Il Messaggero, 2 marzo 2025
Intervista a Enzo Iacchetti
Se Maurizio Costanzo nel 1990 non l’avesse invitato al suo Show su Canale 5, portandolo di fatto al successo, avrebbe mollato tutto per aprire una tabaccheria vicino a Maccagno (Varese), a 7 chilometri dal confine con la Svizzera. Aveva quasi 40 anni, Enzo Iacchetti, una moglie e un figlio di tre, e di gavetta ne aveva fatta anche troppa. Si era stufato. «Oggi è divertente da raccontare, ma quanta roba ho mandato giù...».
Seduto in una delle poltrone grigiorosse del Sistina di Roma, deserto perché è l’ora di pranzo, Iacchetti parla di tutto – sorridendo e guardando negli occhi – facendo attenzione a non fare movimenti bruschi per via di una fastidiosa ernia del disco. Nel tempio della commedia musicale italiana, fino al 9 marzo è in cartellone assieme a Paolo Conticini con Tootsie (Iacchetti è Jeff, il suo amico inseparabile), nuovo progetto di Massimo Romeo Piparo, che da novembre gira l’Italia con grande successo.
Quanta roba?
«Tanta. Per anni mi sono esibito di notte nei locali di striptease. Immagini venti-trenta uomini di ogni età che aspettano donne nude e si ritrovano davanti uno con la chitarra che cerca di farli ridere. Mi dicevano e mi tiravano di tutto. Ricordo che una sera un mozzicone acceso si infilò dentro la chitarra... Io, comunque, imperterrito sono sempre andato avanti: se non avessi resistito almeno un quarto d’ora, il proprietario non mi avrebbe pagato. L’unico applauso lo sentivo quando sulla pedana arrivava la ragazza per spogliarsi. A volte tornavo a casa in lacrime. Negli Anni Ottanta, poi, in ogni locale si faceva cabaret, anche nelle pizzerie. E anche lì, però, c’era chi ti ruttava in faccia, o ti lanciava i crostoni della pizza, la birra...».
Come ha fatto a resistere?
«Grazie alla fortuna e alla perseveranza. Non ho mai mollato, anche se – dopo che al Costanzo Show non mi avevano voluto – stavo per farlo: pagai anche la prima rata per la licenza della tabaccheria».
E poi?
«I provini li facevano quelli della redazione: dopo il primo rifiuto lasciai da loro il mio copione e me ne andai. Qualcuno lo prese, si mise a leggerlo e poi mi richiamò per darmi una seconda chance. Debuttai il 31 ottobre 1990. Dopo, Maurizio mi disse che mi avrebbe pagato una stanza all’Hotel Parco dei Principi per farmi tornare quasi tutte le sere ma solo se tutti i pomeriggi mi fossi messo a scrivere nuovo materiale per le mie canzoni bonsai che poi avrei interpretato la sera al Parioli. Mi ha cambiato la vita, Maurizio».
Da ragazzo voleva fare il comico o il cantante?
«Il cantante. Però Milano era lontana e io studiavo, non ero pronto per la grande città. Così a scuola continuai a fare il buffone e la sera ovunque potessi mi esibivo cercando di far musica e di far ridere».
Arrivato finalmente al successo, come si regolò per durare?
«Ascoltandomi, rifiutando tante offerte, evitando di esagerare. Una cosa che tanti di noi fanno e pagano caro. Quando a Striscia con Ezio Greggio facevamo 12 milioni d’ascolto quelli della Rai mi chiamarono per farmi condurre Affari tuoi, la concorrenza diretta. Mi avrebbero riempito di soldi, ma non mi sembrò giusto. A 39 anni la chance di fare davvero questo mestiere me l’aveva data Canale 5».
Sempre stato così saggio?
«No. Se mi fosse capitato a venti chissà che casini avrei combinato».
E ora a 72 anni il bilancio com’è?
«Buono. Non mi sento in credito né in debito. Certo, da bambino ero un enfant prodige: avevo l’orecchio assoluto e avrei potuto fare il direttore d’orchestra. La professoressa delle medie diceva tutte le sere a mio padre di mandarmi in conservatorio: ero bravissimo. Ma non avevamo una lira. E papà, ciabattino, mi voleva ragioniere in banca. Dopo il diploma feci anche un colloquio, che mi trovò lui grazie a una raccomandazione di paese, ma con i capelli lunghi, la fama di quello che andava alle manifestazioni del Pci e la sera suonava la chitarra, non mi presero. Per fortuna. Anche se papà ci rimase male. È morto quando avevo solo 22 anni, non ha visto niente di quello che sono riuscito a fare».
È vero che ha fatto anche il consigliere comunale del Pci di Maccagno, il suo paesino?
