La Stampa, 1 marzo 2025
Lollobrigida: “Le sanzioni ci danneggiano, bisogna trovare altri strumenti”
I trattori, adornati di bandierine tricolore e cartelli contro il governo, inseguono il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida nella Maremma toscana. Si fanno prima trovare a Grosseto, poi lo aspettano a Saturnia, dove il ministro di Fratelli d’Italia è ospite del «Forum in Masseria». Ma non è questo che preoccupa Lollobrigida. «Una protesta residuale, le associazioni sono con noi», dice. Ben altro problema sono i dazi con cui Donald Trump minaccia l’Europa, se è vero che i due settori trainanti dell’export italiano sono quello alimentare e quello del vino, e «la risposta dovrà essere europea». Ma quegli stessi settori, per Lollobrigida, vanno difesi anche dall’Ue, perché «non c’è nessun dazio che possa produrre danni equiparabili a quelli che fanno alcune politiche comunitarie».
Sono giorni in cui gli equilibri mondiali vacillano e le linee politiche prendono strade tortuose. La questione ucraina ne offre un esempio plastico. Lollobrigida offre una premessa netta: «Siamo senza se e senza ma al fianco del popolo ucraino, contro l’imperialismo sovietico». Ma ora che si inizia a parlare di pace, alcune posizioni, come quella sulle sanzioni contro la Russia, iniziano ad ammorbidirsi: «Una sanzione ha effetto se danneggia l’altro più di quanto danneggia il tuo sistema produttivo. L’unica analisi da fare – dice – è questa: se arrecano più danni che benefici, si devono trovare altri strumenti commerciali con cui incidere, magari in altri settori». Lollobrigida si riferisce, ovviamente, al suo settore di competenza, non ad altri. Fa l’esempio dei fertilizzanti: «I nostri agricoltori non hanno più fertilizzanti a basso costo. E diminuendo la produzione in Europa, rischiamo di importare fertilizzanti da altre nazioni che li comprano ancora, a prezzi stracciati, da Russia e Bielorussia». Il tema, se si aprirà un negoziato di pace, tornerà sul tavolo.
Il trumpismo del ministro dell’Agricoltura non gli impedisce di esprimere poi il suo «completo dissenso con le politiche di chiusura del mercato». La risposta a eventuali dazi, lo sottolinea più volte, «non deve essere quella di una guerra commerciale, ma diplomatica, e dovrà essere europea». Mettere le trattative in mano all’Unione «è la soluzione migliore». E la strada da percorrere, dal suo punto di vista, è chiara: «L’Ue deve costruire una piattaforma di contrattazione con gli Usa, provando a tutelare gli interessi collettivi europei e, all’interno di questi, gli interessi dei singoli Paesi». Solo nel caso in cui Trump dovesse decidere di applicare dazi selettivi, allora «gli italiani non dovrebbero essere preoccupati, perché il nostro rapporto privilegiato con gli Usa potrebbe metterci al riparo». Ma la base di partenza di qualunque ragionamento è che «senza Europa noi siamo più deboli e, al tempo stesso, l’Italia per l’Ue è imprescindibile».
L’impressione, però, è che al fianco di questa convinta via diplomatica europea, ci sia altrettanta sfiducia nell’effettiva capacità di reazione di Bruxelles. «Competiamo con nazioni che hanno leadership, a Est e a Ovest, che si alzano la mattina e danno un indirizzo politico, mentre noi in Europa ci mettiamo troppo tempo per decidere qualunque cosa». E oltre a un problema di reattività, ce n’è anche uno di linea politica: «Dobbiamo iniziare a proteggerci soprattutto da noi stessi, dalla burocrazia e dalle troppe regole». Sostiene che tutti abbiano «il dovere, nel proprio ruolo, di cercare di interloquire con un leader strategico come gli Stati Uniti», e di farlo «per aiutare l’Europa».
Non ci sono seconde opzioni: «Dobbiamo essere uniti, è nell’interesse di tutti». Questo, aggiunge, «non significa cancellare gli interessi dei singoli». E prima di lasciare Saturnia e l’evento organizzato da Bruno Vespa e Comin&Partners, ricorda «le stupide polemiche» su Meloni quando si è recata in visita da Trump. «Poi l’altro giorno c’erano il presidente francese, il premier inglese, ora quello tedesco: ognuno parla con gli Usa, com’è normale che sia». Poi però, sottolinea un ultima volta, «deve parlarci anche l’Europa».