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 2025  febbraio 19 Mercoledì calendario

Biografia di Riccardo Chailly

Riccardo Chailly, nato a Milano il 20 febbraio 1953 (72 anni). Direttore d’orchestra • Dal 2015 è direttore musicale della Scala di Milano (il contratto scade nel 2026, ma il nuovo soprintendente Ortombrina, due giorni fa, ha detto: «Chailly ha impegni a Milano almeno per un paio d’anni. Non c’è fretta») • È anche direttore musicale dell’Orchestra del Festival di Lucerna • L’anno scorso ha festeggiato i 50 anni di carriera.
Titoli di testa «Da ragazzo facevo spesso un sogno: l’orchestra era pronta, stava già accordandosi e io ero senza frac, disarmato. Mi svegliavo di soprassalto. Non ho mai trovato la spiegazione di questo tormento notturno» • Nel 2005 il Corriere lo inserì nella lista dei direttori d’orchestra che, quando dirigono, indossano il frac (non è scontato).
Famiglia Discendente dagli Chailly di Nancy, «che per onorato servizio a Napoleone Bonaparte ricevettero terre e titoli. Poi l’incontro con una dama ferrarese virò verso l’Italia l’ultimo ramo dell’albero gallico» [Franini, Giornale] • Figlio di Luciano, compositore e direttore artistico di numerosi enti lirici, compresa la Scala • «Avevo pochi mesi. Di notte lo ascoltavo suonare. Componeva al pianoforte. Le melodie, benché il suo fosse un linguaggio contemporaneo non facile, attraversavano le pareti fino alla mia stanza» [Bauzano, Cds] • «A volte mi rivedo ragazzo accompagnare mio padre Luciano, che era compositore, alla sede della Ricordi in via Berchet. Lui aveva sotto braccio l’ingombrante manoscritto della sua musica, note che amava comporre con la penna stilografica su fogli enormi» • Da bambino ascoltava «dischi, prendevo anche lezioni di pianoforte, ma nel futuro che sognavo per me, alla musica non assegnavo alcun ruolo. Finché un giorno, quando avevo circa undici anni, tutto cambiò. Una mattina mio padre mi porto con sé all’Auditorium del Foro italico, dove l’Orchestra della Rai di Roma stava provando un concerto. Mi fece sedere su una poltrona nell’ultima fila, mi guardò negli occhi con severità e mi disse: “Io ora vado. Tu resta qui e cerca di comportarti bene, perché se fai qualcosa per cui qualcuno si lamenterà, poi faremo i conti”. […] I musicisti, intanto, in un sovrapporsi di suoni stavano dando gli ultimi tocchi all’accordatura dei loro strumenti, sfogliando rapidamente la musica appoggiata ai leggii. Restai qualche minuto a osservarli, finché, all’unisono, i loro sguardi si fissarono tutti sul direttore, un allora giovanissimo Zubin Mehta, e nella sala calò un silenzio concentrato e pieno di attesa. […] A un suo cenno improvviso, lo spazio si riempì come d’incanto di un suono potente, un’onda che mi sommerse. Fu un impeto dolcissimo, mi abbandonai a quella musica senza resisterle, con il corpo e con l’anima, galleggiando, perdendomi in un’estasi piena e febbrile. Non sapevo che cosa stessi ascoltando (solo alla fine scoprii che si trattava della Prima di Mahler) ma forse non me lo chiesi neanche, mi interessava soltanto lasciarmi trascinare da quella corrente di note, godere con tutto me stesso di quell’esperienza. A un tratto, un inatteso colpo di piatti mi strattonò, facendomi sussultare sulla poltrona. Fu una scossa violenta, ma subito la forza tellurica e seduttiva del suono mi riassorbì, rassicurante. Tutto finì all’improvviso: dopo l’attacco drammatico del finale, il direttore concluse la prova annunciando una pausa. Provai uno strappo bruciante, una lacerazione. Perché essere restituito alla realtà in quel modo? Quando mio padre tornò, più di due ore dopo, ero ancora nell’identica posizione in cui mi aveva lasciato, ma dentro di me, in quelle due ore, era accaduto qualcosa di straordinario e definitivo, che aveva aperto uno squarcio sul mio destino. Avevo inconsapevolmente preso la mia decisione: quel materiale tanto incandescente sarebbe diventato parte della mia vita. Quando parlai con mio padre […] mi gelò. Mi spiegò che nella sua lunga carriera aveva conosciuto molta gente che aveva investito tutto nella musica per poi ritrovarsi con niente […]. Non mi assecondò, e finite le medie decise di iscrivermi a un liceo che era quanto di più lontano ci fosse dai miei interessi. Non mi ribellai, ma neppure mi arresi. Entravo in classe tutte le mattine, sedevo al mio banco e ascoltavo distrattamente i professori parlare di cose che non intendevo imparare. Una volta a casa, poi, non aprivo un libro. Fu una sorta di resistenza passiva, un boicottaggio consapevole e ostinato che si risolse in un paio di pagelle catastrofiche e in una bocciatura sfiorata. Di fronte a un insuccesso tanto smaccato, mio padre decise di mutare strategia e mi sfidò apertamente. Volevo diventare un musicista? Molto bene. […] Mio padre mi impartì per tutta l’estate estenuanti lezioni di composizione.