La Stampa, 1 marzo 2025
Dazi, bollette e crisi tedesche, le imprese del Nord in trappola: “Situazione grave”
Siamo preoccupati». Mariano Costamagna, l’uomo che da un garage con vista Langhe ha fondato il colosso degli impianti a gas Fuel System, oggi quotato al Nasdaq, risponde al telefono da un taxi. «Parliamo di caro-bollette, ma in realtà non sono mai scese davvero e rischiano di metterci fuori gioco rispetto al resto del mondo. E poi ci sono i dazi di Trump. Però abbiamo fantasia, creatività e dobbiamo inventarci nuovi processi. Nonostante tutto – dice l’industriale che da un anno guida la Confindustria di Cuneo – riusciamo sempre a tirarci fuori». Nel Piemonte che produce, la crisi ha iniziato a picchiare mesi fa: la sbandata clamorosa della Germania che fa bruciare il 9% di export, la fiammata dell’energia. Adesso, dietro l’angolo, ci sono le barriere commerciali alzate da The Donald. «Sono sanzioni, a tutti gli effetti – prosegue-. Ma il cliente americano ama i nostri prodotti ed è attento: se lavoriamo bene sul made in Italy, possiamo convincerlo a spendere quell’euro in più».
L’anno, a Nord-Ovest, è iniziato all’insegna dell’incertezza e la ricerca della Confindustria piemontese, che misura la fiducia, è una sorta di bollettino di guerra. Produzione -4,6%, nuovi ordini giù del 6%, affari con l’estero in picchiata: -9 per cento. Nei territori dove la parola d’ordine è «esageruma nen», i toni restano bassi. Semmai, si comincia a rivedere le strategie, ad anticipare lo tsunami riempiendo le stive delle navi per alimentare i magazzini degli americani prima che scatti la stangata. «Con dazi più pesanti, potremmo produrre di più là e un po’ meno qui», ragiona Giancesare Drocco, 54 anni, direttore generale della cuneese Abet Laminati, 240 milioni di fatturato l’anno, con una sede a Milwaukee. Dallo stabilimento di None, nel Torinese, il dg di Domori, Gianluca Ferrauto, disegna un quadro complicato: «Il momento per il mondo del cioccolato è difficile. L’aumento dell’energia impatta su tutto il ciclo produttivo e si somma al rincaro del cacao, che ci fa disperare da un anno. Le vendite non si sono ancora contratte, ma ho paura che a un certo punto il consumatore si accorgerà che presto pagherà due euro una tavoletta che ne costava uno». E l’America del tycoon? «Stiamo alla finestra». Conferma: ci sono aziende piemontesi che hanno già fatto «partire i container anticipando l’introduzione dei dazi, però noi su questo abbiamo le mani legate. Anche se, ribadisco, per il nostro settore il problema più grosso è quello delle fave di cacao, che sono aumentate fino al 500%».
Tre crisi, quattro. Viste dai capannoni, si mescolano tutte. Qui si stringono i denti. C’è chi il Recovery se l’è fatto in casa. «Gli investimenti privati anche nel 2025 rappresentano la migliore politica industriale possibile. Soprattutto per le Pmi» ragiona Andrea Amalberto, astigiano, amministratore unico di Ela, che da un anno presiede la Confindustria del territorio. Vero, gli investimenti crescono, ma il tasso di utilizzo degli impianti è rimasto invariato. E, certifica l’Unione Industriale di Torino, aumenta il ricorso alla cassa integrazione, specie nel manifatturiero. Mentre, tristemente, crescono le imprese che segnalano ritardi negli incassi e quelle con un carnet ordini inferiore rispetto al mese precedente. «Sono preoccupato. Siamo di fronte a quello che in gergo militare potremmo chiamare “fuoco amico”», ragiona Nicola Scarlatelli, titolare della Samec e presidente della Cna Piemonte, beffato da un decreto «per alleggerire le bollette» che «esclude la platea delle micro imprese».
