il Fatto Quotidiano, 2 marzo 2025
Intervista a Vincenzo Portera
Con lui “figlio di puttana” è un complimento, la carta d’identità. La consacrazione eterna. Il ritratto costruito, cesellato, immortalato da Lucio Dalla nel 1982, poi cantato dagli Stadio. “Mica capita a tutti un onore del genere. Lì il mio ego è esploso. Anche se negli anni hanno provato a dire che quel brano non era per me”.
Ricky Portera è la sintesi, la perfetta parabola del rocker secondo i parametri del bello e dannato; bello e musicista; bello e consapevole, bello e pericoloso. Del “bello” stare sul palco per “guardare una donna e sedurla”, parole sue. Eppure oltre al bello c’è di più: secondo Dodi Battaglia (e non solo Dodi) è uno dei più talentuosi chitarristi italiani, uno in grado di segnare la strada musicale con un suono personale, uno stile riconoscibile. Così in molti lo hanno cercato e coinvolto: oltre agli Stadio e Lucio Dalla, anche Eugenio Finardi, Loredana Bertè, Samuele Bersani.
Oggi vive sempre a Modena e senza palco non sa stare.
Non appare tanto.
Sono restio.
Si annoia, è riservato o le interessa poco?
La terza: non ho voglia di perdere tempo. Soprattutto di rispondere a domande del tipo ‘come ha cominciato a suonare?’.
Per capire l’origine del mito.
Mito? Mi riconosco una grande umiltà mista a insicurezza.
Insicurezza?
Ancora oggi tremo prima di salire sul palco, non so mai come andrà a finire, temo di non venire accettato.
Questo timore fa parte del piacere.
Si tramuta in adrenalina; quando mi chiamano per degli stage, ai ragazzi consiglio di capire sempre prima chi sono loro.
Chi è lei?
Un eterno Peter Pan che ancora vaga e non sa cosa combinare da grande. Quest’anno ne compio 71.
Li sente?
Qualche acciacco c’è. Per altre cose, no.
Si guarda allo specchio, e…?
M’incazzo tantissimo.
Dolore.
Non ha idea di quanto sono narcisista.
Guarda le sue vecchie foto?
Non rimpiango il passato, anzi; a volte mi fa piacere, nonostante l’inevitabile tristezza.
È sempre un figo.
Ma magari. Una volta sì.
Ricky Portera a vent’anni, com’era?
Con il viso da ragazzino, o addirittura da bimba, come diceva mia madre; mamma, da piccolo, mi vestiva da femmina perché lei desiderava una femmina. E forse avevo fattezze femminee; (pausa) di recente ho visto il film DallAmeriCaruso ed ero una fighetta. Una roba schifosa.
Cioè?
Non mi è piaciuto vedere come stavo sul palco: ero presuntuoso, badavo troppo all’apparenza; soprattutto in sala d’incisione esageravo, con Lucio (Dalla) che mi assestava delle frustate; (ci pensa) non conta risultare bravi, ma emozionare. Oggi colpisco in maniera più profonda.
Lucio Dalla per lei.
Tostissimo. Aveva varie facce, quando decideva di colpirti era micidiale: era talmente intelligente da impiegare cinque minuti a capire tutto di te, a centrare i punti deboli. Con me è stato basilare…
Traduciamo.
1982, incidiamo Sole domani. Provo l’assolo nove o dieci volte e a lui non andava mai bene. A un certo punto inizia a urlare: ‘Hanno chiamato e sta morendo tua madre!’. Ho capito che era una stronzata, però sono stato assalito dall’ansia e ho creato un assolo con una nota sola. Ed è un assolo disperato.
Manipolatorio?
Assolutamente. A lui non interessava il potere dei soldi, ma quello sugli uomini; per questo voleva attorno la corte e la corte lo assecondava. Lasciai il gruppo per questo. Eppure mi adorava.
I grandi spesso non sono pure manipolatori?
Spessissimo. Anche Vasco Rossi è così; solo che Dalla era un bugiardo allegro, mentre Vasco ti intristisce.
Vasco lo conosce da sempre.
Da ragazzini.
Vasco si definisce un “supervissuto”. Lei è un sopravvissuto?
Credo di sì, gli anni 70 sono stati tosti.
Quanto?
Non ho mai esagerato con la droga, avevo paura, giusto nel 1981 ho provato un po’ la cocaina. Poi sono morti molti amici del tempo; (pausa) per fortuna mio papà era maresciallo dei carabinieri e ripeteva sempre: ‘Se ti becco non ti denuncio, ma ti spacco le gambe’.
È stato tra i protagonisti del tour di Banana Republic.
(Silenzio) Non ne posso parlare benissimo.
Che è successo?
Economicamente è stato un gioco a perdere: aprivo certe porte e vedevo tavoli pieni di banconote, mentre per noi musicisti c’erano 100 mila lire al giorno.
Pochine.
Non solo: dovevamo spesarci, compresi gli alberghi.
Ma artisticamente?
Era chiaro che stavamo partecipando a un bel pezzo della storia musicale italiana, per questo non protestavamo; comunque sfruttati e da lì nasce il mio disappunto per Francesco (De Gregori).
Ahi.
Ha scritto pezzi meravigliosi, ma come persona non mi convince. Certi miti non vanno mai analizzati o conosciuti.
Lei è considerato uno dei più grandi chitarristi.
Cavolata.
Lo sostiene Dodi Battaglia.
È un fratello.
Lei ha dichiarato: “Quando suono chiudo gli occhi e immagino Hendrix o Beck”.
(Prende tempo, cambia più volte risposta, poi si arrende a se stesso) In realtà penso sempre a una donna.
