il Fatto Quotidiano, 2 marzo 2025
Baghdad è sottozero mentre la Valpadana non ha visto la neve
La terza decade di febbraio ha visto il ritorno di correnti atlantiche miti e umide, e una perturbazione ha attraversato il Paese tra martedì e giovedì. Piogge anche copiose al Nord-Est, sul Levante ligure e sul versante tirrenico, specie mercoledì in Campania (allagamenti a Salerno e dintorni, fino a 103 mm sono piovuti a Cava de’ Tirreni e 138 a Pellezzano). Breve intervallo, e adesso aria umida mediterranea reca nuove piogge sparse. Intanto con il 28 febbraio è terminato l’ennesimo inverno troppo mite (in climatologia le stagioni coincidono con i trimestri): i primi dati disponibili lo collocano rispettivamente al quarto e settimo posto tra i più tiepidi agli osservatori secolari di Torino e Piacenza, con un grado e mezzo sopra media. L’assenza (o quasi) di neve a bassa quota è stata tra le caratteristiche salienti del periodo, non perché le precipitazioni siano mancate, ma perché le temperature troppo elevate hanno fatto prevalere la pioggia: gran parte della Valpadana non ha visto un fiocco – a Parma per il terzo inverno consecutivo, mai accaduto prima in un secolo e mezzo di osservazioni – ed è ben difficile che nevichi tardivamente nelle prossime settimane.
Nel mondo – In un pianeta vicino ai massimi storici di temperatura nel suo insieme, una notevole ondata di gelo ha interessato le regioni intorno al Mar Nero e il Medioriente nelle ultime due settimane, con minime fino a -17,1 °C a Bucarest, -13,5 °C ad Ankara e -5,2 °C a Baghdad. Al contrario aria tiepida invadeva l’Europa occidentale portando svariati record di temperatura massima per febbraio (19,5 °C ad Anversa il giorno 21), ma è in particolare l’Artico a registrare temperature fuori scala. Eccezionali gli 8,4 °C di domenica scorsa a Tromsø, nel Nord della Norvegia, inoltre a Ny-Ålesund, nell’arcipelago delle Svalbard, non ha mai gelato dal 25 al 27 febbraio (massima di 4,5 °C, mentre di norma in questo periodo si dovrebbe oscillare tra -15 °C di notte e -8 °C di giorno) e la pioggia inzuppava la neve. Proprio alle Svalbard, con il riscaldamento atmosferico dell’ultimo secolo i ghiacci marini e terrestri hanno battuto in ritirata permettendo un’inedita espansione della tundra, con una copertura prima di muschi e licheni, poi anche di arbusti come i salici polari, secondo una ricerca pubblicata su Nature e coordinata dall’Istituto di Scienze Polari del Cnr (Greening of Svalbard in the twentieth century driven by sea ice loss and glaciers retreat). Oltre alla drastica alterazione degli equilibri ecosistemici, il rilascio da parte del permafrost in disgelo di enormi quantità di carbonio climalterante non sarà bilanciato dal suo sequestro tramite la fotosintesi delle piante pioniere in espansione. Uno studio apparso sempre su Nature (Ocean extremes as a stress test for marine ecosystems and society) esamina l’accelerato riscaldamento oceanico del biennio 2023-24, durante il quale l’occorrenza delle ondate di calore marino è più che triplicata rispetto ai record precedenti, con gravi impatti su pesca e barriere coralline, e un contributo a precipitazioni estreme e tempeste, come il violento ciclone tropicale “Garance” che pochi giorni fa ha colpito l’isola della Réunion nell’Oceano Indiano con venti oltre 200 km/h, almeno quattro vittime e decine di migliaia di abitanti senza elettricità e acqua potabile. Sull’orlo di un collasso ambientale e climatico, affidarsi alla ricerca scientifica, e potenziarla, per l’umanità potrebbe fare la differenza tra salvarsi oppure no. Invece la nuova amministrazione Trump sta procedendo a un assalto senza precedenti alle istituzioni scientifiche a suon di licenziamenti, censure e tagli finanziari, i cui impatti deleteri si ripercuotono a livello globale. Ancora sulla rivista Nature si trova una pronta denuncia di questi scellerati provvedimenti nell’articolo Trump 2.0: an assault on science anywhere is an assault on science everywhere.