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 2025  febbraio 28 Venerdì calendario

La potenza dell’esercito cinese potrebbe essere sopravvalutata

Quanto è forte l’esercito cinese? O, detto in maniera più puntuale: l’esercito del gigante asiatico sarebbe oggi in grado di “gareggiare” con quello statunitense? Non si tratta di mera speculazione: dalla risposta a questo interrogativo dipende (anche) il futuro geo-politico del pianeta. Perché a nessuno sfugge che la vera “partita” che si sta disputando a livello globale sia quella che contrappone due visioni strategiche opposte: l’ordine americano – “unipolare” – o “l’ordine cinese” – multicentrico. A lanciare il sasso nello stagno è Rand Corp., un think tank Usa con sede a Washington. L’esercito del gigante asiatico? «Al momento non è pronto per la guerra». Secondo il rapporto, a rendere inadatta la elefantiaca struttura militare del gigante asiatico sarebbe la sua stessa struttura.
La vera vocazione dell’esercito cinese (Epl), sostiene Timothy Heath, un esperto del think tank Usa, è «di mantenere la presa sulla società cinese», consentendo al Partito comunista di conservare il suo ruolo di dominus assoluto, e «non di combattere un nemico d’oltremare». Dunque non c’è (o non ci sarebbe) un reale equilibro di forze tra la macchina di guerra Usa e quella cinese. La capacità di quest’ultimo è stata ingigantita. «C’è stato – dice ad Avvenire il politologo Lawrence C. Reardon – un coro crescente di esperti militari, la maggior parte dei quali non ha mai trascorso del tempo in Cina, che credono alla propaganda cinese su “l’Oriente sta sorgendo e l’Occidente sta cadendo”. I cinesi hanno sviluppato buone armi e sembrano migliori degli Usa. Ma l’elettronica, l’addestramento, la logistica restano inferiori. Il rapporto Rand è scritto da esperti che attraverso l’esperienza personale hanno un’analisi più accurata della Cina contemporanea. Abbiamo discusso costantemente del fatto che l’Iraq avesse il quarto esercito più forte al mondo. Eppure gli Stati Uniti hanno facilmente sconfitto le forze di Hussain. L’analisi realistica non va d’accordo con i nuovi esperti “cinesi”».
Non si rischia di sagomare una immagine deformata della macchina da guerra cinese? O, quanto meno di non cogliere una dinamica (e una dinamica dirompente) in corso? Come sottolinea la Cnn, la posizione espressa nel rapporto urta contro una serie di dati di fatto. La Cina ha ottenuto «rapidi e indiscutibili progressi militari» da quando il presidente Xi Jinping «ha introdotto ampie riforme un decennio fa». Xi ha più volte indicato l’obiettivo: l’Epl deve diventare «di livello mondiale», ovvero essere in grado di confrontarsi alla pari con gli Usa, entro la metà di questo secolo. Come sottolineano dallo United States Institute of Peace, Xi ha spinto sull’acceleratore: «Ha superato una significativa resistenza burocratica, facendo molto più dei suoi predecessori, per portare avanti un audace piano di modernizzazione militare.
Qual è allora la vera “natura” dell’Epl? È rivolta all’interno o all’esterno? «Oggi l’Epl – spiega ad Avvenire, Simone Dossi, professore associato di Relazioni internazionali alla Statale di Milano e autore di “La muraglia d’acciaio” in uscita per Il Mulino – ha principalmente compiti di sicurezza esterna: è a questi che risponde la sua modernizzazione, in un contesto internazionale percepito come sempre più insidioso. È il caso, per esempio, della riforma della struttura di comando introdotta nel 2016: l’obiettivo principale è rendere l’Epl in grado di operare in modo interforze, requisito essenziale per combattere le guerre di oggi. Ciò non toglie che vi siano anche risvolti politici interni. Decisivo per la conquista del potere nel 1949, l’Epl ha sempre rappresentato una base di potere cruciale per i leader comunisti. Come diceva Mao, “il potere politico nasce dalla canna del fucile”. Così, la riforma della struttura di comando è stata promossa da Xi anche per consolidare il proprio potere interno, in particolare rafforzando le funzioni di comando e controllo della Commissione militare centrale da lui stesso presieduta. Consolidando il proprio potere all’interno dell’Epl, Xi ha consolidato anche il proprio potere all’interno del Partito».
