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 2025  marzo 01 Sabato calendario

Zelensky-Trump, l’Ucraina al fianco del suo presidente: “Il mondo contro di noi”

Donald Trump da un lato, Volodymir Zelensky dall’altro. Seduti nello Studio Ovale della Casa Bianca, le immagini del duro confronto tra i due leader hanno fatto rapidamente il giro del mondo, insieme alla notizia che la firma sull’accordo sulle cosiddette terre rare è clamorosamente saltata. «C’è un presidente che ha mancato di rispetto all’America. E non è Zelensky»: è pesantissimo l’editoriale del Kyiv Independent, tra le principali voci del giornalismo ucraino, che all’indomani del vertice di Washington tuona lapidario contro Trump il suo vice Vance. L’accusa è di aver cambiato schieramento in modo repentino, umiliando «il presidente di un’Ucraina malconcia, vittima della peggiore invasione del ventunesimo secolo», rendendolo «il primo leader mondiale della storia a essere cacciato dalla Casa Bianca».
Dopo le parole del tycoon, la promessa di pace a stelle e strisce nei confronti di Kiev sembra vacillare agli occhi dell’opinione pubblica ucraina. «Trump e Vance colpiranno Vladimir Putin con lo stesso atteggiamento che hanno mostrato verso Zelensky e rimprovereranno il leader russo per aver attaccato l’Ucraina?», è il quesito – fortemente retorico – che termina l’intervento sulle colonne del quotidiano. Che però, a ben guardare, non è stato l’unico a prendere le difese del presidente ucraino condannando gli atteggiamenti e le dichiarazioni dei massimi esponenti dell’amministrazione Usa.
Sui principali canali d’informazione e sulle piattaforme social, soprattutto Instagram e Telegram, sono ricomparsi decine di post con la bandiera gialle e blu, simbolo dell’Ucraina che da tre anni convive col dramma dell’invasione russa. «Questo è il prezzo da pagare per la libertà», si legge sotto un video che mostra i memoriali dei caduti in piazza Maidan, luogo diventato un simbolo nazionale e dove campeggia il monumento all’Indipendenza.
Il Kyiv Post, un’altra influente testata con sede nella capitale ucraina, ha ricondiviso sui suoi canali social le immagini della Cnn e il conteggio dei «grazie» rivolti da Zelensky al presidente americano durante i venti minuti di colloquio nello Studio Ovale: trentatré per l’esattezza, un dato che smonta l’accusa di «ingratitudine» mossa dallo stesso Trump.
Su Telegram, poi, è rimbalzata l’immagine che mette a confronto i due presidenti, Zelensky a sinistra e Trump a destra, intenti a discutere con una mimica ed una posa che richiama una celebre fotografia in cui Mel Gibson è ritratto in camicia e t-shirt al fianco di Jim Caviezel, totalmente insanguinato e con il capo cinto dalla corona di spine durante le riprese de “La passione di Cristo”. Un accostamento forte e dal significato evidente, che amplifica al massimo la percezione del dramma a cui è sottoposta l’Ucraina donandole una sfumatura quasi divina.
Paragoni a parte, è indubbio che nei giorni in cui si è celebrato il terzo anniversario dallo scoppio del conflitto sul fronte orientale, l’Ucraina si sia stretta attorno alla sua memoria collettiva e al ricordo delle oltre 100mila vittime, militari e civili, da quando è cominciata l’invasione nel Donbass. Una rinnovata unità d’intenti e di spirito sembra ora aleggiare su Kiev, dopo mesi difficili in cui il perdurare delle ostilità e la continua esposizione agli attacchi russi hanno minato la tenuta della popolazione e dell’esercito, rendendo necessarie azioni di reclutamento anche al di fuori dei confini nazionali come testimoniato dal tentativo di organizzare una legione di ucraini in Polonia.
Ieri sera, dopo l’incontro alla Casa Bianca, in moltissimi si sono radunati lungo le strade di Kiev per manifestare il proprio supporto a Zelensky e per affermare ai media locali e internazionali il rifiuto ad arrendersi alle pretese della Russia: «Sembra che il mondo intero sia contro di noi», ha affermato Kateryna, 25 anni. Negli ultimi giorni Donald Trump aveva criticato Zelensky per non aver indetto nuove elezioni, sia pure in un contesto di guerra, non esitando a dichiararlo un «dittatore».
Un termine forte che ha innescato varie ondate di indignazione popolare e persino la presa di posizione dell’opposizione all’attuale presidente ucraino: «Potremmo avere opinioni diverse, ma solo i cittadini ucraini hanno il diritto di giudicare il suo sostegno e di criticarlo pubblicamente, perché, alla fine, è il nostro leader eletto», ha affermato Yaroslav Zhelezniak, esponente del partito di opposizione Holos.
L’incontro, o per meglio dire, lo scontro di venerdì a Washington aveva come obiettivo quello di appianare i rapporti personali fra Trump e Zelensky, già molto tesi, portando i due leader alla firma del mineral deal, un accordo per la messa in condivisione dei profitti derivanti dai giacimenti delle cosiddette “terre rare” e altre materie prime dell’Ucraina con gli Stati Uniti.
I toni fin da subito sopra le righe e il reciproco scambio di accuse tra i due presidenti, con Trump spalleggiato dal suo vice Vance, ha reso però l’atmosfera incandescente fino alla cacciata di Zelensky, facendo saltare così la firma e rinviando la distensione del conflitto nuovamente a data da destinarsi.
E, come sempre accade, nell’attesa di una soluzione, a pagare il prezzo più alto è ancora la popolazione civile esposta al fuoco incrociato degli attacchi: cinque vittime e oltre trenta feriti nella notte a cavallo fra il 28 febbraio e il 1° marzo, con 154 droni Shahed sganciati dalla Russia verso le regioni di Donetsk, Odessa, Zaporizhzhia, Kherson, Sumy e Chernihiv, che hanno provocato danni ad abitazioni e infrastrutture come nel caso dell’ospedale di Kharkiv.