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 2025  febbraio 28 Venerdì calendario

I gaudenti anni ottanta? Ci hanno portato male

DIMENTICATE la Milano da bere, le camicie coi baffi, i mulini bianchi, ma pure i Righeira, l’italodisco, le Vacanze di Natale. Mettete da parte quell’immaginario gaudente associato agli anni Ottanta per entrare nel lato B di quel decennio mitizzato, vituperato e forse pure rimpianto. Che non è stata l’età dell’opulenza, semmai quella del suo epilogo.
È la tesi di Diego Gabutti, classe 1950, nel saggio Ottanta. Dieci anni che sconvolsero il mondo, appena uscito per Neri Pozza: già editorialista del Giornale di Indro Montanelli, il giornalista e scrittore ripercorre gli eventi salienti del decennio in questione per mostrare come siano stati l’humus fertile per fondamentalismo religioso, populismo, globalizzazione, uso distorto delle tecnologie, fine della democrazia. La culla dei nostri guai attuali.
Gabutti, abbiamo sempre pensato che gli Ottanta fossero gli anni della festa perenne, dell’edonismo sfrenato. Una narrazione che lei smonta, tassello dopo tassello.
«Sì, la festa è stata prima, tra i 50 e i 60, pochi se ne accorsero lì per lì. L’epoca dei mutui facili, degli affitti bassi, del lavoro a tempo indeterminato, il welfare con le buone scuole, le vacanze, il tennis, le settimane bianche, gli effetti di un benessere mai visto nella storia dell’umanità e che si pensava sarebbe durato per sempre, negli anni Ottanta si sgretola: il debito pubblico incombe, dei movimenti giovanili e della cultura pop restano solo le parodie, il giovanilismo si tramuta in una gara grottesca contro il tempo. Solo che non ce ne rendevamo conto, avevamo stipendi da favola ma la fine era nota».
Lei sostiene che per capire gli Eighties occorra partire da un libro di trent’ anni prima: Il giovane Holden.
«Sì, dal romanzo di J.D. Salinger, apparso nel 1951, da Holden Caulfield, dalle sue paturnie, dal suo rapporto complicato con la famiglia, le istituzioni, prende vita l’avventura dei giovani ribelli. E a consolidare quell’ideale sono Bob Dylan con Forever Young, Sam Peckinpah con Pat Garrett e Billy the Kid, James Dean e la sua Gioventù bruciata. Tutto questo si conclude bruscamente ventinove anni più tardi, l’8 dicembre 1980, quando Mark David Chapman spara a John Lennon. E cosa ha in tasca l’assassino di Lennon? Una copia del Giovane Holden. A questo proposito mi interessava anche inquadrare un’epoca i cui riferimenti erano letteratura e cinema. La morte di Lennon mette fine al sogno, non si potrà più immaginare un mondo in cui tutti vivono in pace».
Non a caso il libro comincia con l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione sovietica.
«Con l’entrata dell’Armata rossa in Afghanistan, il 24 dicembre del 1979, comincia un fenomeno nuovo: il confronto si sposta dal campo delle ideologie, dal dibattito tra dispotismo asiatico e democrazie, a quello dello scontro di civiltà. È da lì che nascerà al Qaeda. Ma l’Afghanistan è soltanto l’alba del mattino musulmano: proclamata pochi mesi prima – il 10 aprile 1979 – anche la Repubblica islamica degli ayatollah in Iran rimette in gioco l’islam dopo secoli».
È in questo scenario internazionale che nel libro si inserisce l’affaire di Sigonella.
«Craxi a Sigonella nel 1985 tradisce l’alleanza con l’amico americano, schiera una compagnia di carabinieri a guardia del Boeing egiziano con i terroristi a bordo, impedendo ai marines Usa di entrare in azione. È una mossa sciagurata. Reagan si ritira e minimizza la portata dello scontro, ma il danno è fatto, senza rimedio. Gli Stati Uniti non si fidano più dei politici italiani della Prima repubblica, Dc e Psi non sono più ben visti alla Casa Bianca. Di lì a poco Tangentopoli ne farà piazza pulita».
Crede sia avvenuta per quello Tangentopoli?
«Non ne ho le prove, non sono un dietrologo, ma certo la protezione dello zio Sam era finita».
E di lì a poco scenderà in campo Silvio Berlusconi, prima con le tv, poi in politica.
«A metà degli anni Ottanta, quando Berlusconi compra il Milan e inizia l’avventura di Mediaset, lavoravo al Giornale. Nessuno conosceva il Cavaliere o almeno nessuno ne aveva intuito il potenziale. È con lui che in Italia le ideologie tracollano definitivamente, finisce il politicamente corretto, arrivano le ballerine scodinzolanti e mezze nude, possono mettersi in mostra a Drive in. Prima, con la Dc e il Pci, nell’Italia bigotta, quel tipo di intrattenimento era bandito. L’Italia nazional-popolare si sente legittimata, nessuno si deve più vergognare. È anche, naturalmente, l’inizio del populismo».
C’è qualcosa che salva degli anni Ottanta?
«Hanno il merito di aver fatto da argine tra i decenni dell’abbondanza, del benessere e della sazietà, e quelli della catastrofe, delle guerre di religione, delle destre reazionarie, della crisi economica. Hanno rallentato la caduta. Il tonfo poteva essere più traumatico. Ma è la fine del futuro, o almeno non si riesce più a immaginare un domani che non sia cupo».
Sicuro?
«Al cinema nel giro di pochi anni si passa da Guerre stellari a Blade Runner o, peggio, 1997- Fuga da New York, girato nel 1981 da John Carpenter, dove Manhattan è una prigione. Esce anche i Blues Brothers, è vero, ma due anni dopo John Belushi muore di overdose mostrando al mondo come la droga non aprisse le porte della percezione ma quelle dell’aldilà. Lo stesso farà l’Aids con la rivoluzione sessuale. Lo chiamano il virus castigamatti, per Madre Teresa di Calcutta “è la giusta ricompensa per una condotta sessuale impropria”. C’è solo una delle rivoluzioni degli anni precedenti che si salva ed è il femminismo che fortunatamente è giunto indenne sino a noi. E poi è rimasto il Forever Young, quell’idea che potremmo vivere per sempre, almeno nel cyberspazio. Anche questo era già tutto previsto».
Che cosa intende?
«Nel 1984 esce Terminator di James Cameron, dove viene profetizzata un’intelligenza artificiale che si sbarazza degli umani e fa da sé. Poi in Terminator 2, invece, c’è un robot che corre in soccorso del genere umano. Anche il dibattito sulle due anime dell’Ia non è una novità».