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 2025  febbraio 13 Giovedì calendario

Biografia di Carl Bernstein

Carl Bernstein, nato a Washington D.C., il 14 febbraio 1944 (81 anni). Giornalista. Divenne noto nel 1972 per aver portato alla luce, con Bob Woodward, lo scandalo Watergate che costrinse alle dimissioni il presidente Richard Nixon nel 1974. Lo scoop gli valse il premio Pulitzer. La storia, trasposta sul grande schermo, è stata interpretata da Dustin Hoffman e Robert Redford nel film Tutti gli uomini del presidente, regia di Alan J. Pakula.
Titoli di testa «Mi ero messo in testa che tutti i buoni reportage sono più o meno la stessa cosa: la migliore versione della verità che puoi inventare».
Vita La sua famiglia è ebraica e i genitori, militanti del partito comunista, furono perseguitati durante la caccia alle streghe del senatore McCarthy • Suo padre, Al, un avvocato investigativo nominato dal Senato a Capitol Hill, in seguito leader sindacale a San Francisco, partecipò ad alcune riunioni del partito. Sua madre, Sylvia, ha partecipato alle campagne del partito per conto di Ethel e Julius Rosenberg e per la desegregazione delle piscine. Quando, nel 1947, la carriera di Al deragliò, aprì una lavanderia. Nel 1954, sua moglie fu chiamata a testimoniare davanti al Comitato per le attività antiamericane della Camera. L’Fbi è stata una presenza costante durante l’infanzia e l’adolescenza di Carl • «Sono originario di seconda generazione di Washington, D.C. Mia madre è nata lì e gli effetti della guerra civile coprivano ancora la nostra esistenza [negli anni Sessanta], ma nessuno se lo ricorda. Ci sono pochissime persone in questo Paese che sanno che Washington, la Washington in cui sono cresciuto, era una città di Jim Crow [Le leggi che servirono a mantenere la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici, istituendo uno status definito di “separati ma uguali” per i neri americani, ndc]. Ho frequentato le scuole pubbliche legalmente segregate nella capitale degli Stati Uniti fino al caso Brown contro The Board of Education. Quando ero in prima media, nel 1954, le nostre piscine furono prosciugate dal dipartimento ricreativo per impedire ai bambini bianchi e neri di nuotare insieme» • Nei ristoranti del centro, quando sono cresciuto, i neri non potevano mangiarci. Dovevano stare ai banconi del pranzo [Salon] • «A 16 anni avevo un piede in una classe, un piede in una sala da biliardo e un piede nel tribunale dei minorenni. Mio padre mi aveva procurato un colloquio all’Evening Star, sperando che potessi trovare un lavoro e stare fuori dai guai. Mi hanno portato in una redazione e all’improvviso mi sono ritrovato nel mezzo di questa gloriosa confusione: macchine da scrivere che ticchettavano, gente che urlava, telefoni che squillavano. Un copista si avvicinò con un carico di giornali e me ne diede uno. Era ancora caldo, appena uscito dalla pressa. Mi sono guardato intorno e ho detto: “Voglio diventare un giornalista”. E questo è l’inizio del mio incredibile viaggio. Penso che diventare giornalista mi abbia salvato la vita. La vera emozione che ho provato è ancora lì. Si tratta di incontrare persone, non in ufficio, incontrare e trattare con persone reali, parlare con loro, conoscere le loro vite • Ha iniziato come copista. Era un mago della dattilografia. Batteva 90 parole al minuto. Assunto, guadagnava 29 dollari la settimana • Bernstein si è diplomato alla Montgomery Blair High School a Silver Spring, nel Maryland. In seguito ha studiato all’Università del Maryland senza laurearsi. Aveva tutte F • «Per cinque anni ebbe un apprendistato selvaggio e movimentato. Ha imparato da alcuni dei migliori mentori giornalistici come “mettere sotto pressione i fatti”. Ironicamente, senza una laurea, non è mai stato assunto dallo Star come reporter, ma scrive di aver imparato la lezione che ha definito la sua carriera di giornalista investigativo: “Mi ero messo in testa che tutti i buoni reportage sono più o meno la stessa cosa: la migliore versione della verità che puoi inventare”» • «Ero di gran lunga la persona più giovane in quella redazione. Anche