[…] Tenni duro, contando i giorni, e quando a settembre superai con ottimi voti gli esami di ammissione al Conservatorio di Milano, mio padre […] si ammorbidì, ma prima di persuadersi fino in fondo volle sottopormi a un’altra prova. Contattò il celebre maestro Franco Ferrara […] così, qualche giorno più tardi, mi ritrovai seduto a tavola insieme a quell’uomo autorevole, che mi scrutava con quel suo sguardo serissimo paralizzandomi di soggezione. […] Andai con Ferrara nella mia stanza, lui si sedette e mi chiese: “C’è un pezzo che credi di conoscere bene?”. Ci pensai un istante, gli risposi di sì e andai a prendere i dischi del Coriolano e dell’Egmont di Beethoven eseguiti dall’Orchestra della Nbc diretta da Toscanini. “Che devo fare?” domandai esitante, e lui, di rimando: “Dirigi come se avessi davanti un’orchestra”. […] quando fummo tornati con gli altri, si avvicinò a mio padre e gli comunicò la sentenza: “In questo ragazzo vedo del talento” disse. “Ti consiglio di farlo studiare”» [dal libro a cura di Enrico Girardi Il segreto è nelle pause. Conversazione sulla musica, 2015] • Studia al Conservatorio di Milano, Roma e Perugia, e all’Accademia Chigiana di Siena • Ma anche: d’estate in Trentino «con un gruppo di amici suonavamo il repertorio legato alla musica leggera. Nessuno di loro era un musicista professionista. Passavo dalla chitarra alla tastiera elettrica e alla batteria» [Bauzano, Cds]. Amava i Beatles e il blues americano. «Yesterday è forse la canzone più bella degli ultimi 50 anni. Al punto che ogni volta che dirigo la Terza di Mahler, nel movimento lento trovo delle assonanze» [Manin, Cds].
Carriera Da giovane portava i capelli rossi piuttosto lunghi e, nel dirigere, la mano sinistra si muoveva con meno fluidità rispetto alla destra • Nel 1973 arriva alla Scala come assistente di Claudio Abbado. «Lei 20 anni, lui 40. Com’era il vostro rapporto? “In quegli anni ero studente in Conservatorio, ricordo ancora la sorpresa della sua chiamata. Con grande spontaneità mi disse di aver pensato a me come assistente per i concerti sinfonici. Da lì è nato tutto, anche un rapporto più ravvicinato nelle nostre relazioni quotidiane. Di quegli anni, ricordo quanto Claudio sia stato per me artista di riferimento, dal punto di vista interpretativo e anche come identità di un percorso all’interno del grande repertorio sinfonico e lirico. Ne è nata una spontanea amicizia. C’era la sua grande passione nel far musica e la sua disponibilità al dialogo, c’era un rapporto aperto in cui ciascuno esprimeva il proprio pensiero”» • Esordisce nel 1974 a Chicago con Madama Butterfly di Puccini • Nel 1978 debutta alla Scala con I Masnadieri di Verdi: «Avevo 25 anni. Abbado mi telefonò a Palermo, dove avrei dovuto aprire la stagione con L’angelo di fuoco di Prokof’ev. Gavazzeni era malato, mi chiese di sostituirlo. Difficile dire di no a Claudio, arrivai alla Scala con il cuore in gola ma anche con la certezza di ritrovarmi davanti un’orchestra amica» [Manin, cit.] • Diventa direttore dell’orchestra della Radio di Berlino (1982-88) e del Concertgebouw di Amsterdam (1988-2004). È stato anche direttore ospite principale della London Philarmonic Orchestra (1982-85), direttore musicale dell’Orchestra sinfonica Verdi di Milano (1999-2005) • Nel 2005 diventa Kapellmeister della Gewandhaus di Lipsia, l’orchestra professionale più grande al mondo (185 musicisti) e più antica d’Europa (oltre 250 anni). «Ho scelto Lipsia per un’intuizione che ebbe Karajan, il quale, per primo, nell’86, mi invitò a Lipsia e mi esortò a “sentire” le atmosfere magiche della città e della sua musica. In uno di quei suoi geniali momenti, mi disse: “Ti invito a dirigere il Don Giovanni di Strauss, il Primo Concerto di Liszt e la Quarta di Schumann”. Con l’incoscienza che soltanto a quell’età si può avere, risposi: “Che bel programma, maestro” e accettai con entusiasmo» [Caruso, Sta]. Con la Gewandhaus ha ripristinato i metronomi originali indicati da Beethoven, più rapidi di quelli delle esecuzioni tradizionali.