«C’erano 15 consiglieri, 12 della Dc e 3 misti, io ero uno di quelli. Mi sentivo quasi eroico, ma dopo la morte di Berlinguer non ho più votato. Ho ripreso a farlo da poco».
Ha lavorato con Berlusconi dopo il suo ingresso in politica: lui che ne pensava di lei?
«“Iacchetti, lei è comunista ma la rispetto: mi fa guadagnare”».
È vero che ha prestato tanti soldi ad amici, o presunti tali, che non glieli hanno mai restituiti?
«Sì, è così. Mio figlio Martino ha fatto un calcolo: se me li restituissero potremmo comprare una casa in centro a Milano».
Con il lavoro che fa è mai stato equivocato?
«Sì. Dodici anni fa presentando un musical da me prodotto dissi che si trattava di una scommessa, sicuramente in perdita, che valeva la pena di fare comunque. C’è chi scrisse: “Iacchetti rovinato dalle scommesse”, facendomi passare per un giocatore d’azzardo. Li ho querelati, i soldi vinti li ho dati in beneficenza».
Cosa le ha tolto il successo?
«Il successo rovina le famiglie. Sempre, o quasi. Finché si sgobba per far crescere un figlio, pagarsi una casa, più o meno tutto sta in piedi. Quando però entri in un mondo così diverso dal paesino sul lago dove sei nato e cresciuto, tutto cambia. I valori restano, l’onestà e la dignità non te le toglie nessuno, però almeno all’inizio ti sembra di stare in un paradiso terrestre. E qualche peccatuccio prima o poi si fa. Poi ho sempre avuto rapporti lunghi con le mie fidanzate, e non sono un traditore, però fra una relazione e l’altra, ho fatto il mattacchione. Che bello».
E adesso? Sempre signorino?
«Sì, certo. Sono single. Dopo 45 anni ho lasciato Milano, vivo sul lago dove sono nato e cresciuto, e quando sono in tournée vado subito a dormire. Sono diventato bravissimo».
Con personalità forti come Antonio Ricci ed Ezio Greggio è sempre stato facile far parte della banda di “Striscia la notizia”?
«Mi hanno accolto bene e in più di trent’anni non ci siamo mai scannati. L’intesa con Ezio è unica. È un amico. Ricordo che le prime puntate mi chiamava Jacuzzi... Iniziai con un contratto di una settimana, poi di un mese e ormai sono passati più di 30 anni. E anche se l’esclusiva ora me l’hanno tolta, va bene così. Posso fare altro. E poi a livello economico già da tempo ho messo via il mio fieno in cascina. Non ho più paura di finire in miseria».
Una maschera alla “Tootsie” l’ha mai messa?
«Sì. Quando Rete4 era della Mondadori andai a fare i provini per Il gioco delle coppie, quello che poi fece Marco Predolin. Non mi presero. Il giorno dopo, però, tornai con i baffi finti e una nuova pettinatura con il gel. Mi scoprirono subito. Per evitare che tornassi mi fecero firmare una specie di Daspo: non avrei mai lavorato con loro... Dopo il primo anno di Striscia la stessa dirigente mi scritturò per tre serie da protagonista... Non faccio il nome, però».
L’ex responsabile dei programmi Mediaset Fatma Ruffini?
«L’ha detto lei, non io».
Ora che sfizio vorrebbe togliersi?
«Recitare in un film di Pupi Avati, come hanno fatto Abatantuono, Calà o Boldi. Ho girato in qualche film natalizio, in uno – Tifosi – c’era anche Maradona, ma con il cinema non mi sono mai fidanzato».
Il 6 marzo esce il suo nuovo film, un horror, “L’orto americano”...
«Per quello mi ha detto che non andavo bene. Nel prossimo, però...»
E il suo film da regista?
«Nel 2007 avevo opzionato un bel libro di Gianantonio Stella, La bambina, il pugile, il canguro. Una storia di due nonni che crescono una bambina down abbandonata dai genitori. Poi la ragazzina riceve un’eredità e i due farabutti si rifanno vivi... Feci fare la sceneggiatura a Ugo Chiti, ma non si è mai trovato un produttore. Adesso non so se fisicamente ce la farei a dirigere un film».
Pensa di ritirarsi prima o poi?
«No. Mi diverto troppo. Però devo risolvere il problema alla schiena».
È vero che alle nozze di suo figlio, tre anni fa, si è presentato vestito tutto di rosa?
«Sì. Mio figlio mi ha detto che il dress code era informale. Non voleva la solita cosa. E allora mi sono divertito un po’. Ovviamente era uno scherzo: erano tutti in tiro. Il mio nipotino, nel silenzio totale, quando davanti a tutti mi ha visto ha urlato: “Zio, come cazzo ti sei vestito?”».