quando lasciai per l’attività di reporter all’età di 21 anni, i copyboys erano ancora tutti più grandi di me» • Che sia un cronista di talento lo sanno al Post, ma è rozzo e incauto; una volta affitta un’auto e la mette in nota spese, la parcheggia in garage, la dimentica, finché il cassiere, furioso, non gliene chiede conto • Coprì la cerimonia di insediamento di Kennedy. «Il giorno dell’assassinio di Kennedy nel 1963, toccò al svelto Bernstein trascrivere la storia dettata al telefono dal giornalista politico David Broder a Dallas, in Texas (prima dei telefoni cellulari o dei computer portatili). Broder iniziò: “Due preti hanno annunciato fuori dal Dallas Parkland Memorial Hospital alle 13:32 di oggi, ora solare centrale, virgola, citazione: Il presidente è morto. Periodo. Fine citazione. Paragrafo”» [Guardian] • Nel 1965 lascia lo Star per diventare reporter al Elizabeth Daily Journal nel New Jersey e nel 1966 va al Washington Post. Si occupa di notizie locali. La sua scrittura è moto apprezzata • «Ogni notizia deve essere confermata da almeno due fonti. Meglio tre» • «Sabato 17 giugno 1972 era una giornata di inizio estate come tante. A Washington DC, capitale degli Stati Uniti d’America, non era accaduto nulla di particolarmente rilevante che valesse la pena raccontare, se non fosse stato per quel pezzetto di nastro adesivo. Frank Willis, guardia giurata che lavorava al Watergate – un lussuoso complesso immobiliare con albergo, residence ed uffici – lo aveva notato nella porta che dal piano terra conduceva al parcheggio sotterraneo, lo aveva staccato con noncuranza e aveva ripreso il suo giro di controllo nel grande hotel. Se Frank non fosse ripassato di lì a poco davanti quella porta, se non avesse trovato un nuovo nastro adesivo che abili mani avevano rimesso per tenerla aperta, se non avesse sospettato un tentativo di furto, forse la storia d’America (e non solo) avrebbe avuto un destino diverso. Era l’1 e 52 del mattino quando la radio di un’auto civetta della polizia, con tre agenti in abiti civili che pattugliavano Georgetown – il quartiere più vivace della capitale statunitense, allora terreno di caccia per squadre anti-droga e per la buoncostume – gracchiò l’allerta «porte aperte al Watergate!». Una rapida inversione ad U, l’ingresso nella lobby dell’hotel, una chiacchierata con Willis e la convinzione, in un primo momento, che si trattasse di uno dei tanti falsi allarmi denunciati nelle notti di Washington. Avevano torto, perché dietro quella “intrusione con effrazione” si nascondeva una strana storia che avrebbe (due anni dopo) costretto alle dimissioni l’uomo più potente del mondo: il presidente Richard Nixon. Per sicurezza i tre agenti iniziarono un lungo giro d’ispezione, cominciando dalla suite al sesto piano del Watergate dove il Partito Democratico aveva stabilito il suo quartier generale. Quando entrarono nella stanza un uomo si alzò di scatto dalla scrivania urlando «non sparate» e gli allibiti poliziotti si trovarono di fronte cinque soggetti in giacca e cravatta, dotati di walkie talkie e strani apparecchi. I cinque “ladri”, subito arrestati, diedero nomi falsi e la mattina dopo il procuratore di turno li portò davanti al giudice con l’accusa di rapina («altamente professionale e con un chiaro intento clandestino, ma senza bottino»). Poche ore dopo il capocronista del Washington Post Barry Sussman, venne buttato giù dal letto dal vice-direttore del quotidiano Howard Simons, svegliato a sua volta dal capo degli avvocati del Partito Democratico (Joseph Califano Jr.) che gli aveva raccontato della «strana effrazione» al Watergate. Sussman (che è morto il primo giugno scorso) andò subito in redazione e affidò a un gruppo di giovani reporter il compito di seguire quel caso così insolito. Il 18 giugno il primo articolo su quello che passerà alla storia come lo scandalo Watergate venne firmato da Alfred E. Lewis, veterano reporter della cronaca nera. Un lungo articolo di prima pagina che iniziava così: “Cinque uomini, uno dei quali ha dichiarato di essere un ex dipendente della Central Intelligence Agency, sono stati arrestati alle 2 e 