Scala Dal 2015 è direttore musicale del Teatro alla Scala di Milano • La prima direzione è della Giovanna d’Arco di Verdi. La regia è del duo Patrice Caurier e Moshe Leiser, ma non ne condivide l’impostazione. «“Ad esempio i registi volevano far sdraiare sul letto il tenore col sedere in alto bello esposto” continua l’orchestrale. “Abbiamo riso sotto i baffi quando Chailly ha detto: ‘No, per favore, il lato b in mostra per tutta la scena no’” […] il Maestro non ha gradito alcune trovate un po’ kitsch. “Come nel caso della scena dei diavoli che tentano Giovanna. Inizialmente i mimi dovevano assumere pose un po’ troppo spinte, erotiche. Chailly non era d’accordo e li ha costretti a cambiare. Una volta l’ha pure detto chiaro: ‘Si è capito che questi registi non mi piacciono…’”» [Zonca, Rep]. Il disaccordo raggiunge l’acme alla prima: «A sipario ormai chiuso, mentre il direttore d’orchestra si preparava a parlare ai microfoni di Rai Radio 3, il regista belga Leiser gli ha urlato: “Congratulations Maestro, really congratulations”. Pausa di qualche secondo. “Asshole”. Poi, non contento, in italiano: “Stronzo di merda”. Chailly, impietrito, non ha reagito» [Dago] Il 10 gennaio 2019 accettò di ammettere il giornalista Alberto Mattioli tra gli orchestrali della Scala che suonavano per l’ultima esecuzione dell’Attila di Verdi: «Chailly, che giù dal podio è di un aplomb britannico, quando è sopra sorride, ammicca, strizza perfino l’occhio. Il gesto, ma quello lo vediamo anche dalla platea, è chiarissimo: avessi uno strumento in mano, saprei quando attaccare» [Mattioli, Sta] • A causa della pandemia, nel 2020 dirige la prima della Scala senza pubblico, per la tv, e con un programma inedito: tre ore di scene operistiche varie, con il titolo A riveder le stelle. «Sarà meno stressante senza pubblico? “Non credo”» [Panza, Cds] • L’11 maggio 2021 volano «scintille tra Riccardo Muti e Riccardo Chailly alla Scala dopo il concerto dei Wiener Philharmoniker di martedì sera, il primo con il pubblico dopo duecento giorni di restrizioni anti Covid. A raccontare quanto è accaduto sono testimoni che erano vicini ai camerini. La miccia si è accesa quando, al termine del concerto, l’attuale direttore musicale della Scala, Riccardo Chailly, ha deciso di salutare Muti, suo predecessore dal 1985 al 2005. All’arrivo di Chailly, che per l’occasione gli aveva ceduto il camerino, Muti prima gli avrebbe chiesto in modo brusco chi fosse e cosa ci facesse lì e poi, quando Chailly si è tolto la mascherina per farsi riconoscere spiegando che era andato a complimentarsi per il concerto, lo ha invitato a levarsi di torno, con espressioni colorite. “Avevo detto che non volevo vedere nessuno, solo persone a me gradite. Cosa ci fa lui qui?”, avrebbe esclamato Muti davanti a un Chailly impietrito. Sempre secondo la ricostruzione dei testimoni, Muti avrebbe detto, riferito a Chailly: “Quello non porterà mai i Wiener alla Scala come ho fatto io per sei volte. Non capisco perché la Scala non lo ha ancora mandato via”. Il sovrintendente Dominique Meyer, visibilmente teso dopo il concerto, ha provato a derubricare l’episodio a “una ragazzata”. O, come trapela dal teatro, un “gelido saluto”» [Anteprima] • Nel giugno 2022, nel bel mezzo del coro Patria oppressa dal Macbeth di Verdi, squilla un cellulare. Chailly interrompe il concerto: «Risponda pure, noi riprendiamo dopo». «Il mio non è stato un gesto di stizza. Ho sospeso l’esecuzione per scrupolo, si era messo a rischio un suono ottimale. Fondamentale per la registrazione in corso» [Bauzano, cit.] • Quando nel 2023 sembra che Fuortes, ex ad della Rai, potrebbe diventare il nuovo soprintendente, Chailly minaccia le dimissioni • Nel 2024 ha diretto la prima de La forza del destino di Verdi, sedicesima direzione verdiana della sua carriera • Per la prima del 2025 dirigerà Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Shostakovich • «Il 7 dicembre [giorno della prima alla Scala, ndc] è un giorno speciale. Lei come lo vive? Riti propiziatori? “Nessuno. È una giornata normale che si passa in casa, con la famiglia, nella quiete e nella concentrazione. Poi andrò in teatro presto, almeno un’ora prima, per dire in bocca al lupo a tutti”» [Mattioli, Sta] • Dice che quando finisce la prima «sono molto spesso scontento, raramente contento […] è un tarlo che rimane dentro» [Rai, 2024].
