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 2025  marzo 01 Sabato calendario

La mossa dei piccoli editori Riscoprire i classici e più selezione sulle novità

Troppi libri, troppe novità, in una parola troppa confusione per chi li propone e soprattutto per chi li legge, vendite medie molto basse e spesso desolanti per chi li scrive? Se ne parla da tempo, non soltanto a mezza voce, mentre com’è ovvio il numero di titoli immessi sul mercato aumenta di anno in anno (negli ultimi trenta la produzione è triplicata, siamo a quasi 90 mila titoli da cui però, come vedremo, bisogna scorporarne parecchi). È una situazione senza via d’uscita o si può immaginare qualcosa di diverso? Marcos y Marcos, la casa editrice milanese fondata da Marco Zapparoli con Claudia Tarolo, scomparsa prematuramente a dicembre, attiva da più di quarant’anni con una produzione moderata e attenta, fra libri e riviste, che spazia dalla letteratura alla poesia, ci ha provato. E con risultati incoraggianti, tanto che hanno deciso di comunicarli al più largo mondo dei lettori. Lo slogan, lanciato sui social nel 2023 era “MENO è (molto) MEGLIO”; i dati del 2024 hanno dato loro ragione: hanno venduto di più (l’8 per cento) con meno titoli (due) riducendo anche l’impatto energetico.
È una piccola casa editrice, poco più di un titolo al mese, quindi con numeri bassi; ma se tutti facessero come loro, osservano forse maliziosamente, si risparmierebbero 16 milioni di volumi, e per quanto riguarda il lavoro intorno ai libri, dall’editore alla libreria (e ritorno, spesso) si tratterebbe di un risparmio di tempo pari a 3 settimane. Non male, a pensarci; una gradevole utopia. O forse una provocazione. Marco Zapparoli crede però nei piccoli passi: «I librai ci ringrazierebbero». Inoltre, e in parallelo, illustra un altro aspetto della sua decrescita felice: il rapporto fra novità e riproposte. Ogni anno devono essere almeno tre, di libri che in passato hanno suscitato interesse o magari invece sono sfuggiti all’attenzione, non semplicemente ristampati ma rinnovati con una nuova veste grafica. «Il fatturato rimane lo stesso. Siamo sicuri che è meglio raggiungerlo con le novità, e non con una quota di riproposte?» dice, evocando la tradizionale cultura del catalogo, quella per esempio cara un tempo all’Einaudi di Roberto Cerati fino alla grande crisi degli Anni Ottanta, o quella di Adelphi; ma è anche una tendenza che si sta di nuovo facendo strada fra i piccoli editori, magari senza dichiararlo apertamente.
Marcos y Marcos ha riproposto in questi giorni un suo classico: Controvento di Angéles Caso (con la traduzione di Claudia Tarolo cui l’autrice dedica una affettuosa postfazione). È la vera storia di São, un donna di Capo Verde che cerca realizzazione e riscatto dalla miseria a Lisbona. Trova lavoro e quello che crede amore, ma proprio da dentro casa arriva il pericolo che infrange i sogni che parevano conquistati. Vinse il premio Planeta nel 2009, quando ancora la violenza sulle donne, la sorellanza che aiuta a rimettersi in piedi, erano tematiche meno raccontate di oggi. Altri editori sulla stessa strada cercano nel catalogo qualcosa che potrebbe tornare con una sua necessità, da Nottetempo a, poniamo, La Nuova Frontiera; che sta per ripubblicare in una nuova veste grafica, un libro unico, non facile e straordinario, Il deserto, dell’argentino Jorge Baron Biza intellettuale di alta levatura e scrittore non poco maledetto, perseguitato dai suoi fantasmi e dall’alcol. Altri ancora, come la romana Cliquot, non si pongono nemmeno il problema di decrescere. Sono partiti 10 anni fa con l’idea di fare pochi titoli (dai 5 ai 7 l’anno, all’insegna della riproposta di autori del passato) e, come ci dice uno dei tre soci, Paolo Guazzo, non se ne sono mai pentiti.
Si torna così alla domanda delle cento pistole: è possibile tutto questo su più larga scala? All’Aie, che analizza periodicamente il nostro mercato, non nascondono un certo scetticismo. Il numero di libri che si stampano in Italia è in linea con le medie europee; i dati disponibili al proposito sono del dicembre 2023, da una ricerca presentata a “Più libri più liberi”, e dicono che per numero di titoli pubblicati ogni mille abitanti abbiamo valori simili a quelli delle maggiori editorie del continente, anche se con indici di lettura più bassi. Stiamo con l’1,12 tra Austria e Spagna, l’Inghilterra ha un valore più alto (1,46), la Francia 1,64 ma il podio, se podio lo vogliamo chiamare, spetta alla Danimarca con 2,02: né a quanto risulta si registrano reazioni a Copenhagen.
Giovanni Peresson, responsabile dell’ufficio studi, è categorico: «L’editoria cresce – ci dice – perché crescono i titoli». E perché nel frattempo sono esplosi i bisogni dei lettori, che hanno richieste o si fanno attirare da suggerimenti sempre più particolari. Dove una volta per una città bastava una guida turistica, oggi se ne richiedono dieci, ognuna specializzata in modo diverso, e ovviamente il rischio è quello del sovraffollamento in un certo settore magari di moda. Si può fare di meno, ovviamente, e si tratta di una rispettabile politica editoriale che può avere risultati buoni o meno buoni; il rischio è però, sempre secondo Peresson, di «assolutizzarla», perché l’editore in quanto imprenditore ha comunque bisogno di fatturato, «con titoli in più o migliori vendite rispetto all’anno precedente». E paradossalmente (ma forse non troppo paradossalmente) non sembra lontano dalle sue analisi uno scrittore-editore come Giulio Mozzi, che con la sua collana Fremen per Laurana ha pubblicato pochissimi libri ottenendo una grande attenzione (e copiose vendite con Ferrovie del Messico).
Pochissimi significa che dal 2012 sono usciti otto titoli: «La collana è sempre cresciuta, a parte il boom di Griffi; pubblicando poco si riesce a seguire bene il libro, a lucidare il diamante; ma non pretendo che quel che faccio io sia un modello per gli altri». È anche economicamente sostenibile? La riposta è no. «La quantità di lavoro che sta dietro a un libro come questo, ai costi correnti, farebbe saltare i conti. Il lavoro e le ore dedicate per esempio a Lo splendore di Pier Paolo Di Mino non potrebbe pagarceli nessuno». Volontariato? «Facciamo questi libri, spesso respinti da un gran numero di editori, perché a me pare giusto. Ci si dà anima e corpo (penso anche ad altri, come Giovanni Turi di TerraRossa, che si dedica integralmente, notte e giorno, alla sua impresa), funziona come modello etico. Pubblicare meno sarebbe indubbiamente positivo, e Marcos y Marcos lo dimostra, ma i grandi editori mescolano tutto, c’è una sorta di inquinamento che credo sia abbastanza strutturale».
Mozzi ha diffuso sui social i numeri del 2023 dal rapporto Aie, aprendo un vasto dibattito. I libri stampati nell’anno risultano 85.129, di cui però oltre 12 mila autopubblicati. Escludendo questi ultimi e la scolastica, restano 68.820 i titoli che vanno o tentano la strada della libreria. E in testa alla classifica degli editori più produttivi non c’è nemmeno Mondadori (è secondo) ma un editore a pagamento – così come lo sono il terzo e il quarto. Forse la questione non è solo se i libri siano troppi, ma soprattutto quanti abbiano una anche minima ragione d’essere.