30 di ieri in quello che le autorità hanno descritto come un elaborato complotto per intercettare gli uffici del Comitato Nazionale Democratico. Tre degli uomini erano nativi di Cuba e un altro avrebbe addestrato esuli cubani per attività di guerriglia dopo l’invasione della Baia dei Porci nel 1961. Sono stati sorpresi sotto la minaccia delle armi da tre agenti in borghese del Dipartimento di polizia metropolitana in un ufficio al sesto piano del lussuoso Watergate”. In fondo c’erano i nomi di otto giovani cronisti che avevano collaborato: i primi due si chiamavano Bob Woodward e Carl Bernstein ed erano stati assunti da pochi mesi. Saranno loro (insieme a Sussman, troppo spesso dimenticato) i protagonisti dell’inchiesta che fece vincere alWashington Post il premio Pulitzer e portò alla caduta del presidente degli Stati Uniti. Per capire il Watergate occorre fare un passo indietro. Il 2 maggio 1972 era morto J. Edgar Hoover – indiscusso boss dell’Fbi e per decenni uno degli uomini più potenti d’America – lasciando un vuoto difficile da colmare. Convinto di diventarne il successore era W. Mark Felt, numero due del Bureau, che tre anni prima aveva incontrato casualmente alla Casa Bianca un tenente della U.S Navy assegnato al Pentagono: era Woodward. Poche ore dopo l’arresto notturno, l’Fbi aveva individuato il nome di E. Howard Hunt, ex agente Cia e autore di romanzi di spionaggio, nelle agende di due dei “ladri”, notizia che venne pubblicata (il 19 giugno) dal Washington Post .Era il primo tassello della ricostruzione che avrebbe permesso di collegare Nixon alla squadra di scassinatori. Bob Woodward lo aveva ottenuto da Felt, con cui era riuscito a creare un legame quasi di amicizia. Puntando sul suo risentimento per la mancata promozione, lo convinse a diventare una fonte segreta: Deep Throat, gola profonda. La prima volta che Carl Bernstein e Bob Woodward scrissero insieme un articolo fu domenica 18 luglio. Da allora divennero inseparabili e pubblicarono sempre in coppia. Il 1° agosto 1972 ilWashington Post rivela che un assegno da 25 mila dollari diretto alla campagna di Nixon era stato liquidato nel conto di uno degli arrestati al Watergate. È ancora poco chiaro cosa abbia spinto i potenti uomini della Casa Bianca a un’operazione di spionaggio di quel genere nei confronti del rivale democratico: Nixon quell’anno venne rieletto con facilità. La leggenda sostiene che il Watergate inizia per una questione di soldi e i “ladri” sembrano essere usciti dalla fantasia di un romanziere. Ma le decine di articoli del Washington Post e il meticoloso lavoro di due (o tre) eccezionali cronisti hanno dimostrato la realtà del complotto contro la democrazia. E dopo 50 anni sono diventati Storia» • «Fu il primo atto del terremoto politico passato alla storia come Scandalo Watergate che due anni dopo, il 9 agosto 1974, avrebbe portato alle dimissioni di Nixon, nel frattempo vincitore di un secondo mandato anche grazie a una fitta trama di sviamenti. Insabbiamenti svelati soprattutto grazie alle instancabili inchieste di due giornalisti del Washington Post che inizialmente non si potevano soffrire: Bob Woodward e Carl Bernstein, le cui gesta sono entrate nell’immaginario collettivo americano (e non solo) grazie al film Tutti gli uomini del presidente, tratto dal loro memoir dall’omonimo titolo. Investigazioni rimpolpate dalle soffiate di “Gola Profonda”, il misterioso insider incontrato segretamente da Woodward in un garage poco distante dall’Hotel Watergate ma dall’altro lato del Potomac (c’è ancora, contrassegnato da una targa, al 1491 di Wilson Boulevard di Rosslyn, ad Arlington, Virginia), dopo avergli segnalato la necessità di vederlo piazzando una bandierina rossa sul balcone del suo appartamento al 1618 di Ninth Street. Quell’uomo era Mark Felt, il superpoliziotto che svelerà la sua identità solo nel 2005. All’epoca numero due dell’Fbi agì per onore e amor di patria, certo. Ma pure perché indispettito dalla scelta di Nixon che alla morte di John Edgar Hoover gli preferì il malleabile Partick Grey come capo dell’agenzia» [Lombardi, venerdì] • «Sono un semplice reporter