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 2025  febbraio 28 Venerdì calendario

Capi delle Br a processo dopo 50 anni: chi era Mara Cagol, la mamma della lotta armata. Le domeniche a messa, la svolta e l’ultima lettera: «Papà non sono incosciente»

Quella di Margherita Cagol è la storia di una ragazza come tante, venuta al mondo in un paesino del nord sul finire della guerra, l’8 aprile 1945 a Sardagna (Trento). Famiglia piccolo borghese, il padre in città gestiva “La casa del sapone” e la madre era farmacista: due sorelle, rapporto conflittuale col papà e migliore con la mamma, la domenica tutti a messa e d’estate in colonia. Dopo i buoni diplomi in Ragioneria e al Conservatorio – la chiamano anche all’estero come terza chitarrista classica più brava d’Italia – ecco l’idea di iscriversi nel 1964 a Scienze sociali, la sola facoltà esistente in Italia, nata proprio a Trento due anni prima. Ci insegnano i democristiani Romano Prodi e Beniamino Andreatta e lì conosce uno studente romano di quattro anni più giovane (che divide l’appartamento con il torinese Mauro Rostagno): quel Renato Curcio che nel ’69 sposerà in chiesa in Val di Non, sei giorni dopo la laurea con il sociologo Francesco Alberoni. Secondo il veneziano Marco Boato, suo compagno di studi che in seguito fece un percorso politico nella sinistra parlamentare per cinque legislature, fu il trasferimento a Milano a portare quella coppia ad abbracciare con convinzione l’ideologia marxista-leninista, prima da loro criticata in Università a fine ’68. Margherita si arma, diventa Mara ed entra in clandestinità condividendo con il marito fino alle estreme conseguenze la militanza nelle Brigate Rosse. Anzi fu proprio lei, assieme a Curcio e Franceschini, a fondarle nel 1970. Anni dopo Curcio ammise che Mara le voleva anche forse più di lui: ecco perché di lei i suoi compagni si fidavano ciecamente. La Cagol fece parte di molte azioni fino al 5 giugno del ’75 quando, nel secondo giorno di sequestro dell’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia, mentre con un altro brigatista sorvegliava l’ostaggio, rimase uccisa in una sparatoria con i carabinieri sulle colline alessandrine. Con lei morì l’appuntato Giovanni D’Alfonso e rimasero feriti da una bomba a mano il tenente Umberto Rocca e il maresciallo Rosario Cattafi.
Cosa la motivò a estremizzare le sue idee, lo ipotizzò molti anni dopo Marco Boato: «La deriva della lotta armata discende dall’incanalamento delle forti pulsioni umane e sociali e forse anche spirituali, date dalla formazione cattolica di Margherita Cagol, dentro una rigida e astratta lettura della realtà». Concetti di difficile interpretazione per gli italiani che vissero con paura e sgomento gli “anni di piombo”, di cui la giovane trentina si rese protagonista assumendo la leadership della colonna torinese delle Brigate Rosse. Durante il ventennio delle Br, Boato in Parlamento sollecitava il Paese a non considerare marziani i terroristi, perché sarebbe stato più utile per lo Stato studiare l’identità politica, ideologica e umana dei singoli, per poter sconfiggere il movimento politicamente prima che militarmente. In una lettera, Mara Cagol cercò di tranquillizzare la famiglia: «Cari genitori non pensate per favore che io sia incosciente. Grazie a voi sono cresciuta istruita, intelligente e soprattutto forte. E questa forza in questo momento me la sento tutta. È giusto e sacrosanto quello che sto facendo, la storia mi dà ragione come l’ha data alla Resistenza del ’45. Ma voi direte, sono questi i mezzi da usare? Credetemi, non ce ne sono altri».