La Stampa, 1 marzo 2025
Intervista a Maria Chiara Giannetta
A Genova c’è vento e fa freddo. Maria Chiara Giannetta è sul set di Blanca 3 e, in un momento di pausa, tra uno spuntino e il cambio di scena ci travolge con tutta la sua energia. “Mangio dei wafer ma ho anche cioccolata al 90%, semini e cose sostanziose che distribuisco ai colleghi”. È una sorta di rito delle trasferte per lei, amante di cibo, vino (un suo sogno è diventare sommelier), recitazione e lettura: “Ora sto leggendo Niente di vero di Veronica Raimo, lo consiglio”. Per l’attrice, 32 anni, nata a Foggia e romana di adozione, il 2025 è un anno d’oro: sarà protagonista a marzo del film Muori di lei di Stefano Sardo e in autunno di tre serie tv. Intanto è nelle sale con FolleMente di Paolo Genovese, commedia romantica che racconta un primo appuntamento attraverso i pensieri dei protagonisti.
Lei è Scheggia nel film. Cosa rappresenta?
«È la nostra incoerenza, una delle personalità più imprevedibili: irrequieta, soggetta all’ansia, ai dubbi e alla paura. È l’emozione che si tira indietro quando c’è da uscire da una comfort zone».
Quanto c’è di Scheggia in lei?
«Dopo questo film ho capito che ce n’è tanta anche se sono più razionale ed estrosa. Prima di andare in terapia tendevo a farmi mangiare dalla sua parte anarchica e meno solare. Invece, lavorando su di me, è come avessi portato la Scheggia ombrosa al suo opposto».
L’arma vincente è l’ironia?
«Essere ironici, autoironici e non prendersi sul serio è fondamentale sia nel lavoro che nella vita. Trasmetterla agli altri è una sorta di missione per me».
Per amore ha fatto follie?
«Una volta ho fatto un viaggio di neanche 24 ore da Spoleto alla Sicilia pur di vedere la persona che mi mancava. Vere follie non ho mai avuto il bisogno di farle. Mi sono sempre trovata davanti ad amori naturali, mai forzati. Il primo pensiero che ti viene in mente è quello giusto, spegni il cervello e vai».
Lei è così?
«Crescendo ho capito che non devo far finta di essere un’altra persona. Purtroppo, non è semplice, soprattutto per i più giovani. A volte per protezione, altre perché si sentono in dovere di dimostrare per forza qualcosa che non gli appartiene. Ma si deve essere onesti con sé stessi, tralasciando il timore del giudizio».
Il suo primo appuntamento d’amore importante se lo ricorda?
«Al cinema. Vidi tutto il film con le farfalle nello stomaco e, alla fine, avevo quell’imbarazzo nel non sapere cosa dire per sembrare simpatica o intelligente. Ero insicura. I ricordi più belli sono i primi appuntamenti in cui non mi importava di come dovessi apparire».
E quello con il suo compagno, il regista Davide Marengo?
«Stiamo insieme da quasi 8 anni. Con lui è stata una delle volte in cui non me ne fregava niente ed è stata la carta vincente che ci ha fatto innamorare. Lui è più grande, con più esperienza, e non doveva dimostrare niente a nessuno. Io ero già matura, nessuna paura nel dirgli cosa pensassi. Non è stato un colpo di fulmine ma una conoscenza nel tempo».
Quando ha capito che voleva fare questo mestiere?
«Da bambina non amavo fare sport, guardavo tanti film e serie tv, coinvolgevo le mie sorelle e mio fratello nel preparare degli spettacoli a casa e gli spettatori erano i nostri genitori. Ma, la recitazione è venuta per caso. Mia mamma a 14 anni mi ha detto: “A Maria Chià stai tutto il giorno a casa ma devi fare qualcosa”. Così mi sono iscritta al Teatro dei Limoni di Foggia. Recitavo, stavo alla biglietteria se c’era bisogno. Piano piano è diventato casa mia. Da adolescente non sapevo dove mettere le mie energie. Il teatro è stato un’enorme libertà emotiva: non mi vergognavo e potevo essere me stessa. A 19 anni ho fatto il provino al Centro Sperimentale di cinematografia di Roma, mi hanno presa e mi sono trasferita».
I suoi genitori cos’hanno detto?
«Mi hanno sempre appoggiata in tutto. Mamma è infermiera, papà informatico. Siamo una famiglia molto unita e lasciare casa è stato un momento molto commovente. Si sono fidati di me».
L’esordio con “Don Matteo”?
«Ho recitato in una puntata in Don Matteo 9. Poi sono rientrata nel cast come personaggio fisso nel 2011 come prima donna capitano. Il pm era interpretato da Maurizio Lastrico e sul set è nata un’amicizia straordinaria. Lui e Nino Frassica mi hanno insegnato cose che nessuna scuola avrebbe potuto fare».
La fama vera e propria con Blanca.
«Con Blanca ho preso una forma di infantilità che avevo mia e l’ho messa in un corpo con una disabilità che non conoscevo. Un lavoro stimolante con persone che continuano ad affiancarmi, ragazzi ciechi, ognuno dei quali mi ha dato qualcosa. A casa mi esercitavo, cucinavo, mi muovevo bendata per capire gli spazi. Grazie a lei ho scoperto di avere tanti limiti e mi ha aiutato a superarli».
Il 20 marzo torna nelle sale con Muori di lei. Il suo personaggio?
«Interpreto Sara, un medico, moglie di Riccardo Scamarcio, che lavora in ospedale al tempo del Covid. Mi sono ispirata a mia mamma, infermiera, che in quel tragico periodo, mentre noi eravamo tutti preoccupati per lei, ci diceva con una calma serafica che era la sua chiamata, che il suo lavoro è una vocazione. Nel film ho cercato di riportare tutto quello che lei mi ha insegnato».
Del suo carattere cosa le piace?
«Vedo sempre il bicchiere mezzo pieno, sento tanta energia e la vorrei portare a livelli alti anche se, a volte, rischio di esagerare».
Difetti?
«Mi dico sempre che sono molto fessa. Per indole sono super disponibile, accondiscendente ma devo imparare a dire più No. Fare le cose che voglio, senza pensare a quello che pensa la gente. Ci lavoro e mi aiuta molto l’autoanalisi che faccio quando vado in terapia».
Quando ha iniziato?
«Nel 2019. Ero finita in un loop: distruggevo e ricostruivo, facevo sempre gli stessi errori, ma ho capito che il problema ero io. La terapia mi ha aiutata a superare insicurezze, la paura di non farcela, ad accettare le delusioni e i No ai provini. Inutile far finta di niente. Se ci sto male, piango ma vado avanti».
Collabora con la Fondazione Una, Nessuna, Centomila, che fa prevenzione della violenza di genere. Cosa l’ha spinta?
«Sono entrata nell’associazione in concomitanza con l’uscita del film “C’è ancora domani”. Ho sentito il bisogno di dare una mano su quello che riguarda la formazione dell’educazione sentimentale e sessuale partendo dai più piccoli perché sono loro il futuro. Siamo una società ancora patriarcale? Purtroppo, si. Per cambiare le cose bisogna partire da loro».