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 2025  marzo 02 Domenica calendario

All’America servono scrittori-guerrieri

La definizione, ampiamente abusata, di «classico contemporaneo», che continua a parlare ai lettori nonostante siano passati decenni dalla pubblicazione, si applica benissimo alla prima opera narrativa di Suzan-Lori Parks, La fortuna dei Beede: uscito negli Stati Uniti nel 2003, il romanzo arriva ora per la prima volta in Italia da Sur. Parks (Fort Knox, 1963) è un peso massimo nel campionato dei drammaturghi americani. Ha vinto un Pulitzer per il teatro nel 2002, con Topdog/Underdog, prima donna afroamericana a raggiungere questa vetta.
La fortuna dei Beede è un libro sul Sud degli Stati Uniti, ambientato nel Sud degli Stati Uniti, nel luglio 1963, durante gli ultimi colpi di coda della segregazione razziale – l’anno dopo diventò legge il Civil Rights Act. L’opera nasce dalla lezione di William Faulkner, in particolare dall’attenta lettura di Mentre morivo (1930).
La sedicenne nera Billy Beede, incinta al quinto mese, vive a Lincoln, Texas, con zio Roosevelt e zia June, da quando la sconsiderata e benestante madre, Willa Mae, cantante blues, è morta in Arizona. L’amante lesbica di Willa Mae, Dill Smiles, dice di averla sepolta con una collana di perle e un anello di diamanti (a tratti sembra di leggere un racconto tinto dall’umorismo gotico di Flannery O’Connor). Quando Billy scopre che il suo amante è già sposato, comincia una caccia al tesoro verso LaJunta, Arizona, per dissotterrare i gioielli che forse serviranno a pagare un aborto. Ironia macabra: la madre, Willa Mae, «aveva combinato un pasticcio». Morì in un lago di sangue cercando proprio «di sbarazzarsi del suo secondo bambino». Il titolo originale, in puro black humor, è Getting Mother’s Body, «prendere il corpo della madre»: scopriremo che vogliono costruire un supermercato dove c’è la tomba di Willa Mae.
Mentre morivo di Faulkner narra il drammatico viaggio di un padre e dei suoi figli verso il luogo della sepoltura della madre. Come in Faulkner, anche qui assistiamo al punto di vista di ogni personaggio: ogni capitolo de La fortuna dei Beede è un monologo narrato dalla prospettiva di ognuno dei protagonisti.«James Baldwin, uno dei miei maestri, disse che avrei dovuto fare grandi cose, fu tra i primi a scorgere in me del talento. Volevo provare al mondo che aveva ragione», dice Suzan-Lori Parks con una punta d’orgoglio a «la Lettura», collegata su Zoom, durante una pausa tra una lezione e un’altra alla New York University.
Partiamo dalla fonte di ispirazione: William Faulkner.«Nutro molto rispetto per Faulkner. È buffo: oggi fare un campionamento, riprodurre voci o parti di una musica, è un fatto normale. Il recente e straordinario James di Percival Everett prende spunto da Huckleberry Finn. Due decenni fa era diverso. Quando ho pubblicato Getting Mother’s Body ho cercato di spiegare alla gente che era una specie di atto di devozione nei confronti di Mentre morivo. Ma molti pensavano che siccome Faulkner è un uomo bianco e io no, stavo cercando di insegnargli qualcosa. Il romanzo di Faulkner è ambientato nel Sud, principalmente nel Mississippi, da dove proviene la sua gente. Anche il mio romanzo è ambientato nel Sud degli Stati Uniti, ma nel West Texas, da dove proviene la mia gente. Nel romanzo di Faulkner una famiglia va a seppellire qualcuno, mentre nel mio romanzo una famiglia va a dissotterrare qualcuno».