Lavoro «La parte più bella del mio lavoro è quella di essere responsabile di uno strumento umano che è l’orchestra. Adoro la ricerca e lo studio sulle fonti o di nuove versioni da proporre. La fascinazione di essere direttore è quella di essere prima di tutto un ricercatore. Dirigere è la conseguenza dello studio e della ricerca» [Failoni, Cds] • «“Se non si ha il totale controllo dei nervi, meglio non salire sul podio […]”. La figura del direttore d’orchestra spesso è vista un po’ come quella di un dittatore. “[…]Dittatore? Forse un po’, ma democratico”» [Bauzano, cit.] • «Un direttore d’orchestra, quando prepara un’opera lirica o grandi oratori, ha un’attività gestuale che va dalle 6 alle 12 ore al giorno. Per La passione secondo Matteo di Bach, ad esempio, io sto sul podio per quasi 12 ore continuative. Alla fine c’è una spossatezza fisica totale: non è legata particolarmente alle braccia, anche se il direttore d’orchestra vive con le braccia sospese, c’è pure il fatto di stare in piedi tanto a lungo». Quando decise di dirigere la Passione secondo Matteo, la moglie disse che «vi si dedicò con una tale dedizione che manco si faceva più la barba» [Franini, cit.] • «Ci sono corsi di direzione, ma la trasmissione di energia e la capacità di irradiare un’orchestra con la propria carica interpretativa è una cosa che hai dentro» • «Ci sono maestri che non conoscono l’esternazione del piacere, che sono funebri sempre come se gli fosse morta l’intera famiglia. Non così Bernstein e Zubin Mehta. Io mi identifico un po’ con questo tipo di reattività espressiva» • «La forza della musica a livello interiore si può esternare con il minimo del movimento esteriore, a volte più con lo sguardo che con il corpo» [Che tempo che fa, 2010].
Amori Si sposa una prima volta con la violinista argentina Anahi Carfi nel 1973, matrimonio dal quale nasce Luana (1974) • Nel 1982 sposa Gabriella Terragni, pittrice, detta Ga, divorziata e con un figlio, Alessandro. Si conobbero a casa di amici nel 1978. Dice lei: «“Iniziammo a vivere insieme nel 1980 convinti che non sarebbe durata. Era stata una gran cotta, tale da non sembrare reale […] appena ottenuto il divorzio, mi chiese di sposarlo […] gli risposi: Perché sposarci?. Lui ci rimase così male che ancora oggi me lo rinfaccia. Comunque assentii il giorno stesso”. In coppia ci si compensa. Lei in cosa sente di compensare Riccardo Chailly? “Aggiungo una s. Lui mi scompensa. E quando glielo dico, anzi urlo, mi risponde con calma yoga: Gabriella, non bestemmiare”. In che senso scompensa? “Riccardo si occupa di musica, io di tutto il resto. Col tempo ho acquisito gli strumenti per seguire la gestione di tutto, ma non mi piacciono queste incombenze, faccio però di necessità virtù. Lui non ha rapporti con la praticità e con il denaro. Firma le carte di credito senza leggere, per fortuna si tratta soltanto di ristoranti e di libri”. È lei l’anima pratica della coppia. “Non ho scelta. Riccardo si trova bene così”. Pur con qualche senso di colpa? “Ma neanche tanto grave”» [Franini, cit.] • Lui di lei: «È sempre stata lei la mia ancora al reale, è lei che mi richiama alla vita quando la musica mi tiene troppo a lungo in ostaggio» • Lei di lui: «Riccardo è proprio una brava persona, lo dico sinceramente» • I suoi nipoti studiano violoncello, e gli fanno ascoltare musica rap • Ha una sorella, Cecilia, che a 19 anni esordì alla Scala come prima arpa, e nel 2005 accompagnò Ron a Sanremo.
