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 2025  marzo 02 Domenica calendario

Paolo Gentiloni: “L’eclissi dell’Occidente in diretta. Solo la difesa comune salverà l’Ue”

All’indomani dello scontro tra Trump e Zelensky nello Studio Ovale, l’ex commissario europeo Paolo Gentiloni si appella all’Europa: «Adesso tocca a noi». Sapendo che la situazione è delicatissima, «oggi è naturale che prevalga un sentimento di angoscia».
Che impressione le ha fatto quella scena alla Casa Bianca?
«È stato uno spettacolo tragico: non so se sia stata una trappola orchestrata in cui Zelensky è caduto, o se sia venuta così, ma certo è qualcosa di mai visto. Abbiamo assistito all’eclissi dell’Occidente in diretta tv».
Che conseguenze avrà?
«Trump si è comportato come se la differenza tra chi ha invaso e chi si difende gli fosse indifferente. Anzi, definendo Zelensky dittatore e dicendo che ha già perso una guerra che invece è in uno stallo terribile e sanguinoso, avalla le opinioni di Putin. Già solo questo è enorme».
E addirittura pare stia pensando di tagliare gli aiuti militari all’Ucraina…
«Sarebbe gravissimo, ma lo considero improbabile. Molti Paesi europei, oltre all’Ucraina, sono già al lavoro per evitarlo. Ora si tratta di lavorare a ricostruire quel che è possibile del rapporto tra Trump e Zelensky».
A chi tocca raccogliere i cocci?
«Molto dobbiamo fare noi europei. Non sottovalutiamo il fatto che larga parte del sostegno economico a Kiev, e poco meno della metà di quello militare, sono venuti dall’Europa. L’Ucraina non è sola».
Siamo arrivati al punto Europa da una parte e America dall’altra?
«È giusto restare aggrappati alla relazione transatlantica, e hanno fatto bene Macron e Starmer nei giorni scorsi a cercare di tenere in vita quel che si può. L’Occidente è gravemente malato, ma sarebbe un errore stupido accelerarne la scomparsa».
Allora fa bene anche Meloni a tentare un equilibrismo tra Usa e Ue?
«Macron e Starmer hanno fatto questo tentativo senza sacrificare l’Ucraina. Lo stesso dovrebbe fare chi immaginasse un ruolo simile da pontiere per il governo italiano, che però non mi pare scontato».
Perché?
«Perché la coalizione di governo ha posizioni diverse sull’atteggiamento da tenere verso l’Ucraina. E poi, sia sulle spese militari che sulla bilancia commerciale, l’Italia non è un Paese modello per la retorica di quest’amministrazione americana».
Meloni però sembra proporsi proprio come pontiere tra le due sponde dell’Atlantico in virtù del buon rapporto con Trump…
«La sua impostazione è chiara: cerca di essere in sintonia con l’estrema destra americana sui temi identitari e ideologici, senza rompere con gli europei sulle questioni economiche e di geopolitica. Ma, con l’accentuarsi delle divisioni, stare in questi due binari diventa impraticabile».
Deve scegliere anche Meloni?
«Per forza, difficile per l’Italia sottrarsi».
Lei dice che ora tocca agli europei. Oggi c’è un vertice allargato a Londra: cosa si aspetta che produca?
«Spero che inizi a produrre qualche novità sul tema della difesa comune. Se ne parla da 25 anni, cos’altro deve succedere per capire la necessità di fare un passo avanti?».
Perché sono 25 anni che si rinvia una decisione?
«Per lungo tempo abbiamo pensato che della nostra difesa si sarebbero fatti carico gli Stati Uniti. Una convinzione che avrebbe dovuto indebolirsi già da un po’: a chiederci di portare le spese di difesa al 2 per cento del Pil fu il presidente americano più amato in Europa, Obama. Ora è chiaro che l’Europa non è più la priorità per gli Usa: nel farci assumere questa consapevolezza Trump sta facendo miracoli».
La soluzione nella sostanza è: più soldi in armi?
«Non basta qualche decimale in più di spesa in ordine sparso: serve un finanziamento comune che superi le resistenze a produrre in Europa e ad acquistare sistemi di difesa europei».
La sua parte politica, la sinistra, ha sempre guardato con sospetto a armi e difesa: ora in Europa è pronta a questo passaggio?
«Ricordo che è stato il socialista Scholz ad annunciare 100 miliardi per la difesa in Germania rivendicando una “svolta epocale”. E i governi a guida socialista, tra cui quelli spagnolo o inglese, non sono certo contrari».
Anche la sinistra italiana è pronta?
«Ci sono molti distinguo ma nell’insieme questa consapevolezza c’è anche in Italia. Siamo affezionati alle nostre democrazie, al nostro welfare, ai diritti civili, alla pace. Questi valori vanno difesi perché sono minacciati in un mondo abitato da tensioni e da autocrazie: l’Europa non può restare l’unica erbivora in un mondo di carnivori. Ho il massimo rispetto per le posizioni pacifiste o addirittura di disarmo: ma tra chi ha responsabilità di governo nessuno in Europa si sta sottraendo, tranne Orban».
Cosa ne pensa dell’ipotesi di truppe di pace europee in Ucraina?
«Difficile discuterne in astratto. E non è utile dividersi tra chi è a favore e chi è contrario a qualcosa di cui non si conoscono i contorni».
Ha ragione chi dice – anche la segretaria del Pd Schlein – che l’Europa in questi tre anni avrebbe potuto fare di più per i negoziati?
«L’Europa avrebbe potuto fare di più per mille cose, ma in questo momento la cosa che tutti dobbiamo fare è stringerci in un patriottismo europeo oltre che tricolore. Non lasciamo che siano chiare e vocali solo le posizioni ostili alla Ue».
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«E la posizione della Commissione europea, che se costretta risponderà con analoghe tariffe, mi sembra sacrosanta. L’Europa non ha nulla da temere, se non le proprie divisioni. Lavoriamo per evitare una guerra commerciale: ma se Trump la inaugura, non siamo più deboli degli americani».
Non è un’ipotesi quella avanzata dal vicepremier Salvini di rapporti bilaterali, magari per spuntare un trattamento di favore?
«Penso che il momento dovrebbe spingerci nella direzione esattamente opposta: a cercare la forza e l’unità dell’Europa».