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 2025  marzo 02 Domenica calendario

Le edicole, un patrimonio da salvare


C’è un pezzo della nostra cultura che sta morendo. Una parte importante fatta di parole, concetti, idee, immagini. Anche fatta di tradizione, di storia, di società civile. È la cultura che avvolge in maniera quasi mistica ogni edicola di questo Paese. Sta scomparendo perché le edicole stanno scomparendo, mentre nessuno se ne preoccupa. O peggio, nessuno comprende la reale gravità di quello sta succedendo.
Il fenomeno è noto da tempo ma gli ultimi dati sono da far tremare i polsi, e sono ben raccontati da Gianluca Carini nelle pagine interne di questo giornale.
Possiamo ragionare sulle cause. Possiamo persino ipotizzare soluzioni. Ma ogni approccio sarebbe una perdita di tempo se non si colloca il problema nella sua esatta dimensione.
Bisogna partire da un fatto, che è incontestabile: le edicole sono finestre aperte sull’informazione di qualità in un’epoca in cui i nostri ragazzi (spesso non solo loro) sono fuorviati da profeti del nulla che pontificano dai loro profili social travestiti da commentatori e da giornalisti.
Le edicole sono sportelli sociali che uniscono il mondo reale con la gente comune, con chi desidera davvero sapere dove va la politica e che direzione sta prendendo il Paese in cui vive.
E ancora, le edicole sono un punto di riferimento – talvolta l’ultimo – per tanti anziani che hanno visto chiudere negli anni le saracinesche del lattaio, del meccanico, del barbiere, persino della portineria del loro palazzo, tutti falcidiati dal progresso dei grandi centri commerciali e dalle società di servizi. Per tutto questo e per molto altro ancora, le edicole sono un pezzo di Italia da difendere con i denti.
Ma fare l’edicolante è un mestiere durissimo. In tempi in cui i dipendenti pubblici (e molti di quelli privati) considerano lo smart working un diritto acquisito, l’edicola resta aperta sette giorni su sette, dodici mesi l’anno. Apre alle sei del mattino (talvolta prima) e chiude tardi. E alla sera ogni edicolante, deve fare un lavoro di ricalcolo tra le copie ricevute all’alba e quelle vendute durante il giorno. E alla fine, inevitabilmente, determina il suo ricavo, che puntualmente oscilla tra il cinque e il dieci per cento dell’incasso. Tante ore di lavoro, pochi giorni di riposo, nessun rimborso in caso di malattia per incassare dieci centesimi per ogni copia di quotidiano venduto: per arrivare a dieci euro deve venderne cento.
Per lavoratori del genere le istituzioni, la politica tutta, dovrebbero disegnare una cornice di sostegni adatta a non farli desistere, capace di rendere attrattivo un mestiere che deve essere tramandato di padre in figlio. Invece, paradossalmente, accade il contrario. Come è successo con la legge sulla rottamazione delle licenze: trentamila euro per restituire il tesserino da edicolante (che nessuno giovane vuole riacquistare). Un provvedimento che ha spinto molti edicolanti più anziani a chiudere i battenti, a incassare la somma e a restarsene (finalmente) a casa. Oppure, come sta succedendo a Roma, in pieno centro, dove una norma municipale sta facendo chiudere i battenti a venticinque edicole storiche, in nome di un decoro del quale si fatica a comprendere la logica, visto il moltiplicarsi a poche decine di metri di minimarket, gelaterie, street food con insegne variopinte e tavolini che spesso rischiano di bloccare il traffico.
È un grido di dolore che nei giorni scorsi ha raccolto persino il consenso del capo dello Stato: “Quella per le edicole è una battaglia importante e di valore. Avete ragione nel porre l’attenzione sul valore di queste realtà, purtroppo troppo spesso trascurata. Le edicole hanno davvero una grande importanza per tante e molte nostre comunità” ha detto Sergio Mattarella ad una delegazione di giornalisti in Umbria, ad un evento istituzionale. Il governo sembra intenzionato a battere un colpo: Alberto Barachini, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, annuncia nelle pagine interne di questo giornale una iniezione di fondi: 17 milioni. È presto per dire se siano pochi, sufficienti o tanti. Quello che si può affermare, è che il problema della sopravvivenza delle edicole deve essere affrontato in maniera strutturale, con un pacchetto di norme che possano incentivare anche i giovani a riscoprire questo mestiere.
“Per ogni pezzo di cultura che muore, grande o piccolo che sia, l’umanità intera perde qualcosa” scrisse una volta una poetessa. Ebbene, la politica, le istituzioni, le associazioni del commercio e del sindacato, non hanno ancora compreso che danno sarebbe perdere il flusso di cultura che passa da quella finestra sulla città alla quale si affaccia tutto il giorno un edicolante.