La Lettura, 2 marzo 2025
«L’avventuriero» di una vera avventuriera
«Tutte le donne insieme dovrebbero cospargere di fiori la tomba di Aphra Behn (...) perché fu lei a guadagnare loro il diritto di dire quello che pensano». Così Virginia Woolf, in Una stanza tutta per sé, rendeva omaggio alla prima scrittrice professionista del mondo anglosassone. Autrice di narrativa, poetessa, drammaturga, e prima ancora viaggiatrice e spia per Carlo II d’Inghilterra, Aphra Behn ha dominato la letteratura e la scena teatrale della Restaurazione degli anni Settanta del Seicento, rivendicando il diritto di scrivere per professione, e di farlo con la stessa libertà di temi e forme concessa agli uomini.
Molti colleghi le hanno dato battaglia accusandola di immoralità e provando a etichettarne l’attività letteraria come genere minore. «Più per invidia che per amor di morale, dato il clamoroso successo che avevano le opere di Behn», spiega Janet Todd, studiosa di fama internazionale per le ricerche su Behn (sua la biografia più recente e la cura delle opere complete), su Jane Austen e Mary Wollstonecraft. «Come farà poi Jane Austen – dice Todd a “la Lettura” – la nostra autrice non solo non si dà mai per vinta, ma ribadisce spesso che proprio la mancanza di un’istruzione formale (cioè di tradizione maschile) le permette di scrivere in un modo nuovo. “Ho studiato solo per rendere l’opera il più divertente possibile”, dichiara in una postilla al suo dramma The Dutch Lover, osservando che spesso gli uomini eruditi fallivano in questa prima regola della scrittura».
Ai margini del canone per circa due secoli, questa figura misteriosa e affascinante è tornata alla ribalta solo dagli anni Venti del secolo scorso, grazie alla biografia di Vita Sackville-West, all’elogio tributatole da Woolf e alla critica femminista degli anni Settanta. In Italia non se ne sa molto al di fuori degli ambienti accademici ed è perciò assai meritorio il progetto di riscoperta che le dedica Fondazione Teatro Due di Parma attraverso un focus che comprende la messinscena in prima nazionale dal 12 al 30 marzo della sua pièce più famosa, L’avventuriero, con la regia di Giacomo Giuntini (in un nuova traduzione di Luca Scarlini appositamente commissionata), la lettura dal vivo di altre due opere, e un convegno internazionale organizzato con l’Università di Parma, cui prenderà parte anche Janet Todd.
L’alterna fortuna di Astrea, nome in codice da spia, poi adottato come nome d’arte, è legata soprattutto alla storia politica inglese. «Aphra Behn è vissuta durante la Restaurazione, quando una corte libertina consentiva che commedie audaci e amorali divertissero il pubblico portando in scena uomini e donne spiritosi che trionfavano sugli sciocchi e sui virtuosi ottusi. Era una società che giocava con specchi e immagini distorte, in cui inganno e finzione potevano diventare forme d’arte», prosegue la studiosa.
Nelle sue opere – che spaziano dal teatro alla narrativa con lo stesso sperimentalismo linguistico – Behn gioca su maschere, travestimenti, indeterminatezza dei generi, seduzione, insidie e piaceri del sesso. Sull’arguzia che ha la meglio sul moralismo bigotto. Sull’intelligenza che libera le donne, al contrario dell’illusione (soprattutto sentimentale) che le tiene prigioniere. Temi che tornano anche nell’Avventuriero, commedia ambientata nella Napoli di metà del XVII secolo, che ruota attorno a storie di duelli, burle, desideri e inganni amorosi. «Con la sua scrittura, che può sorprendere perfino la nostra sensibilità contemporanea per l’approccio ironico a questioni come bisessualità, stupro, matrimonio e maternità, l’autrice ottiene in vita la fama che desidera. Ma il periodo della Restaurazione volge infine al termine. La corte non rappresenta l’intera società e una cultura più puritana comincia a dominare l’Inghilterra. Con il declino di quel particolare momento culturale, la reputazione di Behn crolla».
È facile farsi l’idea di un profilo tutto sommato lineare di eroina proto-femminista. Ma Behn, avverte Todd «non è un soggetto semplice per una biografia. Le sue attività segrete come agente e spia, e la sua vasta produzione letteraria, la rendono una combinazione letale di mistero, segretezza e teatralità, difficile da inquadrare in una narrazione biografica. Non è tanto una donna da smascherare, quanto un continuo intreccio di maschere e intrighi, e la sua opera offre immagini diverse e talvolta contraddittorie. Molto di ciò che riguarda la sua carriera di drammaturga è certo, ma vi è una relativa scarsità di fatti sulla sua vita privata. Le sue posizioni politiche, se traslate nel nostro secolo, possono risultare poco affascinanti. Era una monarchica convinta, una Tory. Come Shakespeare, era consapevole della pericolosa instabilità di un governo debole e contestato. Ritornò più volte su questo tema nei suoi testi, esplorando fascino e fragilità dell’autorità, personale e politica. Quello che a gradi variabili di chiarezza continuo a intravedere, dopo tanti anni di studio, è un essere umano “reale”, un’autrice proteiforme di opere altrettanto mutevoli: una donna indipendente, che lavorò instancabilmente, soffrì spesso di problemi di salute e fu quasi sempre a corto di denaro». Una scrittrice, insomma, di quelle che non si smette mai di scoprire.