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 2025  marzo 02 Domenica calendario

Caravaggio. Le luci tenebrose di 24 capolavori

Nella mostra Caravaggio 2025 che aprirà il 7 marzo nei saloni di Palazzo Barberini-Gallerie nazionali di Arte antica, a Roma, c’è spazio anche per uno dei gialli irrisolti della storia dell’arte, grazie alla presenza di un raro dipinto del genio lombardo, tra quelli di autografia certa, ancora in collezione privata.
L’opera non era nella lista annunciata alla prima conferenza di presentazione della retrospettiva, gennaio scorso. Ma ci sarà. Si tratta della Conversione di Saulo (Paolo, da santo). Il quadro – un olio su tavola di cipresso di quasi due metri e mezzo di altezza – si trova dal 1955 nella collezione Odescalchi, dove è arrivato per vie ereditarie, conservato nel palazzo romano di piazza Santi Apostoli. Ed è tra quelli che negli ultimi decenni si sono visti pochissimo (alle Scuderie del Quirinale nel 2010 e a Palazzo Marino, Milano, nel 2008, quando da solo Saulo attirò 163 mila visitatori in un mese).
Ispirato alla narrazione biblica, il dipinto raffigura il momento in cui il persecutore di cristiani non ancora santo si convertì sulla via di Damasco, avvolto improvvisamente da una fortissima luce. Caravaggio ne dipinse due versioni: questa, la prima, databile al 1600-1601, gli fu commissionata con tanto di contratto (documento esistente) dal ricco monsignore Tiberio Cerasi, tesoriere generale della Camera apostolica. Era destinata, in coppia con una versione iniziale di una Crocifissione di San Pietro oggi perduta, alla Cappella di famiglia nella chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma, dove però i quadri non arriveranno mai.
I due celebri dipinti che si ammirano oggi nella Cappella Cerasi (su tela) sono infatti una seconda versione, più tarda, dei quadri che Cerasi aveva invece espressamente ordinato su legno, materiale di maggior pregio. Cosa accadde quattro secoli fa? È credibile quanto ebbe a scrivere il maligno Giovanni Baglione – pittore arcinemico di Merisi – ovvero che i (primi due) quadri «non piacquero al padrone, se li prese il cardinale Sannesio e lo stesso Caravaggio vi fece questi che hora si vedono»?
Sul gran rifiuto e sulle possibili cause si è discusso all’infinito, senza mai venirne davvero a capo: libri, articoli scientifici, ipotesi... Caravaggio era in quel momento l’artista di maggior grido. C’è chi ha ipotizzato sia stato lui a volersi tenere le opere. Si è anche pensato a dispute legate alla (poca) sacralità dei primi dipinti. Nel caso dei due Saulo, unici lavori oggi confrontabili, effettivamente tra la prima e la seconda versione – un quadro più mistico con due sole figure, cavallo e santo, che verrà collocato nella chiesa solo nel 1605, morto nel frattempo il monsignore – c’è un abisso. Fatto sta che le due tavole originarie furono comprate dal cardinale Giacomo Sannesio. Anni dopo finirono nelle mani del viceré di Napoli, Juan Alfonso Enríquez de Cabrera, che le porterà a Madrid. Da qui si perdono le tracce della prima Crocifissione. Mentre il Saulo nel suo lungo peregrinare verrà prima acquistato dal genovese Agostino Airolo per poi passare alla famiglia Balbi e da questa, tramite un matrimonio, agli Odescalchi.
A Palazzo Barberini si vedranno, in tutto, 23 opere di Caravaggio o a lui attribuite. Forse 24, se dalla Pinacoteca Capitolina arriverà in prestito – altra novità non annunciata e con trattativa al fotofinish – la Buona ventura, celebre opera giovanile di Merisi appartenuta al suo primo e appassionatissimo mecenate, il raffinato e mondano cardinale Francesco Maria del Monte, che a lungo ospitò l’inquieto artista nel suo palazzo detto «Madama» (dove oggi è il Senato). Alla fondamentale committenza Del Monte rimandano anche altri capolavori esposti: dal Metropolitan di New York – anche questo un inedito rispetto alla lista comunicata a gennaio – arriverà I musici, uno dei dipinti più conturbanti della produzione di Caravaggio e dell’intera storia dell’arte. Di soggetto amoroso (altrimenti non si spiegherebbe la presenza del giovinetto nudo a sinistra, un Eros con ali e faretra), l’opera è animata da quattro sensualissime ed efebiche figure maschili in cui c’è chi ha riconosciuto (anche) un autoritratto dell’autore (a destra) e chi – lo storico dell’arte Christoph Luitpold Frommel – vi ha rintracciato i connotati dell’allora sedicenne Mario Minniti, amico intimo e «coinquilino» di Caravaggio.
