il venerdì, 28 febbraio 2025
Dai marlin ai pinguini trionfa lo stile libero. C’è chi usa la coda e chi le pinne. chi ha zampe palmate o si sposta ondeggiando il corpo. nei modi di nuotare l’evoluzione ha avuto parecchia fantasia. esseri umani compresi
Non ci pensiamo spesso, ma mentre ci sono pochi modi per muoversi sulla terraferma, essenzialmente “ci si spinge contro il terreno”, ce ne sono una moltitudine per muoversi nell’acqua. Questo mezzo che, se da una parte ti facilita sostenendo il peso, ma dall’altra richiede molta energia per attraversarlo, essendo mille volte più denso dell’aria, ha scatenato la “fantasia” dell’evoluzione, alle prese con il trovare compromessi fra modi di vita, velocità e consumo energetico.
La tartaruga marina Caretta caretta ha per esempio mostrato di recente la raffinatezza della sua strategia di risparmio energetico, che consiste nel mantenimento, sulle lunghe distanze, di una “profondità ottimale”: la scoperta è di un team internazionale di ricercatori di cui fa parte l’etologo dell’università di Pisa, Paolo Luschi. «Tracciando con sensori il movimento di tartarughe durante i loro spostamenti migratori nel Mediterraneo, abbiamo scoperto che mantenevano sempre una profondità pari a tre volte lo spessore del corpo. I nostri colleghi hanno poi constatato la strategia dei “tre spessori” in vari altri animali, dai piccolissimi pinguini minori, Eudyptula minor, alle balenottere azzurre, Balaenoptera musculus» dice Luschi.
Ma perché questa formula magica? «Il punto è evitare le onde e i vortici che si formano nuotando in superficie o appena sotto a causa dell’acqua spostata dal corpo, perché fanno consumare energia. Al tempo stesso, però, queste specie devono affiorare periodicamente per respirare: nuotare troppo in basso comporterebbe un ulteriore spreco di energia. “Tre spessori” è il giusto compromesso, ora dobbiamo capire come facciano a sapere di essere alla profondità ottimale».
A vedere la forma delle tartarughe marine, però, non sembrano animali molto attrezzati per affrontare lunghe traversate. «E invece si spostano, anche per migliaia di chilometri, fra le zone di accoppiamento e deposizione delle uova, e le aree ricche di cibo. Non saranno filanti come delfini, ma qualche adattamento al nuoto l’hanno fatto pure loro: il carapace è più liscio e appiattito, e per questo non possono più ritirare la testa nel guscio, mentre nella specie liuto, Dermochelys coriacea, la più grande esistente, è anche morbido e con solchi longitudinali che riducono la resistenza idrodinamica. E tutte e sette le specie di tartarughe marine hanno le zampe anteriori trasformate in “pagaie”».
In effetti il loro modo di nuotare, usando le “pagaie” un po’ come i nuotatori a rana usano le braccia, è abbastanza raro in natura: lo impiegano i pinguini, usando le ex ali come pinne, le otarie e l’insetto notonetta, Notonectidae, che si muove capovolto sotto il pelo dell’acqua.
il cavalluccio? lentissimo
«Il modo più diffuso e veloce di spostarsi in acqua è piuttosto farsi spingere da una coda: gran parte dei pesci fa così, e fra questi i campioni di velocità, i marlin, Istiophoridae, che nuotano a 40 km/h. Anche i cetacei sono propulsi dalla coda, ma è orizzontale e la battono su e giù, non lateralmente come quella verticale dei pesci, perché hanno una spina dorsale da mammiferi che si muove molto più ampiamente avanti e indietro, che lateralmente».
Curiosamente, il cavalluccio marino, che nuota in verticale, usa la coda solo per aggrapparsi e l’ha sostituita come propulsore con la minuscola pinna dorsale: il risultato non è stato molto brillante, pare che la specie nana, Hippocampus zosterae, sia il pesce più lento di tutti: 150 centimetri l’ora.
Un uso particolare della loro coda orizzontale lo fanno invece crostacei come le aragoste: se sono in pericolo la battono velocemente, schizzando all’indietro e lasciando basiti i predatori. Molte specie senza coda o con coda ridotta, affidano il compito di spingerle in acqua alle zampe posteriori, spesso palmate: fanno così le rane, ma anche le foche e quasi tutti gli uccelli acquatici, anche se quelli che si immergono a grande profondità, come le sule, “volano” nell’acqua spingendosi con le ali.
Non è da vertebrati, invece, uno dei metodi di nuoto più diffuso nei mari: quello a “reazione”. Lo usano, per esempio, le meduse, che riempiono il loro mantello a fungo d’acqua, per poi espellerla contraendosi, ma anche insospettabili molluschi con conchiglia come le capesante che, se serve, schizzano via sputando acqua, chiudendo e aprendo le valve. I re del water jet, però sono i cefalopodi, come i polpi, che hanno un vero e proprio “ugello” orientabile, da cui spingere acqua accumulata in una sacca, per muoversi in modo fulmineo nella direzione voluta, sorprendendo predatori e prede. È un sistema di movimento molto più sprecone degli altri, e infatti seppie e calamari, che percorrono lunghe distanze, usano l’ondulazione delle pinne laterali per i normali spostamenti, come fanno del resto anche mante e razze.
«Molto comune è anche il nuoto compiuto ondulando l’intero corpo, che certe volte, come nel caso delle murene, può essere dotato di lunghe pinne dorsali per aumentare la spinta, ma in molti altri no, come accade con anguille, coccodrilli, salamandre e serpenti acquatici. È un metodo che non permette grandi velocità, ma consuma poca energia, mentre avere un corpo senza ingombranti appendici laterali facilita il nascondersi in tane e anfratti», conclude Luschi.
Il nuotatore più sorprendente, però, tutto sommato è l’essere umano. Ce la caviamo così bene dal far osservare che, come i pochi altri primati nuotatori, tipo le scimmie nasica, abbiamo le narici rivolte verso il basso per aiutarci a non ingoiare acqua: forse è il retaggio di un lungo periodo di evoluzione, passato sulle rive di mari e fiumi a cercare prede sul fondo.