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 2025  marzo 01 Sabato calendario

Intervista a Johnson Righeira

Johnson Righeira, e se non avessimo capito niente delle vostre canzoni? Sembravano solo tormentoni, invece c’è dentro un universo. Neanche tanto allegro.
“In effetti siamo stati incompresi per moltissimo tempo, e io ne ho sofferto. L’estate sta finendo è piena di cose perdute, Vamos a la Playa racconta tempeste nucleari. Eravamo avanti, nel futuro. Me ne accorgo quando mi riascolto”.
L’abbiamo rivista a Sanremo con quel capolavoro rivisitato. Forse l’estate non finisce mai.
“Il passato serve per pensare cose nuove. Io sono felice del mio, però non voglio fermarmi lì. Gli anni ‘80 della musica sono sempre presenti, ma il mio gusto va contaminato da chi ama quel tempo e non c’era, altrimenti scriviamo repliche”.
È il motivo per cui, al Festival, lei si è esibito con i Coma_Cose?
“Sì, e non escludo che si facciano cose insieme. Per anticipare, se possibile”.
Cominciamo dall’immaginario futurista e pop dei Righeira.
“Un brano che forse pochi ricordano, 3D, parla appunto di un futurista senza tregua con una watch-tv al polso e occhialini tridimensionali per vedere, almeno lì, la sua donna. Abbiamo cantato di clonazioni e di auto volanti: ecco, quasi tutto si è avverato”.
Radio Universal a Settimo Torinese: le dice niente?
"Lì imparai il punk, mi prese una svirgola che non è mai passata per via di un amico che comprava tonnellate di 45 giri in Inghilterra, per corrispondenza”.
E conobbe Michael, l’altro Righeira. Come andò?
“Al liceo Scientifico Einstein, inseparabili da subito. Noi due siamo stati dei classici, ma perché lo si capisse c’è voluto un sacco di tempo. Eravamo quelli dei tormentoni, delle canzonette, invece Vamos a la Playa racconta scenari inquietanti. E l’originale era persino più cupa, più triste, però i nostri produttori, i Fratelli La Bionda, intervennero in tempo. In quella canzone non si va mica a Rimini, è La Strada di McCarthy, non un cinepanettone”.
Come spiega la durata di certe vostre musiche? Basta ascoltarle pochi secondi: restano irresistibili.
“Le cose belle non scadono e non invecchiano. Le stroncature mi facevano male, magari le leggevo sulle riviste di musica che avevo venerato: i La Bionda ridevano, noi invece eravamo primi in classifica e ci giravano le scatole”.
Quanti soldi ha guadagnato?
"Tanti, e tanti li ho buttati via. Però non mi sono mai comprato una collana da 70 mila euro”.

Ci racconti una sperperata leggendaria.
“Ero in Romagna, avevo fatto notte, e il giorno dopo dovevo andare a Salerno per un concerto. Ovviamente non avevo sentito la sveglia, era quasi pomeriggio e dovevo partire: così, presi un taxi a Riccione. Vidi il tassametro fare il giro completo e superare il milione di lire. Alla fine, il tassista mi fece lo sconto: 900 mila lire, che tra l’altro neppure avevo in tasca. Li chiesi in prestito a Michael, gli venne un colpo. Ma ammetto che arrivare sotto il palco a bordo di un taxi bianco, sebbene in ritardo, fece la sua figura”.
Altro che post-atomico.
"Il vero post-atomico è stato il pre-atomico dell’umanità senza cellulari: se almeno ne avessi avuto uno, quella volta, per avvertire che stavo arrivando…”.
George Best era fiero dei denari sprecati. E lei?
"Io sono orgoglioso di avere guadagnato senza rubare niente e senza licenziare nessuno, regalando qualche momento di piacere a tanta gente. A volte qualcuno mi dice che siamo stati la colonna sonora di momenti d’amore, e allora penso che sono servito a qualcosa. Far parte di un certo immaginario collettivo, e di un po’ di cultura popolare, non mi lascia indifferente”.
I ricordi le tengono molta compagnia?
”Per fortuna non ricordo quasi niente, è così da quand’ero ragazzo, e questo mi obbliga a pensare al futuro”.
Certo che Vamos a la Playa, perdoni l’insistenza…
“Più l’ascolto e più penso che è unica: non assomiglia a niente. Era un concetto di pop pieno di influenze, però sempre per i fatti nostri”.
Cosa succede a essere troppo fuori dagli schemi?
“Che ti volti e non trovi nessuno”.
“Sto diventando grande, lo sai che non mi va”. Perché?
"Ci penso ogni giorno, è il mio chiodo fisso. Ma poi la canzone dice: ‘Anche se non mi va’. L’ineluttabile”.
A Sanremo, lei ha chiuso dicendo: non diventate grandi mai.
“Un’autocitazione, compreso quel cadere in ginocchio come facemmo sullo stesso palco, nel 1986. Però sono salito lì sopra incazzato come una bestia, perché mi avevano fatto appena indossare al contrario la maglietta con scritto ‘Se ti conosci, ti eviti’. Una mia trovata per una linea di t-shirt, ma mica era pubblicità, lo sappiamo in quattro… Il look è sempre stato essenziale per i Righeira, e a Sanremo mi hanno azzoppato. Mi sono rifatto a Radio Due Social Club, che si vede anche in tivù, con addosso la maglietta ‘Marchio non riconoscibile’”.
E se le avessero fatto levare pure quella?
"Avevo una terza divisa con sopra scritto “Maglia di riserva”. I vecchi punk non li freghi”.

