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 2025  marzo 02 Domenica calendario

“Io, vittima di Unabomber da bambina, non avrò mai giustizia”

Oderzo (Treviso). «Come mi sento? Frustrata e delusa. Perché la riapertura delle indagini mi aveva dato speranza. E invece era un contentino per me e le altre vittime. Unabomber: un fatto di cronaca nera di 20 anni fa. Finito, chiuso. Dimenticato».
C’è una frattura che non si salda. Un cerchio che non riesce a chiudersi nella vita di Francesca Girardi. Trevigiana di Oderzo, 31 anni da compiere. Prima l’Università a Torino, poi il lavoro a Milano, dove gestisce la sede italiana di una multinazionale inglese che si occupa di ricerche di mercato. «Una vita normalissima, sempre di fretta» racconta. Eppure, una parte della sua vita è irrimediabilmente inchiodata a un altro luogo e a un altro tempo. Alle 11,30 del 25 aprile 2003, sul greto del fiume Piave, nel territorio di Fagarè della Battaglia. Quando, con i suoi nove anni, è diventata la vittima più giovane di Unabomber.
La prima esplosione attribuita a Unabomber risale al 1993, l’ultima al 2007: più di 30 attentati nell’Italia nordorientale, ma nessun colpevole. Com’è possibile?
«Sembra impossibile, con il nostro livello di conoscenze, gli strumenti sofisticatissimi che abbiamo a disposizione. Sicuramente, negli anni, sono stati fatti degli errori. Ma non posso accettare che in un Paese come l’Italia un pazzo sia riuscito a creare e posizionare ordigni, mutilando la gente, per più di 20 anni, senza venire beccato. Sembra un film, invece è la mia vita».
La sua vita è ancorata a quello che le è successo 22 anni fa?
«Io sono andata avanti. Ma il fatto che quell’attentato non abbia intaccato la parte più pura e genuina di me non significa che non mi abbia ferita. È relativamente facile, per me, parlarne, perché mi sembra di raccontare la storia di un’altra persona. Ma poi penso che quella bambina ero io. Il dolore e la paura che io e la famiglia abbiamo provato è qualcosa che rimarrà dentro di noi sempre e che nessuno ci potrà mai togliere. Mi ha cambiato. Ma mi piace pensare che mi abbia reso una persona migliore».
Che ricordo ha dell’attentato?
«Ricordo tutto. Era una bellissima giornata di sole. Ero sul Piave con la mia famiglia, per un picnic. Mi sembra assurdo che la mia infanzia sia stata distrutta in un luogo così bello. Ho perso la mano destra, la vista da un occhio. Ho subito più di 10 interventi chirurgici, anni di fisioterapia».
Lei che giocava con un amichetto, un evidenziatore sul greto del fiume. Lei che lo raccoglie e poi l’esplosione...
«E nessuno mi toglierà mai dalla testa che quell’evidenziatore che ho raccolto, prima, non fosse lì. E invece ho visto un uomo...».
Unabomber?
«Non posso affermarlo con certezza. Ma ci osservava: quella sensazione ce l’ho ancora addosso. Lui ci guardava, come in attesa di qualcosa che sapeva sarebbe successo nel giro di breve, ma di cui noi eravamo ignari. Ricordo ancora il suo ghigno, il suo sguardo fisso su di me, quasi di trepidazione. Quel giorno, lui mi ha scelto. È una delle cose che mi porto dentro da oltre 20 anni».
È anche grazie a lei se sono state riaperte le indagini. Ma l’ennesimo rinvio al 15 settembre dell’ennesima udienza porterà alla prescrizione di tutti gli attentati di Unabomber, escluso l’ultimo...
«Non metto in dubbio il lavoro degli inquirenti. Hanno voluto mappare tutte le persone che, in questi 20 anni, sono entrate in contatto con i vari reperti analizzati nel corso delle indagini: è un lavoro complesso e gravoso. Ma la tagliola della prescrizione era una cosa nota. E io, in tutta sincerità, pensavo che al caso di Unabomber sarebbe stata data priorità massima, e invece non è stato così. Probabilmente il caso è stato riaperto sulla scia del clamore innescato dal documentario, dal podcast e dalle interviste. Ma nulla più».
Lei cosa si aspettava?
«Mi aspettavo, piuttosto, che dalle analisi non emergesse nulla. Ma così fa male. Questo è uno schiaffo, è una presa in giro».
E cosa chiede?
«Di avere un colpevole, per chiudere questa ferita. Non provo odio o rancore verso Unabomber, ma ognuno deve essere responsabile delle proprie azioni. Vorrei parlargli, per chiedergli perché, quella mattina, ha scelto me. Vorrei chiedergli cosa rappresentavo, nella sua testa. Saperlo non mi aiuterà nella vita di tutti i giorni, ma mi aiuterà a mettere un punto».
L’Italia ricorda Unabomber?
«C’era la paura di fare la spesa al supermercato o di raccogliere una monetina per terra, perché un bombarolo se ne andava in giro, piazzando ordigni nei posti più comuni. Però, no: l’Italia non ricorda più Unabomber. È come se non fosse mai successo. Un buco nel sistema Italia. Per questo, da dimenticare».