beautiful friend. This is the end my only friend”, scrive Sechi nel suo post su Instagram corredato da una foto di Roma scattata probabilmente dal tetto della sua abitazione nella capitale. […] Gli “addetti ai livori” parlano di un cerchio magico meloniano che non ha mai accolto con entusiasmo, per usare un eufemismo, l’ex numero uno dell’agenzia stampa Agi. I rapporti con Patrizia Scurti, eterna segretaria di Meloni e oggi capo della sua segreteria particolare, e Giovanna Iannello, oggi coordinatrice della comunicazione istituzionale della premier, non sono mai decollati. Sechi inoltre è arrivato a Palazzo Chigi con un incarico già di fatto depotenziato: non portavoce ma capo ufficio stampa» [Unità].
Libero/2 Va a Libero, del quale è tuttora direttore responsabile • Ospite di Otto e mezzo su La7, disse: «“Insieme con Giorgia Meloni ho deciso di fare altro, di tornare al mio primo amore”. Che coincide romanticamente con l’ultimo, ovvero Giorgia Meloni, visto che su Libero continua a essere il suo amorevole megafono. Ma guai a pensarlo, Sechi si ribella, si scrolla di dosso l’odioso scopetto: “Non è vero che Libero è schierato col governo, l’altro giorno ho fatto scrivere a Capezzone un articolo contro la questione dei biglietti aerei, quindi contro il ministro Urso!”. Un feroce cane da guardia del potere. Attendiamo un violento editoriale sull’assenza di alternative vegetariane nei bar dei traghetti per Olbia» [Lucarelli, Fatto].
Tv «A metà degli anni duemila Sechi irrompe sul piccolo schermo come opinionista, commentatore, mattatore, e addirittura ospite pressoché fisso, della #Maratonamentana» [Telese, cit.] • «Mentana impaziente lo incalzava: “Mario, hai finito?”. E Sechi, per nulla turbato, allargando il suo sorriso: “Enrico, ho appena iniziato, quindi fammi concludere!”. E poi, poco più tardi, creando un tormentone. Mentana: “Mario, almeno stavolta hai finito?”. E lui, con il solito ghigno spavaldo: “Enrico, sto parlando anche a nome del collega che mi ha preceduto”. Mentana, divertito: “Veramente lui non sta dicendo nulla. Parli solo tu!”. E il neo direttore mostrando fogli fitti di appunti e dati elettorali: “Perché lui sintetizza i concetti e poi io li elaboro. Facciamo gioco di squadra. Adesso, per cortesia, fammi finire, Enrico”» [ibid.] • Sui Rai Storia sono appena iniziate le sei puntate di Che magnifica impresa, dove racconta la storia di donne imprenditrici, italiane.
Altro «Ha perso un occhio quando era bambino, colpito per sbaglio in un drammatico incidente domestico. E tuttavia non si è mai pianto addosso un solo secondo perché dice: “Si può avere un occhio solo e vederci molto meglio di chi ne ha due”» [Telese, cit.] • Nel 1993 ha sposato Stefania Ibba, di Cabras come lui, insegnante, sua fidanzata da quando aveva 16 anni. Due figli: Jana Franziska, 21 anni, e Jaime Alessandro,19 anni. «Nomi di antichi dominatori spagnoli. Franziska mi suonava strano, sono andato a informarmi su Wikipedia: è il quarto o quinto nome di Maria Adelaide d’Asburgo, moglie di Vittorio Emanuele II di Savoia a metà del 1800 e come tale regina di Sardegna. “Ho voluto dare ai miei figli la consapevolezza delle loro radici, importantissima nella vita di ciascuno di noi”» [Recanatesi, cit.] • Si definisce liberale senza partito, comunque di centrodestra, ma «sono stato di sinistra da bambino. A diciott’anni chi non aspira a una società più giusta?» [Scalise, cit.] • «Mi sarebbe piaciuto uno Stato federalista» [Piroddi, cit.] • «La decrescita è infelice» [ibid.] • Fuma il toscano • «Colleziona i libri di George Steiner e le bretelle come Winston Churchill, ama i cocktail “ma mai prima delle 18”» [Caruso, cit.] • «I libri sono come le donne, ci sbatti addosso per caso» [video intervista per Mondadori, 2012]. Uno dei primi che lesse da bambino fu L’isola del tesoro di Stevenson • «Mi piace molto la letteratura inglese e americana, che voglio leggere sempre in originale. Adoro Cormac McCarthy e un giallista americano conosciuto poco da noi, Nelson DeMille» [Scalise, cit.] • Ha scritto Tutte le volte che ce l’abbiamo fatta, «un saggio sul carattere degli italiani» [Mondadori, cit.], due saggi su Italo Svevo, uno sulla storia agricola di Surigheddu (Cagliari), e altri • Pensa che i retroscena siano «una delle rovine dei nostri giornali» [Recanatesi, cit.] • Su Eugenio Scalfari: «Incontrandolo alla presentazione del nuovo Espresso gli ho confidato di sentirmi un suo figlio. Mi ha risposto sorridendo: “Però riuscito un po’ male”» [Recanatesi, cit.] • Nel 2003 fece un corso intensivo di inglese. Un’insegnante lo raggiungeva nel suo ufficio al Giornale per un’ora di lezione al giorno: «Capitava così, che – talvolta – i giornalisti, solitamente tardoni, soprattutto di prima mattina, potessero tuttavia irrompere, magari per caso, proprio nel mezzo della sua full immersion linguistica mattutina. Al che Mario, con il suo senso della battuta, fulminò tutti affacciandosi nello stanzone degli inviati: “Vorrei sottoporvi questa mi forbita nota di servizio. Potete trovarmi a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ma MAI rompermi i coglioni quando sto studiando con la mia tutor!”» [Telese, cit.] • «Se era arrabbiato gridava in redazione: “Ricordate che vengo dalla terra dei Giganti” (e si riferiva ai guerrieri del Monte Prama, ritrovati vicino a casa sua nel 1974, che risalgono al XIII secolo avanti Cristo e sono il più antico reperto scultoreo nella storia del mediterraneo). E quando era di buon umore invece diceva: “Ricordate che vengo dalla terra dell’oro!” (e in questo caso invece intendeva il cosiddetto “Oro di Cabras”, cioè la bottarga di muggine, che proprio nel suo paese raggiunge la qualità più sopraffina di tutta la produzione nazionale)» [ibid.] • «Editoriale di prima pagina del direttore di Libero, Mario Sechi: “Sono un cronista, senza il mio taccuino mi sento a disagio” (17 ottobre). Attacco dell’editoriale di prima pagina del direttore di Libero, Mario Sechi: “Che succede? Sul mio taccuino sono annotate quattro parole” (18 ottobre). Attacco dell’editoriale di prima pagina del direttore di Libero, Mario Sechi: “Sul mio taccuino ci sono tre fatti” (27 ottobre). Non farebbe prima a pubblicare il suo taccuino?» [Lorenzetto, 2023].
Titoli di coda «Se mi dai L’Unità sono certo che riuscirei a tirar fuori un bellissimo giornale» [Recanatesi, cit.].