Se i grandi reggono, anche in un panorama di «crescita zero», i piccoli tremano e fanno i conti: tra le realtà con meno di 50 dipendenti, l’indice di fiducia sulla produzione è a -6,2%, mentre tra quelle con 50 o più addetti si attesta a -0,8%. A soffrire sono soprattutto le province di Vercelli, Biella, Alessandria e Novara.
«La situazione è grave», dice il presidente di Confartigianato Torino, Dino De Santis. Per spiegarsi, fa l’esempio di un’azienda della meccanica con una potenza disponibile di 64 kW: se a gennaio 2021 pagava in bolletta 0,171 €/kWh, nel gennaio 2025 il costo è salito a 0,299 €/kWh, una tariffa quasi raddoppiata. Altro esempio, su un’azienda del settore legno con 56,3 kW di potenza: da 0,221 €/kWh del gennaio 2021 a 0,435 €/kWh del gennaio 2025, con un’incidenza più che doppia.
«Siamo entrati in un’epoca in cui l’energia a basso costo non esiste più, perché la domanda cresce in modo pazzesco», sintetizza Beppe Russo, direttore del Centro Einaudi. «La situazione sta iniziando a fare dei movimenti simili a quelli del 2021. Ci siamo già passati una volta, bisogna agire, il consumo energetico è destinato ad aumentare. E nel frattempo iniziare a costruire il futuro che passa anche dal nuovo nucleare verde e dall’idrogeno. Ma bisogna partire oggi», spiega Marco Gay, numero uno dell’Unione Industriale. Il presidente esecutivo di Zest, il gruppo nato nel 2024 dalla fusione tra Digital Magics e LVenture Group, è consapevole che «nelle ultime settimane le incertezze stanno aumentando, il momento è buio. Ma abbiamo un Pil di 78 miliardi, Torino è la seconda provincia del Nord Italia, e nelle discontinuità abbiamo sempre saputo reagire».
Per quanto riguarda le tariffe, dice, «non voglio credere che lo scopo degli Stati Uniti sia indebolirci». Di sicuro, ammette, sono tutti sotto stress: automotive, chimica, gioielleria, moda. «La parola chiave è fare industria, nel senso più nobile del termine: noi ce l’abbiamo nel Dna. Non voglio scomodare Draghi, ma lo ha detto benissimo: serve un piano d’investimento comune». In questo momento, «è cruciale trovare un equilibrio, puntando su politiche che incentivino la competitività e favoriscano accordi commerciali internazionali più equi» ragiona Fabio Rossello, ad della Paglieri.
Lo sguardo, per forza di cose, va allargato oltre i confini. Sotto la Mole, nei giorni scorsi, si sono affacciati i cinesi di Byd auto, e c’era la fila. «Noi abbiamo una filiera della componentistica straordinaria, le opportunità devono essere valutate e accolte, ma bisogna avere sempre chiaro che l’interesse è lo sviluppo del territorio. Attenti a pensare di fermare le politiche sugli investimenti, sperando che qualcuno ci faccia gli ordini – avvisa Gay-. La Cina, dal 2008 al 2023, ha investito 241 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti lo fanno da sempre. L’Europa sta regolamentando. È arrivato il momento di tirare fuori il coraggio».
Anche se, dice Russo, sulle tariffe «c’è ancora tempo per negoziare un accordo commerciale. L’annuncio delle tariffe ha già rafforzato il dollaro. A lungo termine, fanno più male a chi le impone che a chi le subisce». E il made in Piemonte? «I nostri prodotti sono trasformati, e i dazi si sentono meno. Semmai potremo avere un calo di domanda sui beni discrezionali, come il vino o i dolci, con riduzioni del 20-30%. Per il lusso, come Valenza, i cali potrebbero essere molto bassi. E lo stesso vale per la meccanica altamente specializzata, che spesso non ha concorrenti».