Salute Nel 2002 morì suo padre. «Si è spento la Vigilia di Natale. Ero ad Amsterdam e non al suo fianco. Il giorno dopo dovevo dirigere in diretta il Concerto di Natale del Concertgebouw. L’ho affrontato. Poi mi sono chiuso in me stesso. A riflettere su vita, dolore, vuoto, perdita. La musica mi ha fatto reagire» [Bauzano, cit.] • Nel 2008 è stato ricoverato d’urgenza per un problema al cuore. «Da allora sono cambiato» [ibid.] • Nel 2014 si è fratturato il gomito destro durante una passeggiata in montagna • Nell’agosto 2023 saltò il concerto inaugurale del Festival di Lucerna perché un malore improvviso lo costrinse ad un’operazione chirurgica • «Se si parla di problemi di salute ho grande timore» [ibid.].
Curiosità Vive a Paderno Dugnano, a 17 chilometri da Milano, che «è una città che assorbe molto, se la si frequenta troppo si rischia la saturazione». Casa sua «è una residenza razionale, alla Portaluppi, eppure calda. Preziosa nei dettagli: sobriamente chic. Arredi design, pareti affrescate, un trionfo di libri, di dischi, di pianoforti. E di quadri d’arte contemporanea» [Franini, cit.] • Per riposare, va in Liguria (ha una casa sul golfo del Tigullio) o sulle montagne svizzere (ha uno chalet in Engadina, a 1800 metri di altitudine) • Si definisce «un credente in ricerca» • Ama guidare, specialmente dopo aver diretto • Sportivo, soprattutto da giovane. Motocross Enduro («più tardi poi sono passato a moto di grossa cilindrata, quelle che toccano anche i 240 chilometri orari senza quasi tu te ne accorga»), cavallo, sci, bici a 12 cambi regalatagli dai figli, paracadute ascensionale trainato da un motoscafo: «Superavo i 50 metri di altezza. Sotto, il mare della Costa Azzurra. Sa cosa mi esaltava? Il vento nelle orecchie, immerso nel silenzio. Parentesi chiusa, però» [Bauzano, cit.] • Dice la moglie: più è impegnativa la serata di direzione che lo aspetta, più riesce a dormire • Pubblica dischi con l’etichetta Decca. «Con Bollani e la Rapsodia in blu avete venduto come se foste usciti da X Factor. “Mi dicono che siamo prossimi al disco di platino, sa, mi sembrano quelle cose un po’ da anniversari di nozze... Dire che non me l’aspettavo è usare un eufemismo. Ma non si sa mai dove si va a parare. Quando registrammo, ad Amsterdam, le Jazz Suite di Shostakovich, i professori d’orchestra la presero un po’ come uno scherzo, un gioco. È finita che quella musica l’ha usata anche Kubrick” [nei titoli di testa di Eyes Wide Shut, ndc]» [Santolini, 2011, Sta] • Gli piacciono il cinema (Humphrey Bogart, Totò, il film Collateral Beauty), la buona cucina (su tutto, il vino rosso), il calcio (il Milan, da sempre) [Cds] • È sempre puntuale: «Considero tra i valori più importanti della vera amicizia il rispetto reciproco e la puntualità ne è uno dei simboli. La sua mancanza è come la negazione di un rapporto» • «Se non sono concentrato su una partitura sono diventato bravissimo a godere del far nulla» [Bauzano, cit.].
Titoli di coda «La rabbia, la furia, la fiamma, il fuoco che mi prende alla gola: se non avessi questo tipo di sensazione, facendo la professione che faccio, sarebbe ora di fare altro» [Rai, 2024].