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 2025  marzo 02 Domenica calendario

La lotta, la fuga e l’infinita prigionia, l’odissea di Öcalan che coinvolse l’Italia

Ömerli, il villaggio in cui è nato nel Sudest della Turchia, è ancora oggi un luogo di pellegrinaggio, il giorno del suo compleanno, il 4 aprile 1948, è considerato alla stregua di una festa sacra, eppure per la maggior parte dei cittadini turchi Abdullah Öcalan è il peggiore dei terroristi, un «assassino di bambini» come viene spesso definito sui media. D’altra parte il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), da lui fondato nel 1978 per inseguire il sogno di una patria curda, è in guerra con Ankara da 40 anni lasciando dietro di sé una lunga scia di sangue che conta più di 40 mila morti.
Nonostante sia in prigione da 26 anni, «Apo» (zio in curdo), come lo chiama affettuosamente la sua gente, è riuscito a non perdere consensi. Condannato nel 1999 alla pena di morte per tradimento e attentato alla sovranità dello Stato, pena commutata nel 2002 in ergastolo, il leader curdo è stato dal 1999 al 2009 l’unico detenuto sull’isola-prigione di Imrali, nel Mar di Marmara, a sud di Istanbul. Dal 2015 il suo totale isolamento per 23 ore al giorno è stato denunciato in molte occasioni dalle organizzazioni per i diritti umani, rendendo la sua liberazione una causa che è una sola cosa con quella del popolo curdo.
Da allora sono state pochissime le sue foto in circolazione, tranne quelle in cui è seduto dentro una gabbia di vetro antiproiettile nel tribunale costruito appositamente per lui a due passi dal carcere. Così, anche per noi italiani, Öcalan è ancora quell’uomo con i baffi e i capelli neri, in tenuta da combattimento, le braccia conserte. Erano i tempi in cui dalla Siria guidava la lotta armata per uno stato indipendente del Kurdistan dopo aver abbandonato la facoltà di scienze politiche dell’Università di Ankara. Damasco agli inizi gli aveva addirittura concesso una base di addestramento per i suoi militanti ma nel 1998 gli intimò di lasciare il Paese e quello fu per lui l’inizio di una lunga odissea alla ricerca di un asilo politico. Trovò rifugio in Russia e poi arrivò a Roma il 12 novembre 1998 accompagnato da Ramon Mantovani, deputato di Rifondazione comunista. Fu una grana diplomatica di proporzioni gigantesche per il neoformato governo D’Alema, con la Turchia che minacciava il boicottaggio delle aziende italiane. Il 16 gennaio 1999, dopo 65 giorni, Öcalan fu convinto a partire per Nairobi, in Kenya, dove fu catturato dagli agenti dei servizi segreti turchi.
Poteva essere la sua fine, invece è stato un nuovo inizio: dal carcere è riuscito a cambiare il paradigma della lotta curda, passando dall’indipendenza e dai postulati marxisti-leninisti a una visione confederale per i popoli del Medio Oriente basata sulla democrazia diretta, sul femminismo e sull’ambientalismo, che oggi è condiviso da gran parte delle organizzazioni curde. I suoi appelli per la pace dall’isola di Imrali non sono, è bene ricordarlo, una novità. Il 28 settembre 2006 Öcalan, tramite il suo legale, Ibrahim Bilmez, chiedeva al Pkk di dichiarare un armistizio e cercare di raggiungere la pace con la Turchia: «È molto importante costruire un’unione democratica tra i turchi e i curdi. Con questo processo la via al dialogo democratico verrà finalmente aperta» aveva scritto.
Stesso annuncio nel marzo 2013 quando il leader curdo raggiunse il suo picco di popolarità. Allora Erdogan era primo ministro e, proprio come oggi, considerava Öcalan la chiave per porre fine ai combattimenti. «Questa lotta del nostro movimento quarantenne, che è stata piena di dolore, non è andata sprecata, ma allo stesso tempo è diventata insostenibile», erano le parole di Apo in un messaggio letto davanti a una folla immensa durante le celebrazioni del capodanno curdo nel marzo 2015. Quattro mesi dopo, il 25 luglio, il cessate il fuoco saltò e il conflitto entrò nella sua fase più sanguinosa: tante città turche del Sudest a maggioranza curda, da Diyarbakır a Yüksekova, furono distrutte dall’esercito turco. La speranza è che questa volta il sogno si possa avverare.