Non solo. Durante il mandato Xi, l’esercito cinese ha aggiornato e costruito molte più piattaforme e ha migliorato la sua capacità di capitalizzare l’innovazione del settore privato, la “fusione militare-civile”. I risultati non hanno tardato a materializzarsi. Pechino ha prodotto «la più grande forza di combattimento navale del mondo, in grado di operare lontano, grazie anche alla prima base militare estera a Gibuti». Ha fatto progressi negli aerei stealth e nelle armi ipersoniche e ha trasformato vaste aree dei suoi deserti interni in campi di silos missilistici. Come rivelato dal Pentagono nel rapporto China Military Power, a metà del 2024 Pechino disponeva di almeno 600 testate operative. E si stima che ne avrà più di 1.000 entro il 2030. Gli Usa ne mantengono circa 1.550.
Non si può però ignorare un “paradosso”. Lo spiega Dossi: «Il rapporto della Cina contemporanea con la guerra presenta una singolare dicotomia: la Repubblica popolare è stata frequentemente e intensamente coinvolta in guerre nei suoi primi trent’anni di vita, ma non ha più combattuto guerre dopo quella contro il Vietnam del 1979 e i suoi strascichi negli anni Ottanta. L’Epl non combatte una guerra da 40 anni e questo non può non avere conseguenze sul suo livello di preparazione, a maggior ragione se teniamo conto delle straordinarie trasformazioni che la guerra ha attraversato in questi quattro decenni, dal punto di vista tecnologico ma non solo. L’Epl ne ha acquisito un’esperienza indiretta per altre vie: per esempio attraverso la partecipazione a operazioni di peacekeeping Onu. Ma indubbiamente questo resta un elemento di forte svantaggio rispetto alle forze armate di altre potenze, in particolare Usa e Russia, che in questi decenni sono state costantemente impegnate sul campo di battaglia».
È in questa prospettiva che va analizzata la crescita dell’Elp. Così come si è enormemente dilatata la proiezione economica cinese, allo stesso tempo si sono “gonfiati” i compiti a cui è chiamata la sua macchina militare. Dossi: «Nella retorica ufficiale l’Epl viene tuttora rappresentato con la metafora di una “grande muraglia d’acciaio”, in uso sin dalle origini della Repubblica popolare. Il significato di questa metafora è però cambiato: non si fa più riferimento alla sola protezione del territorio nazionale, in una logica di difesa territoriale, ma alla difesa di interessi nazionali ovunque questi siano localizzati. Con l’integrazione della Cina nella rete delle interdipendenze economiche globali, sono cresciuti i suoi interessi all’estero: dall’approvvigionamento di materie prime, alla sicurezza delle vie di comunicazione marittima globali, sino alla protezione delle comunità cinesi all’estero in contesti politici instabili».
Il dossier più caldo resta quello di Taiwan, l’“isola ribelle” che Pechino considera come «parte inalienabile del territorio cinese». Fino a dove la Cina potrebbe spingersi per chiudere la questione? Fino al punto di sfidare la “protezione” Usa? Gli esperti non hanno dubbi. Gli equilibri militari nella regione sono profondamente cambianti. A favore di Pechino. Se 30 anni fa l’esercito cinese poteva solo intimidire Taiwan, oggi la massiccia dimostrazione di potenza esibita nelle acque attorno a Taiwan ha rivelato come sia perfettamente in grado di lanciare una serie di operazioni su larga scala, tra cui un’invasione, una campagna di attacchi missilistici o un blocco navale.
Conclude Dossi: «L’Asia orientale marittima è la vera linea di faglia della competizione tra Cina e Usa. Qui Pechino ha interessi nazionali cruciali, a partire proprio da Taiwan, particolarmente sensibile per Pechino anche per ragioni di legittimità interna. In questa stessa regione, e non in Europa né in Medio Oriente, gli Stati Uniti si giocano il futuro della propria egemonia globale. Uno scontro diretto tra Cina e Stati Uniti avrebbe implicazioni sistemiche di gran lunga superiori rispetto a quelle della guerra in Ucraina. Il vero rischio è appunto questo: che una scintilla nei mari dell’Asia orientale possa innescare un conflitto potenzialmente generale, tale da travolgere l’intero sistema».