Corriere della Sera, 28 febbraio 2025
Alessia Pifferi: «Io, picchiata dalle altre detenute a Vigevano». E del carcere di San Vittore disse: «Di notte mi urlano "mostro"»
L’imputata Alessia Pifferi non presente in aula, perché lamenta di essere stata picchiata da detenute in carcere; e poi il pm di primo grado «motore» di una infrequente procedura, indirettamente in grado di riversare nel processo d’Appello l’inchiesta-bis in fase preliminare per ipotesi di falso a carico dell’avvocata di Pifferi, del consulente psichiatrico della difesa e delle psicologhe che a San Vittore ne attestarono il controverso deficit cognitivo: sono i due nuovi colpi di scena che non mancano di animare l’udienza odierna a carico della 38enne madre di Diana, la bimba di 18 mesi lasciata morire di fame e sete nel luglio 2022 con una condotta che l’anno scorso in primo grado era valsa a Pifferi la condannata all’ergastolo per omicidio volontario. Pifferi, detenuta a Vigevano, non fa valere il «legittimo impedimento», ma motiva la propria assenza con l’essere rimasta vittima di un parapiglia con una o più detenute, al punto da avere riportato la necessità di quattro punti di sutura al viso: già il 12 aprile 2024, durante le sue dichiarazioni spontanee, aveva detto che «in carcere (all’epoca era San Vittore, ndr) le altre detenute mi hanno picchiata, la notte mi urlano “mostro”, “assassina”, “devi morire”, “meriti tante botte”».
La seconda novità è che, a sorpresa, dopo la decisione della Corte d’Appello il 10 febbraio di disporre quella nuova e collegiale perizia psichiatrica sempre chiesta dalla difesa Pifferi e sempre avversata in primo grado dal pm Francesco De Tommasi, il difensore di Pifferi (Alessia Pontenani) e l’avvocato della madre e sorella costituite parti civili contro lei (Emanuele De Mitri), hanno ricevuto il 19 febbraio una notifica: non dal rappresentante dell’accusa nel processo d’Appello (la Procura generale con la pg Lucilla Tontodonati), ma dal pm del processo di primo grado.
Con questa notifica De Tommasi le informa che – «ai fini di eventuali richieste istruttorie in Appello» delle parti, e come «attività integrativa d’indagine» secondo quanto ammesso da una sentenza di Cassazione del 2014 «senza alcun limite cronologico» – il pm di primo grado ha depositato, non nel fascicolo del processo d’Appello (e dunque non anche alla Procura Generale), ma nel vecchio fascicolo del pm del processo di primo grado di cui erano parte l’imputata e la parte civile, la copia di tutti gli atti della propria inchiesta-parallela: quella cioè che il pm ha concluso il 24 gennaio contestando «favoreggiamento», «false attestazioni all’autorità giudiziaria», e «concorso in falsa testimonianza» all’avvocata Pontenani, al consulente psichiatrico della difesa, e a quattro psicologhe che nel carcere di San Vittore avevano attestato i controversi presupposti clinici della richiesta di perizia. E ora si vedrà se e quale uso la parte civile riterrà di farne.