che cerca di scoprire la verità certo: Carl Bernstein e io abbiamo dato il via a un nuovo tipo di giornalismo che ha provocato un’indagine congressuale, la nomina di un procuratore speciale e le dimissioni di Nixon. Ma spetta agli altri giudicare l’impatto del nostro lavoro» (Bob Woodward) • Nel 1977 Bernstein lascia il Post: «Non volevo più lavorare nei quotidiani ma per settimanali e mensili. Per Rolling Stone ha scritto 25 mila parole sulle relazioni tra la Cia e la stampa. Poi ho lavorato per diverse emittenti [a Peter Hossli, Hossli.com] • Alla fine degli anni Settanta io e Bob avevamo bisogno di intraprendere strade diversi. Per un po’ non ci siamo più sentiti ma oggi siamo più vicini che mai. Ci sentiamo più volte alla settimana» [ibid.] • Oltre a All the President’s Men, tradotto in italiano come Tutti gli uomini del presidente (1974) e The Final Days (1976) scritti con Woodward, Bernstein ha pubblicato due autobiografie Loyalties: A Son’s Memoir (1989) e Chasing History: A Kid in the Newsroom (2022) • Nel 1992 per Time scrive un articolo sui legami tra Papa Giovanni Paolo II e il presidente Reagan. Poi, con marco Politi ha scritto una biografia del pontefice His Holiness • Nel 2007 ha scritto un libro su Hillary Clinton dal titolo A Woman in Charge: The Life of Hillary Rodham Clinton.
Amori Tre mogli. La prima è stata la reporter del Washington Post Carol Honsa. La seconda la scrittrice, sceneggiatrice e regista Nora Ephron (dal 1976 al 1980). Peccato che lui la tradiva con un’amica di lei. Era il 1979 e lei era incinta del secondo figlio. La relazione fra Bernstein e Margaret Jay (moglie dell’ambasciatore inglese negli Stati Uniti) andava avanti da mesi e nonostante la promessa di lui di troncarla continuò per molti mesi ancora fino al momento in cui Nora –arrabbiata, ferita, traumatizzata– e dopo avergli gettato in faccia una torta al limone, lo piantò e chiese il divorzio • «Sull’infedeltà del marito, descritto come “capace di fare sesso con una tenda veneziana”, Nora Ephron ci ha scritto allora un best-seller, da cui è stato tratto anche un film. Il titolo originale è Heartburn – tradotto con l’orribile Affari di cuore – parola che sta a indicare il nostro “bruciore di stomaco”. Nonostante abbia portato Bernstein a chiedere un ordine del tribunale per impedire alla sua ex moglie di scrivere ancora di lui, quando quella storia è arrivata sullo schermo, Ephron, per interpretare non sé stessa ma un ruolo che tutte le donne prima o poi si trovano malauguratamente a interpretare, ha scelto Meryl Streep perché “se tuo marito ti tradisce con la cameriera di un fast food – la parola esatta per dirlo è carhop – lascia che Meryl faccia la tua parte. Ti sentirai molto meglio”. A lui, per dire, sarebbe toccato Jack Nicholson» [theVision] • «Il mio secondo matrimonio è finito esattamente nel modo in cui finisce quello di Affari di cuore, poco dopo aver scoperto che mio marito stava vivendo una relazione con una spilungona. Nel libro, ho leggermente camuffato me stessa rendendomi considerevolmente più calma di quanto non fossi all’epoca, e ho leggermente camuffato il mio ex marito attribuendogli una barba che apparteneva invece a un mio amico. La spilungona con cui lui aveva una storia è rimasta invece la spilungona che era…» • «Furioso per le rivelazioni di Nora, Bernstein minacciò di farle causa, ma il legale gli sconsigliò di farlo, perché era tutto implacabilmente vero. Qualche anno dopo, ricordando scenate violente che si concludevano con il pianto, Nora mise in guardia le amiche: “non fidatevi mai degli uomini che piangono. È vero che possono essere sensibili, ma gli unici sentimenti nei confronti dei quali riescono a esserlo sono i propri”». Con Nora Ephron ha avuto due figli Jacob, reporter del New York Times e Max, musicista • Rimasto single ha avuto relazioni anche con Bianca Jagger, Shirley MacLaine, Martha Stewart e Elizabeth Taylor. Nel 2003 sposa l’ex modella Christine Kuehbeck. Anche lei decisamente più alta di lui.
Titoli di coda «Una cosa è certa. Nixon, Woodward e Bernstein saranno inseparabili anche quando saremo tutti morti» (Carl Berstein).