Da quale angolo della sua memoria proviene la protagonista, Billy Beede?«Questo non è chiaramente un romanzo autobiografico. È ambientato nel 1963, l’anno in cui sono nata. Ma tutte le persone che compaiono nel libro hanno qualcosa in comune con la mia esperienza di bambina. Tutta la famiglia di mia madre è del West Texas. I personaggi che narro sono donne che ho conosciuto, uomini che ho conosciuto, ragazzi e ragazze che ho conosciuto. La fortuna dei Beede è una specie di amalgama di tutte le persone meravigliose con cui ho speso una parte della mia vita».
Il concetto filosofico alla base del libro viene espresso da Willa Mae: tutti hanno un Buco. Da che mondo è mondo non c’è mai stato nessuno che non avesse un Buco dentro, da qualche parte. Un punto debole, un punto sensibile, una breccia, un punto cieco, un vuoto...«Gran parte del mio lavoro di artista consiste nell’ascoltare le persone, guardare oltre la superficie. La mia arte vive di giochi di parole. L’idea di un Buco significa che esiste uno spazio in cui le cose possono accadere. Non è uno spazio vuoto. È uno spazio pieno di possibilità, di fragilità, di bisogni. Willa Mae dice: certi hanno un Buco in testa, sentono una mancanza e insieme una smania di conoscenza. Un uomo può avere un buco da qualunque parte: in testa, nel portafoglio, in tasca, nei pantaloni, nelle budella, nella pancia, nel cuore».
Billy vorrebbe abortire, ma l’America in cui vive non glielo permette, se non illegalmente. Questo romanzo, ambientato nel 1963, scritto ai primi del Duemila, ha la forza dei classici: ha ancora molto da dire nel presente.«Spero che tutto ciò che scrivo abbia sempre una certa attinenza con il presente. Sono contenta che il mio lavoro continui a parlare alle persone, anche oggi, anche ai lettori italiani. Il diritto a ottenere un aborto legale e sicuro, il diritto alla contraccezione, il diritto di accedere all’assistenza sanitaria è ancora una sfida per tantissime donne, in America e nel mondo. Accadeva nel 1963 e continua ad accadere ora. Succedeva vent’anni fa, quando ho scritto il romanzo».
Jimmy Baldwin, suo docente di Scrittura creativa in un corso nel New England, amava invitare i suoi studenti per un drink dopo le lezioni. Qualcuno ha scritto che lei era convinta fosse inappropriato: lo considerava un educatore, un modello, non un «collega» o un amico. Qual è stata la sua lezione più grande?«Baldwin mi ha incoraggiato molto. Mi diceva che avrei fatto grandi cose. Mi ha insegnato come comportarmi in “presenza dello spirito”. Noi scrittori siamo guerrieri, portatori di verità. Portiamo dentro una fiamma. Siamo noi che accendiamo un fuoco per la comunità. Come Omero, come Shakespeare. Non si tratta di intrattenimento. Baldwin mi ha insegnato che noi scrittori siamo guerrieri».
Ci sono ancora scrittori-guerrieri oggi, in America?«Ne abbiamo un bisogno disperato. Abbiamo bisogno di tutti i tipi di guerrieri. Guerrieri che ci fanno ridere. Guerrieri che fanno piangere, guerrieri che ci fanno pensare. Abbiamo bisogno di guerrieri che ci offrono pace mentre siamo seduti e meditiamo».
Il ritmo di questo romanzo, che è un libro di viaggio, un «road trip», è scandito dalla musica blues, triste e insieme allegra, grave ma allo stesso tempo spensierata.«Suono musica blues da molto tempo. I miei chitarristi preferiti sono Libba Cotten, Mississippi John Hurt, Reverend Gary Davis, Memphis Minnie. Il mio primo marito era un musicista blues. Il mio attuale marito è un musicista jazz. Amo la tristezza del blues ma anche la gioia del blues. Sono stata fortunata in amore: le mie passioni sono entrate nella mia vita, in tutti i sensi. Volevo trovare un modo per far fluire il ritmo delle canzoni che ascolto tra le pagine del romanzo».