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 2025  marzo 02 Domenica calendario

Il vero patriota che anticipò la Croce Rossa

Wanda Marasco ha dedicato a Ferdinando Palasciano, medico ottocentesco ispiratore della Croce Rossa, una biografia documentatissima in forma di poema romanzesco: Di spalle a questo mondo (Neri Pozza, il libro è stato presentato alla prossima edizione del Premio Strega). 
Si comincia dalla fine: il medico è internato in manicomio, «sopraffatto dalle visioni», assediato da una dolente comunità di vivi e di morti.Nato a Capua, esperto chirurgo e fervente patriota, filantropo e negromante, scienziato attratto dall’esoterismo, Palasciano era probabilmente uno dei 36 Giusti di cui parla il Talmud babilonese: non sanno di essere tali ma ad ogni generazione salvano il mondo. La sua utopia consiste nell’affermare il diritto alla cura di tutti. Nella repressione borbonica della rivolta di Messina, lui – medico della parte dei Borbone – volle assistere i feriti del campo nemico, in ciò preannunciando la Croce Rossa, perciò condannato a morte per tradimento (e poi graziato).
L’idea che in guerra nessun ferito va considerato un nemico nasce da una ispirazione cristiana ma si rafforza con quella tradizione egualitaria, laico- illuministica, che proprio a Napoli fu tragicamente sconfitta nel 1799. La vita del medico capuano, benché straordinariamente operosa (e costantemente screditata dal conformismo della società), si svolge negli ultimi anni come un dormiveglia abitato da spettri.
La densa scrittura di Wanda Marasco sembra adattarsi a quel dormiveglia visionario. Procede infatti in modo irregolare, per improvvisi lampeggiamenti che irrompono in una sintassi educatissima, per invenzioni metaforiche che ne impreziosiscono la pagina, svelandola: i «capelli franosi», i «richiami sfiatati», il «bianco allagato» del collo, le «nuvole pietrificate dentro le mura bianche», la «luce glauca alla finestra», il «mare blu temporale», «il “tritume” della mente».
La moglie Olga, nobildonna russa, ammaliante Partenope originaria di San Pietroburgo – che d’inverno è «un paese di vetro» – una specie di Lou Salomè, figura magnetica di cui tutti si innamorano, partecipa di quell’invasamento dello spirito. Quando lui la stringeper la prima volta a sé nell’amplesso, «in una marea di tepori e tremiti», e abbraccia quella «carne infinitizzata» sembra di essere finiti nel Piacere dannunziano, e così la Torre che lui fa edificare a Capodimonte ci appare come un piccolo Vittoriale di perversioni ed estasi creative, frequentato da artisti e custodito da una coppia di popolani ( controcanto dialettale alla vicenda).
L’autrice, ipnotizzata dai fantasmi della Torre, rinuncia a qualsiasi distanza da quel kitsch da scapigliatura dark, dove tutto sembra troppo abissale. Tuttavia il romanzo si schiude alla varietà dell’esistenza: da un lato il buio insondabile della interiorità, e dall’altro gli esterni luminosi dei viaggi per l’Italia in carrozza, come di quella domenica «tiepida e sconfinata» dove «le cose avevano un’aria molle e festosa».
Olga soffriva di una zoppia, lui la opera subito. All’inizio sembra guarita, ma dopo un po’ la zoppia ritorna, a indicare una imperfezione e infermità originaria degli esseri umani. La medicina non cura la “ferita” che presiede alla vita dell’universo: tutti abitiamo una «convalescenza eterna», fatta di «paure e sognerie». La terapia è un viaggio orfico del medico, urgente ma destinato al fallimento, come la rivolta tentata da Pisacane. Però ci soccorre Leopardi, che irrompe nel romanzo perché Palasciano diventa senatore liberale del Regno d’Italia accanto ad Antonio Ranieri.
La Torre in verità fu costruita dopo la sua morte ma vi aleggia lo spirito umanistico della Ginestra:al dolore del mondo, a quella malattia inesorabilmente mortale che è la nostra esistenza, si può replicare solo attraverso la solidarietà della «social catena». Oltre che con la vocazione negromantica della letteratura stessa.