Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  marzo 02 Domenica calendario

L’azzardo è raddoppiato. E ora l’assist del calcio

Ci risiamo: tra pochi giorni, salvo ulteriori rinvii, la maggioranza voterà per spazzare via il decreto Dignità e il divieto di pubblicità, diretta e indiretta, per le scommesse, in vigore in Italia dal 2018. Ci aveva già provato con diversi emendamenti, poi con il decreto Cultura il 23 dicembre scorso. E mercoledì, fino all’ultimo rinvio. Come già scritto, la misura stavolta è inserita nel pacchetto “Prospettive di riforma del calcio italiano”, e presentata come un modo per aiutare la povera Serie A di calcio, che per via del divieto di pubblicità perde, si stima, 100 milioni di euro all’anno rispetto ai principali campionati europei. Una norma spinta da sempre da Claudio Lotito, senatore di Forza Italia e presidente della Lazio, ma fatta propria fin da subito dal governo Meloni: il pacchetto, una risoluzione che impegna poi il governo, deve essere votato in Commissione cultura al Senato, è a firma Paolo Marcheschi (Fratelli d’Italia). “Cerchiamo ampio consenso”, ha sottolineato il 27 febbraio il ministro Andrea Abodi, che da anni si spende per riavere la preziosa pubblicità.
Non facile ottenerlo, un consenso sul tema, soprattutto dal mondo cattolico che pure ha un peso per questo esecutivo. Per questo nel pacchetto di riforma s’infiocchetta il via libera agli spot dell’azzardo con altri provvedimenti per destinare una (piccola) percentuale dei proventi delle scommesse a un fondo per gli impianti sportivi, i vivai, il calcio femminile. Ma, come già notato dal Fatto, non sarà semplice, dato che l’Agenzia dei Monopoli già in passato ha avanzato obiezioni tecniche. L’obiettivo, per l’ennesima volta, è insomma la fine del divieto di spot del betting, dopo che il governo ha già eliminato, nella legge di Bilancio, l’Osservatorio sul contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo creato nel 2015, oltre ad avere in cantiere una riforma per ridurre i limiti per l’apertura di nuove sale slot.
“Non solo il decreto Dignità è stato palesemente aggirato, ma ha fallito gli obiettivi prefissati di contrasto alla ludopatia, penalizzando il nostro campionato. Aggiornarlo significa contribuire a innestare nuove risorse al settore da investire in progetti davvero efficaci di contrasto alla ludopatia e programmare investimenti in infrastrutture e vivai”, dice Marcheschi giustificando il pacchetto. In realtà il divieto è stato aggirato perché l’Agcom già dal 2019 ha interpretato la legge in maniera permissiva, chiarendo che restavano lecite le pubblicità con “un’esclusiva finalità descrittiva, informativa ed identificativa dell’offerta di gioco legale, funzionale a consentire una scelta di gioco consapevole”. Ed ecco che, dall’Inter alla Serie A, sono arrivate piogge di sponsorizzazioni a nome di siti “informativi” con lo stesso nome di agenzie di scommesse, come Betsson o Betitaly: ma può andare molto peggio, o meglio a seconda dei punti di vista. Nella Premier League inglese d’altronde già 11 squadre su 20 hanno un’agenzia di scommesse come main sponsor, e uno studio dell’Università di Bristol ha calcolato che solo nella prima giornata di campionato del 2024 ci siano stati 29 mila annunci pubblicitari sull’azzardo, il 165% in più rispetto a un anno prima.
Nel frattempo comunque l’azzardo in Italia ha continuato a prosperare, toccando la cifra record di 150 miliardi di raccolta (soldi giocati) nel 2023, quasi 3 mila euro di media a testa, cifra che è stata sicuramente superata nel 2024. Erano 84 nel 2013, 136 nel 2022; 22 i miliardi persi dagli italiani nel solo anno 2023 (dati Agenzie Dogane e Monopoli). Una crescita legata soprattutto all’online, passato dai 31 miliardi del 2018 al 73 del 2023. Numeri certi, riguardanti il solo gioco legale: si stimano (Federconsumatori su fonti multiple) circa 37 miliardi di gioco illegale.
Si gioca soprattutto dove c’è più povertà: Sicilia, Campania, Calabria, Abruzzo, Basilicata, Molise, Puglia, le regioni con le giocate pro-capite più alte, Veneto e Trentino-Alto Adige le più basse. Numeri condizionati certamente anche da fondi provenienti dalla criminalità organizzata, stimati in 16-18 miliardi di euro. Ma ciò non toglie che chi si trovi in una situazione di difficoltà tende più facilmente a iniziare a giocare. “Proliferano i punti scommesse, soprattutto in territori e quartieri ad alto disagio sociale – aveva detto, tra i tanti, Federico Cafiero de Raho, vicepresidente della commissione Antimafia, alla presentazione dei dati 2022 – Il gioco online è la nuova frontiera di interessi criminali nell’azzardo”.
Secondo i dati Iss del 2018, gli ultimi disponibili, il 36,4% degli italiani ha giocato almeno una volta nei dodici mesi precedenti, con circa 1,5 milioni di giocatori problematici, che quindi necessitano di cure professionali. Più che probabile, di fronte al giocato, che anche questi numeri siano cresciuti. Certo invece è che dal 2018 al 2024 sono cresciuti i ragazzi in difficoltà, soprattutto i maschi (in tutte le statistiche più propensi a giocare), come certifica sempre l’Istituto Superiore di Sanità: i giovani 14-17 anni problematici sono passati da 68 mila a 90 mila, quelli a rischio da 80 mila a oltre 136 mila. Merito, ancora una volta, soprattutto dell’online in crescita.
Non è difficile in questo contesto capire perché il mercato valga così tanto per le imprese che hanno tutto l’interesse a investire. Vale anche per l’erario: 11 miliardi nel 2022, ma per 136 miliardi di raccolta. In proporzione, la crescita del gioco online, soggetto a un’imposizione inferiore, porta infatti meno incasso per lo Stato. “Le agenzie di betting arrivano con decine di milioni di euro, è chiaro che per i club non è facile dire di no, e nemmeno per la politica, a livello globale”, ammette Edoardo Tozzi, ricercatore dell’Università di Bristol (Regno Unito) che con il gruppo di lavoro di Raffaello Rossi sta portando avanti un’attività di informazione, a livello europeo, sull’effetto delle pubblicità del betting, per arrivare a fare in modo che altri Paesi arrivino a divieti simili a quello che l’Italia vuole togliere. Il gruppo di ricerca, adottando tecniche neuroscientifiche, ha dimostrato tra l’altro che il content marketing, cioè la pubblicità indiretta delle scommesse (ad esempio con un calciatore che parla d’altro, ma dentro una stanza “brandizzata” dal betting) ha molta più efficacia della pubblicità tradizionale. Tozzi in un recente studio ha notato anche come i ragazzi 11-17 anni (al 93%) non siano in grado di distinguere gli spot delle scommesse dagli altri. Sui social media e non solo, questi ads arrivano anche a loro: “Non tutti possono permettersi il lusso del gioco consapevole. Ci sono persone fragili, o naturalmente portate al gioco, che vanno difese, certo non con la pubblicità. Non c’è solo lo sport professionistico da tutelare”. L’Italia, pur con il suo divieto molto imperfetto, e continuamente aggirato, si pone all’avanguardia. Ma forse, solo per qualche giorno ancora.