Corriere della Sera, 2 marzo 2025
«Mio nonno era Monsù Galup, inventò il panettone basso. La nonna invece stirava le banconote prima di darle agli operai»
Pietro Ferrua, detto Monsù, era un nonno dalle mani profumate di vaniglia e dalla personalità esuberante. Lo racconta la nipote, Regina, erede della tradizione del panettone basso piemontese, il famoso Galup.
Chi era suo nonno?
«Un signore di due secoli fa, nato nel 1891 a Dogliani nelle Langhe. Quando penso a lui mi vengono in mente le sue mani che profumavano di vaniglia e canditi all’arancia, che poi è lo stesso odore che aveva addosso mio padre. Era un uomo generoso, fascinoso, esuberante, geniale, che amava molto la compagnia sia della famiglia che degli amici. Non l’ho mai visto arrabbiato o triste. Era molto abile nelle pubbliche relazioni, un uomo di marketing ante litteram, e una persona divertente soprattutto con noi nipoti a cui dedicava molto tempo. La sua era una famiglia molto numerosa, erano 7 figli. La loro avventura imprenditoriale è cominciata quando si sono trasferiti a Pinerolo dove hanno aperto la prima panetteria sotto i portici nuovi».
Quando e come è nato il panettone Galup?
«Dopo che nonno Pietro ha conosciuto nonna Regina. Io ho preso il nome da lei, che si chiamava così perché nei giorni precedenti alla sua nascita la regina era venuta a Pinerolo. Dopo il matrimonio, nel 1922 hanno aperto una pasticceria, in via Duomo, dove è nato il Galup, il primo panettone basso della nostra regione, con la glassa di nocciola piemontese, la tonda e gentile. Una sera dopo averlo sfornato lo fece assaggiare ai suoi amici e uno di loro, secondo la leggenda, disse “l’è proprio Galup” che in piemontese vuol dire “è proprio goloso”. Mia nonna colpita da questa esclamazione decise che il nome sarebbe stato proprio quello; penso che questa scelta intuitiva abbia contribuito al successo del prodotto perché evoca l’idea di una cosa buona che sa di famiglia, di Natale e di prodotti fatti con cura e passione. La pasticceria è rimasta una dimensione artigianale fino alla guerra, periodo in cui ha dovuto fermare la produzione, perché i forni furono requisiti per fare il pane».
La vostra è una famiglia molto unita.
«Sicuramente, quasi tutti i familiari hanno collaborato alla crescita della Galup, dai nonni con le sorelle, a mio padre Fiorenzo e mio zio Giancarlo, ai nipoti. Nello stabilimento di via Fenestrelle, rimasto la sede dell’azienda, lavoravamo e abitavamo, è stato il cuore della nostra vita, stavamo sempre tutti insieme. Galup è un marchio che ha avuto alla base una grande tradizione pasticcera, una importante cura del dettaglio e una grande qualità; era la filosofia di mio nonno: mantenere la dimensione artigianale nelle materie prime e l’attenzione ai particolari come al confezionamento, di cui si occupava mia nonna. L’impegno familiare ha determinato la crescita dell’azienda e la diffusione del suo brand».
Si ricorda un aneddoto particolare riguardo a Monsù Ferrua?
«Si divertiva molto a cambiare i nomi delle persone, era un modo ironico, tutto suo, attraverso il quale metteva in evidenza le caratteristiche individuali. Devo confessare di aver ereditato questa particolarità. Un’altra cosa che mi ricordo con gioia è quando inventavamo storie all’interno delle quali inserivano personaggi conosciuti o visti anche solo una volta. E poi era nota la sua passione per le auto ma anche il fatto che alla guida fosse lento, un po’ come me».
La nonna Regina come era?
«Una donna molto concreta, elegante e garbata, per me è stata una guida e una maestra di vita. Si occupava della parte amministrativa dell’azienda, era un’instancabile lavoratrice, compensava il lato estroso e creativo di nonno Pietro e lo indirizzava verso la praticità. Teneva unita la famiglia, ma aveva creato forti legami anche con gli amici che hanno collaborato con l’azienda soprattutto dopo la guerra, quando gli affari hanno cominciato a crescere anche all’estero. Mi ricordo la sua autorevolezza, la sua immagine curata sia nel vestire che nelle maniere. Era talmente curata nelle cose che faceva che, prima di consegnare gli stipendi al personale, stirava le banconote perché fossero decorose. Per lei era un segno di rispetto nei confronti di chi lavorava per la Galup. Quello con mio nonno è stato, soprattutto grazie a lei, un matrimonio solido, una azienda in tutti i sensi».
È vero che Galup è da sempre un’azienda al femminile?
«Certo. Nel reparto dove si impastava e si creavano i prodotti lavoravano gli uomini, perché era necessaria più forza fisica, nella parte dedicata al confezionamento erano coinvolte maggiormente le donne. Mia nonna, oltre ad averlo ideato, si occupava personalmente, insieme altre impiegate, del confezionamento e aveva insegnato anche a me come farlo: era importante creare bene le tre pieghe che dovevano avvolgere la forma rotonda del panettone e su questo era molto esigente e pignola».
E lei che bambina era?
«Felice, forse un po’ timida, mi piaceva studiare. La mia infanzia è stata spensierata, ho dei ricordi meravigliosi con i miei fratelli e i cugini, vivevamo tutti insieme nello stabilimento. C’era tanto spazio, facevamo anche le gare sui pattini a rotelle. Con i miei fratelli avevamo stabilito una parola d’ordine: “andiamo a mietere il grano” che voleva dire entrare di nascosto nel laboratorio per fare razzia di dolci. Eravamo felici con tutti quei profumi, gli ingredienti, i panettoni lasciati a raffreddare e la glassa da staccare lasciando i panettoni sguarniti, un paradiso. Sono stata coinvolta anche nella lavorazione dei prodotti, per esempio, mi facevano pelare le arance, che servivano per i canditi, fatti esclusivamente a mano, o a spalmare la glassa con un coltellino. Era bello partecipare e il nonno era contento».
Galup fu inserita nella lista dei fornitori della Casa Reale.
«Grazie al lavoro del nonno, il nostro panettone divenne molto noto a Torino e nel 1937 gli fu dato questo riconoscimento. Grazie alla nostra azienda Pinerolo è diventata la città del panettone (basso piemontese); nel periodo natalizio il profumo tipico di questo dolce è ancora nell’aria come un tempo, sarebbe bello farne un profumo per ambienti mettendo vaniglia, arancia e cedro, il Profumo di Pinerolo dal 1922».
Cosa pensa di aver ereditato da suo nonno?
«La serietà e la leggerezza, il riuscire a vivere i momenti, soprattutto quelli meno belli, con una certa distanza».
Se avesse la possibilità di vederlo oggi cosa gli direbbe?
«Prima di tutto vorrei sentire ancora quel profumo dolce che lo caratterizzava e che mi è rimasto nel cuore. Gli direi che sarebbe ancora orgoglioso della sua azienda perché il nuovo proprietario possiede la sua stessa passione per la Galup».