La Stampa, 1 marzo 2025
Casa Bianca, il retroscena: Zelensky ha aspettato un’ora sperando di riprendere l’incontro con Trump
«Si è vestito elegante» dice Trump quando Zelensky scende dall’auto ferma davanti all’ingresso della West Wing. Donald fa il pugno, nessuna battuta ai reporter che si accalcano da oltre un’ora per uno scatto iconico. L’aria è tesa da subito, Zelensky arriva in ritardo, Trump ironizza sul suo abbigliamento, appena più formale (una polo con tre bottoni), della maglietta verde militare e stemma ucraino mostrata quando arrivò qui nel dicembre del 2022. C’era Biden al suo fianco. Sembra un secolo, l’elezione che ha mescolato le carte della storia dista appena 4 mesi.
I reporter pigolano e si muovono in cerca di ogni dettaglio, frase, smorfia.
Poi il pool che ha accesso allo Studio Ovale inizia a riversare ai colleghi che stanno oltre la parete i contenuti di quel che il leader del mondo libero e il leader del Paese che da tre anni combatte contro l’aggressore russo si stanno dicendo. Zelensky è pallido, il volto scavato, sta seduto sulla poltroncina gialla senza dar l’idea di essere a suo agio, prova a camuffare l’insofferenza prima incrociando le braccia, poi appoggiando la schiena, poi ancora muovendo la testa, gli occhi. Noteranno perfidi blogger, influencer, reporter più trumpiani dell’originale, che non si fa così nello Studio Ovale. Un giornalista, assai vicino a Trump, chiede: «Perché non ha messo un vestito? questo è lo Studio Ovale». Zelensky ribatte che lo farà quando la guerra sarà finita e allora ne comprerà uno magari più bello di quello del giornalista. Il clima è questo, la tenzone in arrivo.
L’atteggiamento non piace nemmeno ai funzionari Usa. Confessa uno a La Stampa, che le braccia conserte proprio non si possono vedere dinanzi al presidente.
L’agenda di Zelensky è fitta, incontro con i senatori in albergo – sono sorrisi e strette di mano da clima da rimpatriata – poi appunto la Casa Bianca.
Doveva seguire un intervento all’Hudson Institute. Salta dopo che l’incontro con Trump è schizzato nelle pagine di storia.
Poteva andare male, non così male, vocifera un delegato ucraino. Lo scontro con Trump aizzato quasi dal suo vice J.D. Vance è epocale, una sfida muscolare che lascia di stucco anche i reporter abituati agli show trumpiani, non ai toni della voce che si alzano nel più celebre ufficio del pianeta.
Lo scambio dura 50 minuti, al 40esimo la situazione degenera. Zelensky pigia sulle garanzie di sicurezza e lo fa ricordando la presa della Crimea nel 2014, cita i presidenti Obama, Trump e Biden sottolineando che la diplomazia ha bisogno di qualcosa che – non dice la parola – funga da deterrenza. Si rivolge a Vance, “JD, qual è la diplomazia?”.
È l’inizio della fine, il vicepresidente agguanta la preda, definisce irrispettoso il comportamento di Zelensky nello Studio Ovale e davanti ai media americani, gli ricorda che non ha forze a sufficienza per vincere la guerra, lo accusa di essere andato a fare propaganda elettorale per i democratici visitando una fabbrica di munizioni a Scranton – città di Biden. Zelensky incassa, poi prova a replicare, sei mai stato JD in Ucraina? Chiede. Ho letto i report, in pratica gli risponde il vicepresidente venuto dall’Ohio che da due anni guida il fronte scettico verso l’Ucraina fra i repubblicani. «Stiamo prevenendo la distruzione del tuo Paese», ribatte Vance. E Zelensky: «Voi avete un bell’Oceano che vi separa, ma i problemi li sentirete in futuro…” Donald interviene: «Non permetterti di dirci cosa sentiamo, non sei nella posizione di dircelo. Il presidente alza la voce e infila un trittico di affermazioni che in un colpo solo affossano dialogo e con esso l’accordo sui minerali. “Stai giocando d’azzardo con la terza guerra mondiale»; «Non hai carte in mano, quello che stai facendo è irrispettoso nei confronti dell’America». «Il tuo Paese è nei guai». «Se non fosse per le armi americane». E giù l’elenco dei 350 miliardi spesi (non è vero i soldi sono 183 miliardi più 20 tramite il G7) e il paragone con Obama: «Io vi ho dato i Javelin, lui cartacce».
La difesa di Zelensky, «siamo da soli sin dal principio ma grazie per il sostegno» si perde fra l’incredulità dei reporter e Trump che chiude tutto con l’aut aut: «O sei qui per firmare l’accordo o sei fuori».
L’accordo sulle terre rare non viene firmato, il cibo del pranzo (non consumato) lo mangiano gli assistenti del press office, scherza ma non troppo Karoline Leavitt, portavoce del presidente.
Dopo lo scontro, gli ucraini sono accompagnati in una sala, da un’altra parte Donald parla con Bessent (segretario al Tesoro) Vance, Waltz e Rubio. Gli ucraini provano il reset, con un cancelliamo quel che è accaduto. Le immagini della ambasciatrice Markharova, mani a coprirsi il viso, raccontano tre anni di lobbying e di lavoro andato in fumo. Laddove c’era l’abbraccio di Nancy Pelosi, oggi c’è il ghigno di Vance.
La delegazione quasi supplica gli americani di continuare. Il danno però è fatto, Trump con i consiglieri decide che «Zelensky non era qui per negoziare», riferisce Kaitlan Collins, nello Studio Ovale per la CNN. Tocca ai volti “gentili” dell’Amministrazione dire a Zelensky di andarsene. Rubio, segretario di Stato, e Mike Waltz, consigliere per la Sicurezza nazionale, accompagnano la delegazione – nemmeno troppo metaforicamente – sull’uscio.
La visita dura 2 ore e 20 minuti. Trump, mentre ancora il presidente ucraino è nella West Wing, diffonde un comunicato che dice che lui vuole la pace e non sta né da una parte né dall’altra, ma Zelensky «ho capito non è pronto per la pace». Chiude con un invito: «Torni qui quando sarà pronto».
Zelensky cancella poi gli eventi, niente discorso all’Hudson Institute e sino a ieri sera era in forse anche l’incontro con la comunità ucraina. Posta un messaggio sui social: “Grazie America, grazie per il tuo supporto, per questa visita. Grazie Potus, Congresso e americani. L’ucraina ha bisogno di una pace giusta e duratura e lavoreremo per questo”.
Lindsey Graham, senatore repubblicano, non crede sarà più Zelensky a portare la fiaccola ucraina: «Quanto successo gli costerà la presidenza» dice. Poi aggiunge: «L’ho incontrato ieri sera, gli ho detto non abboccare all’esca». Il vecchio Lindsey, amico fraterno di John McCain, conosce bene Trump.