Eccolo là.
(Ride) Non a una in particolare.
Era chiaro.
Una volta beccavo bene.
A lei è stata dedicata Grande figlio di puttana.
Questo brano me lo porto dietro da quarant’anni ed è un complimento.
Quando l’ha ascoltato la prima volta, cosa ha pensato?
Che ero un gran figo.
Pennellato.
Come può sentirsi una persona che ha un brano dedicato da Dalla? L’aspetto triste è che qualcuno ha poi svilito il brano.
Come?
Sostenendo che era dedicata prima a Tizio, poi a Caio… Invece sono io.
Quel qualcuno è Gaetano Curreri?
Eh…
Gigi D’Amato sostiene: “Con le donne era più micidiale di Franco Califano”.
(Ride silenzioso) Vabbè.
La fama rispetto alle donne non ha offuscato la sua qualità artistica?
No, l’ha migliorata.
Senza tregua.
A 11 anni suonavo nei night di striptease: si toglievano solo il reggiseno ma per il tempo era molto. E quando restavano con il seno nudo, sistematicamente si giravano verso la band e non capivo nulla.
Comprensibile.
A 11 anni sono stato sverginato; però sembravo un sedicenne. Da allora mi è stato chiaro un punto: più suonavo bene e più donne avevo.
Uno stimolo.
Non mi è mai interessato suonare per la gente, ma per le donne.
Sempre più chiaro.
Però ho anche sofferto.
Figli?
Ho due ragazze.
Torniamo alla musica: Luca Carboni da giovane.
Un bel ragazzo, assomigliava a Richard Gere in American Gigolò; in quel periodo noi Stadio avevamo bisogno di un paroliere e lui era bravo e interessante oltre l’aspetto. Con Luca ci siamo dedicati una figuraccia reciproca…
Dica.
Concerto di qualche anno fa a Bologna: mi passa accanto e non saluta. Arriva l’impresario e mi spiega: ‘Devi salire sul palco con Carboni’. E io: ‘Per me può andare affanculo…’. Accanto a me c’era la moglie ma non lo sapevo. Però ora se mi incontra mi abbraccia.
Come viene giudicato dai colleghi?
Malissimo.
Chissà come mai.
(Ride, tanto) Perché rispetto a quelli della mia età sono ancora un gran figo. C’è dell’invidia.
Tra gli artisti chi considera ancora un amico?
Amico è una parola grossa e mi costringe a riflettere.
Proviamo.
Ho pochi rapporti; per me gli amici ogni tanto si sentono, hanno degli scambi, escono insieme. Mentre sono diventato un orso e sto sempre a casa. Insomma, non sento nessuno.
La solitudine è frequente tra gli artisti.
Forse è la musica a renderci così. Lo ripeteva pure Vasco.
E torniamo a Vasco.
È l’unico artista italiano per il quale avrei suonato dando tutto me stesso, ma non mi ha voluto.
Motivo?
Me lo ha spiegato Guido Elmi (storico produttore): ‘Secondo Vasco con te fa più danni la figa della Siae’. Mi soffre. Inoltre è convinto che gli ho creato dei problemi su un pezzo, Una nuova canzone per lei, mentre non c’entro nulla. Sono 41 anni che va avanti questa stupidaggine.
Ha suonato con Samuele Bersani.
Bravissimo, ma con lui ho condiviso un piccolo percorso; una volta l’ho visto litigare con Dalla per Canzone.
Per cosa?
Questione di diritti e di Siae; (pausa, sorride) non per una donna.
Dalla è sempre stato riservato rispetto alla sua sessualità.
Infatti quando Marco Alemanno, al funerale, ha definito Lucio “il mio compagno”, io e altri ci siamo incazzati: Lucio non si è mai definito, mai dichiarato. E poi non era un omosessuale, era più un antico romano. Spaziava.
Anche con lei?
Per due anni è stato un continuo. Poi ha capito che non aveva margini.
Capitolo Sanremo: ci è andato varie volte.
Lì è meglio cosa c’è fuori dal teatro. Donne fantastiche.
Pure lì.
Lo so, la mia è una fissazione.
Si ricorda tutte le donne con le quali è stato?
Quando una mi sorride particolarmente ed è affettuosa, domando sempre se tra di noi c’è stato qualcosa di intimo.
Sembra George Best quando sosteneva: “Ho speso gran parte dei miei soldi per alcool, donne e macchine veloci, il resto l’ho sperperato”.
Uguale. Uguale! Dal 1974 al 1985 ho acquistato tutte le auto più belle sul mercato. Però mai una prostituta.
Alcool?
Ho passato periodi nei quali ci ho dato dentro.
Ha una casa di proprietà?
No, e mio padre me lo ripeteva.
Al domani non ha mai pensato.
Tuttora faccio fatica: ogni giorno mi chiamano per dirmi che è morto qualcuno.
Suona tutti i giorni?
Per forza. Come ripeteva Paganini ‘se non suono ogni giorno me ne accorgo io; se non studio due giorni se ne accorge il pubblico’.
Cosa suona?
È come una ginnastica: non affronto dei brani specifici.
Un errore professionale?
Non essere diventato neurologo.
Che c’entra?
Sono geometra, poi ho tentato con Ingegneria, ma non era per me. Allora per quattro anni ho provato con Medicina.
Perché?
Dal neurologo ci vanno soprattutto le donne.
Errore da musicista?
Non aver mai imparato a leggere la musica.
Animale istintivo.
È così.
Riproviamo: lei chi è?
Uno che vivrebbe solo sul palco. Uno onesto. Uno a cui dispiace morire. E che non sa a chi lasciare le sue chitarre.