Sempre a Del Monte appartenne la tela I bari, tra i prestiti internazionali della mostra, in arrivo dal Kimbell Art Museum di Fort Worth, Texas. Un capolavoro che fa da pendant, per soggetto e dimensioni, alla Buona ventura e che rappresenta uno dei tanti «ritorni a casa» di questa esposizione. Il quadro infatti è uno di quelli appartenuti anche ad Antonio Barberini, i cui discendenti lo venderanno alla fine del XIX secolo. Stessa e malaugurata sorte toccata in tempi più recenti a un altro Caravaggio di casa Barberini, Santa Caterina, comprata dal barone Thyssen-Bornemisza e oggi a Madrid. Il dipinto, che si rivedrà nelle stesse stanze dove restò a lungo, è uno dei capolavori fuoriusciti dall’Italia nel 1934 con l’incredibile sottostima di 30 mila lire; svincolato, insieme ad altri, per decisione del governo Mussolini che con apposita legge permise la diaspora della nobile raccolta fino ad allora sottoposta a fidecommesso, dunque (in teoria) indivisibile e inesportabile. «Questo prestito – racconta Thomas Salomon, direttore delle Gallerie nazionali d’Arte antica e curatore della mostra con Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese, e Maria Cristina Terzaghi, università Roma Tre – consente un confronto con Marta e Maddalena del Detroit Institute of Art e con la Giuditta di Palazzo Barberini, dunque tutte e tre le rappresentazioni in cui è presente la stessa modella, forse Fillide Melandroni, il cui ritratto dipinto da Caravaggio andò perduto a Berlino durante l’ultima guerra» (l’incendio della Flakturm Friedrichshain, 1945).
Confermata anche la presenza dell’Ecce Homo ritrovato in Spagna, quadro comprato da un privato per una cifra (pare) intorno ai 30 milioni e poi esposto al Prado. La tela, che nel 2021 stava per andare in asta con stima di 1.500 euro, attribuita alla scuola di Ribera, si vedrà in Italia, dove forse fu dipinta, dopo secoli. A Palazzo Barberini si ammireranno anche opere somme del pittore: la magistrale Flagellazione di Cristo da Napoli (Capodimonte), la Cena in Emmaus da Milano (Brera), la Cattura di Cristo nell’Orto da Dublino (National Gallery). La Galleria Borghese – museo che conserva il maggior numero di Caravaggio al mondo, sei – presterà tre Merisi: Bacchino, San Giovanni (a confronto con altre due versioni dello stesso soggetto, da Palazzo Corsini e Kansas City) e David con testa di Golia. Palazzo Barberini, oltre a Giuditta e San Francesco, ha scelto di inserire nel percorso anche il discusso Narciso, opera magnifica la cui bilancia attributiva pende però, da anni, a favore di Spadarino.
Autografie a parte, i 24 Caravaggio in mostra, tanto più se uniti agli altri quadri romani del genio «maledetto» (chiese di San Luigi dei Francesi, Sant’Agostino e Santa Maria del Popolo, Vaticani, Capitolini, Galleria Doria Pamphilj, il dipinto murale nel Casino Ludovisi) rappresentano un’occasione unica per ammirare la più alta concentrazione mai vista di quadri di Caravaggio, artista il cui catalogo oscilla tra quaranta e sessanta lavori (con punte di cento nelle più spericolate attribuzioni) e che solo dal 1951, anno della mostra milanese a Palazzo Reale curata da Roberto Longhi, è divenuto uno degli autori più idolatrati di sempre. Il solo ad aver generato un numero-monstre di libri, film, rassegne col suo nome nel titolo e audaci attribuzioni di «paternità».