La voce c’è sempre?
“Alla grande. E ne sono più consapevole che in passato. L’estate sta finendo la canto con la tonalità originale, Vamos con un tono più sotto ma è fisiologico col passare del tempo, altrimenti i ritornelli ti strappano la voce”.
Ci parli di quegli occhialini lunghi e stretti.
“Un’altra citazione, da No tengo dinero. Come gli stivaletti con la zeppa. Gli occhiali li ho comprati in un sito cinese, costano 3 euro. Ne ho ordinati un po’”.

Lei ci sembra un artista malinconico: sbagliamo?
"Durante l’adolescenza ho vissuto da impedito il rapporto con le donne, ero timidissimo, sicuro di non poter piacere a nessuna.
L’estate sta finendo la scrissi che avevo vent’anni: parlava della fine di un amore, eppure io non ne avevo mai vissuto uno”.
“E sono ancora solo, non è una novità”.
“Infatti lo sono per davvero, single da qualche anno e tra poco saranno 65”.
Si pensa che i musicisti siano sempre circondati da donne bellissime. Invece?
“Sono stato fidanzato con molte di loro, soltanto che loro non lo sapevano”.

Prima domanda scema: come si crea un tormentone?
“Prima risposta scema: se lo sapessi, ne scriverei due all’anno.
Quando succede è per magia, e ti sembra la cosa più normale del mondo. Quando misi le mani su un cavolo di sintetizzatore, in una cavolo di cantina, e mi venne al volo il ritornello di Vamos a la Playa, immediatamente pensai: bene, è una figata! Una canzone di successo nasce sempre da un’intuizione, e mai in sala operatoria per accontentare un algoritmo”.
L’intelligenza artificiale comporrà mai L’estate sta finendo?
“No, perché non sta finendo l’intelligenza naturale”.

Che fine ha fatto l’altro Righeira?
"Ogni tanto ci sentiamo, ma non per parlare di musica, lì non abbiamo più niente da dirci. Ci siamo incontrati al funerale di Carmelo La Bionda e ci siamo anche abbracciati. Poi, non c’è più la necessità di frequentarci, dopo tanti anni trascorsi in simbiosi. È la vita, succede”.
Lei è andato a vivere ad Agliè, in campagna, nel Canavese: perché?
“Per ripulirmi il cervello, per tagliare cose e persone che sentivo ormai superflue. Un amico viveva in questa cascina ristrutturata, mi disse che al piano di sotto affittavano un piccolo alloggio, La sera in cui annunciarono il lockdown ero a cena da lui e dalla sua compagna, e dissi: ‘Mi stagu sì’, io resto qui. E così è andata”.
Conseguenze?
"Sono tornato progettuale come non mai. Ho messo in piedi una mia etichetta, curo la vigna, produco vino Erbaluce e tra poco anche un rosso, e poi c’è la faccenda delle magliette”.
Mancherebbe solo un’altra canzone di successo.
“Ecco, appunto. Ci stiamo lavorando”.
Nel frattempo, lei ha creato un brand.
"Si chiama Kottolengo”.

Ma è matto? Guardi che qualcuno si offende, i piemontesi sono permalosi.
"Ma i veri piemontesi sanno che non è una derisione, ci mancherebbe altro! I cutu per noi sono i tipi un po’ bislacchi, gli eccentrici, gli strani: insomma, quelli come me”.
La rivedremo a Sanremo, in gara?
“Sarebbe bello, dovendo però fare i conti con lo stress: un paio di giorni mi sono bastati per ricordarmi cosa sia: 24 interviste concesse in due giorni. E comunque, prima mi devono prendere. Ah, dimenticavo: sono stato sì in gara a un Sanremo, ma a ben due Zecchini d’Oro”.